Il Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea ormai da 12 anni è un punto di riferimento sia per gli appassionati che per i professionisti del settore del cinema archeologico e, per estensione, della comunicazione archeologica. Ricchissimo il programma delle proiezioni cinematografiche, con una grande partecipazione di film italiani e internazionali.
Qui però voglio parlare dell’evento cui ho preso parte io, ovvero la Giornata di Studi “Dialoghi in badia”, organizzata da Alessandra Cilio che è co-direttore artistico insieme a Lorenzo Daniele del Festival, e da Stefania Berutti.
Articolata in tre sessioni, la Giornata di Studi ha voluto prendere in esame tre ambiti in cui la comunicazione dell’archeologia si sviluppa: l’Editoria, l’Audiovisivo e infine un’incursione in “altri” modi per comunicare l’archeologia, “oltre i confini” intendendo con essi i confini spaziali, mediatici, di accessibilità.
Dialoghi in Badia – I sessione – Editoria
Ha aperto la prima sessione della Giornata di Studi, moderata dall’archeologa Concetta Caruso, Giulia Pruneti, caporedattore della rivista Archeologia Viva. Il suo intervento “Dallo scavo alla pagina: 40 anni di Archeologia Viva” è stato l’occasione per ripercorrere la lunga esistenza di questa rivista di settore, nata da una necessità sentita come impellente dal suo ideatore e Direttore, Piero Pruneti: l’idea di raccontare un’archeologia che sia alla portata di tutti. La rivista nasceva nel 1982 e all’epoca era l’unico esempio editoriale su questo argomento; negli anni non è rimasta ancorata solo alla carta stampata, ma ha dato vita a diverse iniziative nel mondo reale, con l’istituzione dei Viaggi di Archeologia Viva, o dei corsi di archeologia subacquea a Ustica (ormai diversi anni fa). Sempre dalla rivista sono nate poi le ultime iniziative in materia di comunicazione e di promozione dell’archeologia, con TourismA e con il Firenze Archeofilm.
Si passa dalla redazione di una rivista di settore alla narrativa, con un taglio molto particolare.
Giusi Norcia, relatrice del secondo intervento, parla infatti del tema “Vivere il mito”: nei suoi libri, infatti, il mito è il protagonista assoluto. Il mito non va spiegato, dice Norcia, ma è un lavoro di evocazione, per cui non è necessario distinguere tra narrazione per bambini o per adulti. Cita Sallustio: “Queste storie non furono mai, ma sono sempre” perché di fatto il mito è una mappa dell’anima, parla a ciascuno di noi e in qualche modo ci riguarda sempre. Il mito nasce come racconto orale e ciò che lo rende vivo è continuare a raccontarlo. Se lo si spiega esso viene cristallizzato (musealizzato, dice addirittura!), bloccato per sempre. L’esperienza di Giusi Norcia non si limita alla scrittura, ma entra nelle stanze degli ospedali dove conduce laboratori sul mito con pazienti oncologici. Il mito come cura, dunque, e come progetto didattico con un’alta finalità sociale.
Nicola Barile ci porta invece a Pompei, dove la sua piccola creatura, Livia è la protagonista di una serie di libri per bambini nei quali si racconta la vita quotidiana nella città all’ombra del Vesuvio. Un’iniziativa editoriale senz’altro interessante che si avvale anche della produzione di cartoons (il mondo da cui Barile proviene). La parola chiave, quando si avvia un progetto editoriale o si crea un personaggio è “strategia”: strategia nella struttura del progetto, strategia nella sua durata, strategia negli eventuali spin-off che ne potranno nascere. Il caso di studio di “Livia e i segreti di Pompei” è esemplare in tal senso.
Conclude la prima sessione Cinzia Rosati, l’editrice di Dielle Editore (la casa editrice che ha pubblicato Archeosocial e la sua nuova edizione, pubblicata pochi mesi fa). Nel suo intervento, “Progettare la divulgazione culturale nell’editoria italiana” parla di come nasce una collana editoriale, come si struttura, quale format deve avere per essere sempre distinguibile e ben delineabile. Ritorna anche qui il concetto di progettualità. E sottolinea come oggi si possano mescolare anche più generi letterari per raccontare l’antico: Dielle sta pubblicando infatti una collana di saggi romanzati dedicati ai popoli italici, una vera e propria sperimentazione nella quale la narrativa non si discosta mai dalla scientificità del dato. Un romanzo con le note, insomma.
Il dibattito che segue alla conclusione della prima sessione si focalizza sul tema del linguaggio e della semplicità nel comunicare, partendo dal presupposto che divulgare non vuol dire soltanto spiegare, ma serve a rendere più labile il confine tra addetto e non addetto ai lavori. Una domanda, provocatoria, chiede se la volontà di divulgare non possa “offendere” gli addetti ai lavori, che potrebbero trovare sviliti certi contenuti. Ma in realtà è un falso problema, perché una buona divulgazione non svilisce, ma anzi valorizza l’informazione archeologica portandola a un pubblico più ampio. E a proposito di un pubblico più ampio, un giovane dal pubblico chiede come si fa a incuriosire i ragazzi? Da scout qual è, propone un approccio all’archeologia che sia esperienziale, in cui il racconto sia a 360° e il coinvolgimento dei ragazzi attivo, non passivo.
Dialoghi in Badia – II sessione – Audiovisivo
La seconda sessione della Giornata di Studi, moderata da me, vede come primo relatore Massimo D’Alessandro, regista di documentari pluripremiato. Il suo intervento dal titolo “Coloro che fecero l’impresa: raccontare l’archeologia in tempo reale” è una lezione sul metodo di costruzione di un docufilm, con un focus specifico sul documentario che vuole raccontare uno scavo o una ricerca in corso. Bisogna avere da principio ben chiaro il target e la piattaforma di distribuzione; poi bisogna decidere se vengono prima le riprese, le ricerche, la scrittura o il montaggio. Qui si apre un grande tema, infatti, perché non esiste una ricetta univoca nella realizzazione di un documentario. Nel caso di docufilm che racconti ricerche in corso prima di tutto ci sarà l’incontro con l’équipe di ricerca, poi ci saranno ricerche e riprese che vanno di pari passo, ci sarà quindi la fase di scrittura e infine il montaggio. Tutto il materiale girato darà l’ispirazione per la scrittura, ma anche in fase di montaggio la scrittura potrà essere rivista, soprattutto se mancano repertori specifici (sul tema dei repertori ho scritto in un articolo specifico sulle differenze tra documentario di storia contemporanea e documentario di archeologia).
Dall’archeologia passiamo alle stelle con il secondo intervento della sessione, a cura di Paola Tricomi e Andrea Orlando. Lei filologa e divulgatrice scientifica su youtube, lui archeoastronomo, si sono trovati insieme per la realizzazione del film “Per desiderio – docufilm“. Qui il trailer:
Dalla terra passiamo all’osservazione del cielo e soprattutto al rapporto che abbiamo con esso e a cosa ci trasmette. Nel film ci sono interviste, come a Luca Parmitano, ci sono documenti, ci sono narrazioni del cielo fatte da diversi personaggi nel corso della storia dell’Umanità. Con un messaggio di fondo molto importante: sotto la volta del cielo siamo tutti uguali e tutti noi guardiamo il cielo dal basso verso l’alto. Così desiderio è la parola chiave che ruota intorno al film, mentre il cielo diventa una metafora dell’inclusività.
Andrea Orlando fa poi un focus sull’archeoastronomia, branca di studi che mai come oggi ha bisogno di essere raccontata, da un lato per sconfiggere tutte quelle fake news e archeobufale che quotidianamente invadono i social (e un tempo i blog) dall’altro per abbattere il muro dello scetticismo creatosi proprio come reazione al proliferare di quelle archeobufale celesti che infestano il web (e la carta stampata, e la tv, e i libri).
L’ultimo intervento della sessione è a cura di Elisa Bonacini che presenta NOTO VR 1693, un interessante progetto di realtà virtuale realizzato per raccontare com’era la città di Noto antica, prima del tragico terremoto che la distrusse nel 1693 (lo stesso terremoto che distrusse Occhiolà e in seguito al quale fu costruita Grammichele). Bonacini pone l’accento su due aspetti importanti: il cospicuo comitato scientifico costituito da persone che, ciascuna per la sua parte, hanno dato un validissimo contributo per la scientificità della ricostruzione virtuale: di Noto antica infatti si sa pochissimo, perché la Noto moderna fu costruita sopra le macerie di quella distrutta dal terremoto, cancellando la quasi totalità delle tracce; l’altro aspetto importante è il coinvolgimento attivo degli abitanti di Noto, che sono stati sottoposti a un casting in seguito al quale sono diventati personaggi virtuali di questo progetto di realtà virtuale. Dunque in questo progetto noi abbiamo da una parte un processo di costruzione filologica del contesto e dall’altra il casting 3D dalle persone reali ad avatar digitali: quest’ultima come azione per restituire alla cittadinanza di Noto una storia che ha quasi completamente dimenticato.
Il dibattito al termine di questa sessione affronta una serie di temi apparentemente slegati dal tema prevalente, ovvero l’audiovisivo, ma comunque legati a due temi usciti nel corso degli interventi, ovvero inclusività/accessibilità museale e corretta comunicazione dei temi dell’archeoastronomia.
Dialoghi in Badia – III sessione – Comunicare oltre i confini
Alessandra Cilio presiede questa sessione che è la più disparata per tematiche affrontate. Il filo comune è sempre la comunicazione dell’archeologia, tuttavia andiamo a cercarla in ambiti che difficilmente si riescono a infilare in un unico filone a sé stante, ma che in qualche modo sono tutti interconnessi.
Michele Stefanile nel suo intervento “Il patrimonio sull’Iphone: riflessioni sull’uso di reels, shorts e app per la comunicazione dell’archeologia” non risparmia critiche alle ultime tendenze social in tema di comunicazione veloce, virale e (non) necessariamente superficiale. La critica non è tanto ai social in sé, quanto alla capacità, o opportunità, di utilizzare quei social per veicolare un messaggio di divulgazione dell’archeologia. Il discorso si sposta poi sulle app a servizio non soltanto della comunicazione, ma anche e soprattutto a servizio della ricerca. Qui le potenzialità delle tecnologie si sposano con smartphone e tablet e possono dare vita a esiti davvero interessanti e importanti sul piano dell’ausilio alla ricerca.
E già che siamo in ambito app e social, ecco che affrontiamo il tema del gaming: Antonino Mazzaglia in rappresentanza del team guidato da Daniele Malfitana parla del progetto Augustus, un videogame che ha visto la luce da pochi giorni e che si inserisce nel filone dei Serious Games. Qui il teaser:
Il gaming sta sempre più prendendo piede nel mondo della divulgazione storica e archeologica. La sfida è quella di riuscire a creare un prodotto che oltre ad essere curato sul piano delle ricostruzioni storiche, dei personaggi e dei vari aspetti legati più propriamente alla comunicazione dell’antico, non tralasci l’aspetto fondamentale del gioco.
Con Tatiana Lo Iacono si cambia ambito e si va a esplorare il mondo dell’accessibilità e dell’inclusività: Lo Iacono parla dell’esperienza di SudTitles, con la quale realizza progetti culturali finalizzati a rendere i contenuti culturali accessibili ai disabili sensoriali in qualsiasi contesto di fruizione. SudTitles si occupa di cinema inclusivo, ovvero di sottotitoli, audiodescrizione sottotitoli per non udenti, audioguide e podcast, nell’ottica di raggiungere e coinvolgere i disabili sensoriali nei progetti culturali. Un caso di studio molto interessante, che si colloca in un ambito strategico, anche e soprattutto ora che il Ministero della cultura guarda molto ai progetti che mettono al centro l’abbattimento delle barriere fisiche e cognitive nei Luoghi della cultura italiani, in particolare con i fondi del PNRR.
Rosanna Pesce porta un altro caso di studio in ambito accessibilità: Digi.Art. La fruizione accessibile, pensata cioè per i pubblici con disabilità sensoriali, è al centro dei progetti di Digi.Art che si occupa di videoguide in LIS, di allestimenti multimediali, scansioni 3D pensati nell’ottica dell’inclusività e dunque della valorizzazione presso tutti i tipi di pubblico.
Infine, l’ultimo intervento della giornata è stato il mio. “Ascoltare: podcast e archeologia in Italia” apparentemente si discosta dagli ultimi interventi, ma non più di tanto, considerato che il podcast, essendo uno strumento solo auditivo, può essere benissimo impiegato in progetti di accessibilità per disabili sensoriali (non vedenti).
Il mio intervento è stato piuttosto una disamina dello stato dell’arte dei podcast di archeologia e museali in Italia ad oggi, con quelle che secondo me sono buone pratiche e con esempi che invece non sono a mio avviso particolarmente ben riusciti. Il tutto con qualche spunto di metodo e uno sguardo rivolto all’indietro, per ricordarci che i podcast non sono spuntati dal nulla e non sono, dopotutto, un medium così innovativo. Le slides del mio intervento si trovano su Slideshare.

La discussione finale ha toccato i temi dell’inclusività, delle possibilità offerte dai fondi del PNRR che sicuramente hanno il merito di orientare le scelte presenti e future in materia di musealizzazione e di considerazione dei pubblici con disabilità sensoriali e non. Un altro tema sollevato è stato quello del buon uso degli strumenti di comunicazione e di come fare per valutarne l’efficacia.
Questa prima Giornata di Studi “Dialoghi in badia” ha sicuramente gettato alcuni semi. Semi per spunti di riflessione, semi per spunti per progetti e idee future, semi per collaborazioni future. L’idea è quella di pubblicare gli atti di questa Giornata nei prossimi mesi, perché è giusto che ciò che è stato detto e mostrato a Licodia Eubea diventi di pubblico dominio. Abbiamo parlato di comunicazione, no? E allora è bene comunicare a tutta la comunità, scientifica e non, quali sono le tendenze in materia di comunicazione dell’archeologia.