Come si comunica una scoperta archeologica? Il caso del Santuario di San Casciano dei Bagni

La recente scoperta dei bronzi di San Casciano dei Bagni ha risollevato una questione che si pone ogni volta che l’archeologia finisce in prima pagina. Tra osannatori (il termine non è casuale) dell’eccezionale rinvenimento e puristi della tradizione accademica vediamo di capire lo stato della questione.

Il lancio mediatico della scoperta dei bronzi di San Casciano dei Bagni

Anche se chi è nel ramo seguiva già da un po’ gli scavi in corso, sia sui canali social dello scavo, sia su riviste di settore (uno speciale intitolato “Gli dei dal fango” era stato pubblicato sulla rivista Archeo nel 2021), sia in sede scientifica, seguendo varie conferenze e leggendo il volume “Il santuario ritrovato” a cura di Emanuele Mariotti e Jacobo Tabolli, 2021), la notizia del rinvenimento di 24 grandi bronzi, oltre a tutti gli altri materiali votivi nel corso dello scavo del Bagno Grande, è stata lanciata dal Ministero della cultura, battuta dall’Ansa e rilanciata a cascata da tutti i più e meno grandi media italiani (e poi stranieri) il giorno 8 novembre 2022. Giusto in tempo per l’insediamento del nuovo ministro, ha malignato qualcuno.

Lo scavo nel fango del Bagno Grande. Foto tratta dalla pagina facebook Il santuario ritrovato – San Casciano dei Bagni

La notizia è stata rilanciata dai media italiani estrapolando una frase da una dichiarazione del Direttore Generale Massimo Osanna, il quale ha commentato “È la scoperta più importante dai Bronzi di Riace e certamente uno dei ritrovamenti di bronzi più significativi mai avvenuti nella storia del Mediterraneo antico”. Così il titolo è diventato (cito Repubblica) “San Casciano come Riace (…)“. Ora tralasciando il fatto che in più d’uno, leggendo il titolo e non avendo mai sentito nominare San Casciano, ha pensato che si trovasse in Calabria (e questo a casa mia è sintomo di un grosso errore a livello comunicativo da parte del titolista), però è evidente che siamo di fronte alla solita prassi da giornalista: per far capire l’importanza della scoperta, cercare un paragone pop in ambito culturale. Solitamente questo termine di paragone è Pompei, questa volta invece sono stati chiamati in causa i Bronzi di Riace.

La dichiarazione alla stampa del Direttore Generale Musei è a sua volta una lettura in chiave pop della scoperta ed è per questo che ha fatto presa sui titoli dei quotidiani, online e non. Ma è una prassi propria, mutatis mutandis, di un modo di fare divulgazione, sdoganato innanzitutto da Alberto Angela, che porta ad attualizzare e quindi ad avvicinare concettualmente, fatti, oggetti e contesti del passato, a cercare termini di paragone pop che da un lato fanno comprendere, dall’altro avvicinano i non addetti ai lavori (nel caso di Alberto Angela gli spettatori in prima serata) all’argomento. Volto a raggiungere, dunque, e a coinvolgere, il più alto numero di persone. Ed è anche e soprattutto un modus operandi dei giornalisti. Non a caso, un altro paragone degno di essere citato è quello che parrebbe aver pronunciato per primo Piero Pruneti, direttore della rivista Archeologia Viva e riportata dal Corriere Fiorentino (qui il link): San Casciano “era una sorta di Lourdes del tempo“. Questo paragone (a mio parere ben più agghiacciante del precedente) è stato poi ripreso da altre testate online fino ad approdare il 18.11.2022 al TGR Toscana: nel corso di un’intervista al DG Musei Osanna il giornalista commenta “La Lourdes degli Etruschi” lasciando l’ambiguità su chi possa aver pronunciato effettivamente la frase: mi rifiuto di credere, però, che Osanna abbia pronunciato ‘sta frase.

Tornando all’8 novembre, la notizia della scoperta dei bronzi di San Casciano dei Bagni ha avuto oggettivamente una grande risonanza mediatica. E in questo senso ha lavorato molto bene l‘Ufficio Stampa del Mic, redigendo un comunicato articolato, con una cartella stampa ricca di foto, video, interviste, materiale utile per scrivere ben più di un trafiletto. Ha lavorato molto bene, già nel periodo precedente, ma soprattutto nei giorni successivi, la pagina facebook (e annesso instagram) legato agli scavi Il santuario ritrovato – San Casciano dei Bagni: foto di scavo, foto dei lavori in corso, foto di gruppo di chi ha lavorato, approfondimenti, video, interviste, rassegna stampa: i social della missione di scavo sono stati in grado di reggere molto bene la pressione mediatica, di reagire al boom di visibilità che nel giro di poche ore hanno avuto e di mantenere un alto valore a livello di comunicazione e soprattutto di disseminazione della conoscenza. Congratulazioni a chi gestisce i contenuti e amministra la pagina.

Un momento di attività sul cantiere, dalla pagina facebook Il santuario ritrovato – San Casciano dei Bagni

La notizia, le polemiche

Nella mia bolla social io sono stata letteralmente sommersa da post su post riguardanti la scoperta dei bronzi di San Casciano dei Bagni: post di cronaca, post entusiasti, post dei diretti interessati, post che rilanciavano la notizia, post, infine, polemici.

La polemica si è rivolta, ovviamente, non alla scoperta in sé, ma alla comunicazione che ne è stata data. Potremmo dividere questi post in tre categorie:

  • sovraesposizione mediatica del tutto ingiustificata fatta solo con finalità politiche;
  • il paragone con i Bronzi di Riace;
  • il concetto stesso di scoperta archeologica e la comunicazione superficiale che viene fatta.

Iniziamo dal primo punto: la sovraesposizione mediatica con finalità politiche. Naturalmente, poiché la notizia è stata lanciata dall’Ufficio Stampa del Ministero della cultura all’insediamento del nuovo ministro Sangiuliano, il dubbio che la notizia sia stata data solo ora che c’è stato l’avvicendamento al Governo è stata una delle critiche mosse, e la notizia in sé è stata vista come uno sfoggio di visibilità da parte di chi già detiene posti di potere nel nostro ministero. Non è la prima volta che accade, solo che solitamente è Pompei il soggetto anche perché, spesso e volentieri, è solo Pompei che fa notizia da prima pagina quando si parla di archeologia (e su questo potremmo discutere ore e ore e non è detto che un giorno non lo faremo). Questa volta il soggetto è cambiato, ma la polemica mira aridimensionare la portata – cosa che è pure corretta, tutto sommato – cercando di andare a smussare le sparate sensazionalistiche che accompagnano questo genere di notizie. Succede sempre per Pompei, è successo anche questa volta per i Bronzi di San Casciano.

Strettamente legato al primo punto è il secondo: è stato messo alla berlina in particolare, infatti, il paragone con i Bronzi di Riace. Se il Direttore Generale Musei ha infatti detto “la più grande scoperta DAI Bronzi di Riace“, volendo connotare in senso temporale la portata del nuovo rinvenimento (come a dire: è da 50 anni che non si facevano in Italia scoperte così eclatanti), il paragone con i Bronzi di Riace non è piaciuto per alcuni motivi:

  1. Il contesto e le circostanze del rinvenimento sono completamente diverse e non paragonabili: nel caso dei Bronzi di Riace, contesto subacqueo e ritrovamento casuale, in ogni caso non dovuto a ricerca archeologica mirata; nel caso di San Casciano, invece, progetto di ricerca ben delineato e quindi contesto da scavo, peraltro in sinergia tra Soprintendenza, Università, Comune. Subacqueo? No, direi di no, anche se i bronzi sono emersi dal fango.
  2. C’è chi ha interpretato quella frase di Osanna come un voler paragonare sul piano artistico i due gruppi di opere. Cosa che certo non è fattibile, sia per l’epoca che per lo stile, che per la produzione, che per la tipologia, che… posso andare avanti per ore. Il paragone sul piano artistico non regge. Inoltre c’è chi, ma qui secondo me si va degenerando, ha visto nel paragone coi Bronzi di Riace un voler mettere in contrapposizione Nord (in realtà Centro) e Sud, trovando in questo termine di paragone un modo per mettere in competizione, e dunque in secondo, piano la ricchezza artistica del Sud. A mio parere eccessivo, ma tant’è, questa riflessione è stata postata su facebook taggando, tra l’altro, il Direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, Carmelo Malacrino.

Infine veniamo al terzo punto, che prende le mosse dai primi due, e che diventa una riflessione metodologica, anche filosofica, sul tema della notiziabilità della scoperta archeologica in quanto tale. Riflessioni che senza dubbio meritano di essere lette, ma che secondo me non vedono su facebook lo spazio giusto per essere espresse o argomentate. Meriterebbero cioè uno spazio di discussione decisamente più ampio – e anche ufficiale, permettetemi di dirlo – nel quale essere espresse. Mi riferisco al post di Paolo Gull che parte infatti con un’interessante riflessione. Cito ciò che scrive: “l’archeologia non è e non può essere incentrata sulla “scoperta archeologica” cioè sulla scoperta di qualcosa di nuovo. Questa concezione è assurda (vorrebbe dire che un bravo archeologo è solamente quello che “scopre le cose”) ma soprattutto metodologicamente sbagliata.” Su questo non c’è assolutamente niente da eccepire, anzi, e tutti noi archeologi che ci occupiamo di comunicazione e di divulgazione siamo concordi su questo punto.

Cui prodest? A chi si rivolge la comunicazione della scoperta archeologica?

La riflessione di Gull poi prosegue, passando dal piano della comunicazione a quello della ricerca e della pubblicazione in sede scientifica. Ed è qui che sta il nodo: la comunicazione. La comunicazione è fatta di un comunicante, un contenuto, e un ricevente. Ora, è ovvio che ci dovranno essere diversi piani di comunicazione per differenti tipi di pubblico cui ci si rivolge e non possiamo avere la pretesa che il pubblico di facebook, dei quotidiani online e dei telegiornali riceva messaggi che non sono notiziabili. In archeologia, purtroppo, non fanno notizia (giornalistica, intendo) le domande che si pone l’archeologo, ma fa notizia l’esito di quelle domande e di quella ricerca. Possiamo storcere il naso quanto ci pare, ma è così.

Vi sono altri spazi dove la notizia può essere approfondita: e quello sarà il linguaggio della divulgazione, che sarà chiamata a contestualizzare la scoperta, a raccontare la ricerca e a spiegare le domande che l’archeologo si è posto. E la divulgazione avrà un pubblico diverso rispetto a quello dei social: un pubblico più attento, interessato, un pubblico che leggerà un approfondimento, che visiterà la futura mostra o museo che verrà, che guarderà un eventuale documentario sul tema.

Infine c’è la pubblicazione fatta da addetti ai lavori per addetti ai lavori in sede accademica o scientifica, i cui contenuti saranno valutati col sistema della peer review: quella sarà la sede della pubblicazione scientifica dei dati, della discussione sull’interpretazione, dell’analisi del contesto e della descrizione tipologica. E il pubblico sarà quello dei colleghi esperti del settore, archeologi e docenti universitari, dottorandi e dottori di ricerca.

Questi tre livelli della comunicazione sono una piramide rovesciata se la si guarda dal punto di vista del pubblico che intercettano, e il livello di approfondimento è necessariamente inversamente proporzionale al numero di persone alle quali si rivolge, e i motivi sono i più disparati: il livello di interesse, il livello di istruzione e di comprensione, la voglia o meno di saperne di più per motivi di diletto o di interesse personale, la necessità di informarsi o di studiare per apprendere. La notizia stessa cambia forma: da notizia flash diventa informazione o contenuto di approfondimento, fino a diventare studio specialistico.

La piramide rovesciata della comunicazione: più una notizia/informazione/studio è trattato in maniera approfondita/specifica, meno pubblico raggiunge e a meno pubblico si rivolge.

E dopo la notizia, le fake news

Ritornando al caso di San Casciano dei Bagni, è stato interessante assistere a un fenomeno molto particolare: la diffusione di una fake news. Questa falsa notizia si è infilata nello scorrere tumultuoso di link che nei giorni immediatamente la scoperta si sono susseguiti sui social, prendendo la forma di un ennesimo bronzetto emerso dal fango. Un bronzetto che, a guardarlo bene aveva caratteristiche assai curiose: 7 dita nella mano sinistra, un piede altrettanto deforme, un volto che sembra quello di Pinocchio, ma senza il naso lungo.

Messo in giro da Labodif, probabilmente a sua volta vittima di uno scherzo, visto che ha sostituito l’immagine con un’altra (questa volta veritiera), ha spopolato sui social mescolandosi alle altre statue rinvenute nel fango del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni. E’ stato poi Valentino Nizzo, direttore del Museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, a svelare pubblicamente l’inganno in un suo post su facebook riflettendo per primo su quanto sia facile spacciare per vere certe notizie false abusando del picco di attenzione e della credulità popolare.

Dopo qualche giorno è uscita la verità su quest’immagine: si tratta di un’opera realizzata con Intelligenza Artificiale da un artista, Fabrizio Ajello, che ha raccontato ad Artribune come da esperimento artistico sia poi nata la fake news.

Io, lo ammetto, non avevo osservato particolarmente la foto, ma mi ero limitata a registrare il fatto che non l’avevo vista tra le foto ufficiali della cartella stampa e per questo mi puzzava. Quando poi ha cominciato a circolare, senza entrare nel merito della qualità artistica, ho pensato che se davvero aveva 7 dita avrebbe fatto più notizia da solo questo bronzo della scoperta degli altri 24. Alle volte, anche senza essere un esperto di bronzistica romana, si può riuscire a non cadere in trappole come questa.

Il bronzetto fake che ha rubato per qualche istante la scena ai 24 bronzi veramente ritrovati a San Casciano dei Bagni: l’opera è una realizzazione di IA dell’artista Fabrizio Ajello

La risonanza sui social: i meme

E siccome stiamo parlando di comunicazione soprattutto sui social, non posso buttarla in caciara anche in questo articolo, come spesso faccio io, sottolineando una regola della comunicazione 2.0: se è davvero virale diventerà un meme. E i bronzi di San Casciano dei Bagni sono diventati virali, è vero, e di meme al riguardo se ne sono visti, a partire dai Bronzi di Riace chiamati in causa e che stancamente rispondono all’ennesimo paragone fatto in loro sfavore:

Per continuare con il bronzetto femminile, la cui posa è perfetta per la creazione di questo meme:

Fino a giungere al meme più divertente, più dissacrante, più attuale e politico, che gioca sul modo di dire “faccia di bronzo“. Non ha bisogno di ulteriori spiegazioni e mi sembra il modo migliore per chiudere l’articolo:

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