Mi piace salutare il 2022 guardando agli eventi archeologici più interessanti dell’anno. Alcuni di essi hanno avuto ampia eco sui media nazionali, altri meno, ma proprio per questo mi sembra doveroso segnalarli qui. Parlo di eventi perché non si tratta solo si scoperte archeologiche, ma anche di mostre, di restituzioni.
Ecco qui, in ordine sparso, ma non troppo, gli eventi archeologici più rilevanti – o almeno più interessanti – a mio insindacabile giudizio, del 2022 in Italia.
1) I Bronzi di San Casciano dei Bagni
Questa è senza dubbio la notizia più rilevante dell’anno a tema archeologia. Tutti, e dico tutti, ne hanno sentito parlare, magari senza capire dove e come, ma comunque hanno percepito l’importanza del rinvenimento, complice un battage mediatico promosso dal Ministero della cultura davvero senza eguali. Io ero ricoverata in ospedale quando è uscita la notizia e la mia compagna di stanza (e di dolori) mi ha chiesto lumi in merito. Segno della portata mediatica, indubbiamente notevole che la notizia ha avuto.
Brevemente: scavi in corso da alcuni anni a San Casciano dei Bagni, località termale in provincia di Siena già nota per presenze etrusche e romane nell’area, hanno portato alla luce, all’interno del Bagno Grande, un vero e proprio deposito votivo di ex-voto e statue in bronzo di età romano-imperiale. La notizia è stata lanciata dal Direttore Generale Musei Prof. Massimo Osanna come la più importante scoperta dai Bronzi di Riace, mettendo sullo stesso livello i due rinvenimenti. Senza entrare nel merito, propongo due approfondimenti: il primo è il mio Loquis dedicato a San Casciano dei Bagni (registrato nel bagno della mia stanza in ospedale, per cui perdonerete il rimbombo e il fiatone [ero stata operata due giorni prima!]). A proposito, sai cos’è Loquis e perché può essere utile per comunicare l’archeologia?? Te lo spiego qui: L’archeologia sbarca su Loquis; il secondo è il mio commento a come è stata gestita e recepita la notizia della scoperta: Come si comunica una scoperta? Il caso di San Casciano dei Bagni.

2) Il gruppo scultoreo di Orfeo e le Sirene
Esposto momentaneamente (ma dal 2023 si trasferisce al MARTA di Taranto) al Museo dell’Arte Salvata di Roma (Sala Ottagona delle Terme di Diocleziano). Si tratta di un gruppo scultoreo della fine del IV secolo a.C. proveniente dal territorio tarantino che fu trafugato addirittura negli anni ’70 del Novecento, acquistato successivamente dal The Paul Getty Museum di Malibu, California (che negli anni ha restituito diverse opere all’Italia, dopo aver acquistato per decenni sul mercato illegale opere d’arte antica provenienti dall’Italia, così come altri istituti americani, come il MET Metropolitan Museum of Arts di New York).
Il gruppo scultoreo, in terracotta e a grandezza naturale, raffigura Orfeo intento ad ammaliare con le sue melodie le Sirene, mostri mitologici ben noti dall’epica per essere loro stesse capaci di ammaliare col loro canto i naviganti. In effetti le Sirene solitamente sono associate all’episodio mitologico di Ulisse, che nell’Odissea fece mettere tappi nelle orecchie ai suoi marinai e si fece legare all’albero maestro della nave, per poter ascoltare quel canto di perdizione ma poter ugualmente sopravvivere. Nel mito di Orfeo invece sono le Sirene ad essere ammaliate, battute sullo stesso campo di eccellenza: la musica e il canto. L’episodio di Orfeo e le Sirene risale al racconto degli Argonauti, epico dunque tanto quanto l’Odissea.
Nel gruppo scultoreo restituito dal The Paul Getty Museum Orfeo è seduto mentre canta alle Sirene per ammansirle. Le due Sirene hanno la parte superiore del corpo femminile, mentre l’inferiore non è a coda di pesce, come siamo abituati a immaginare le sirene, ma a zampe d’uccello: mostri a tutti gli effetti.
Sul sito web del Museo Nazionale Romano è illustrata con dovizia di particolari l’operazione dei Carabinieri Nucleo Tutela Beni Culturali che ha portato alla restituzione di questo gruppo scultoreo. Qui il link che spiega tutto.

Per approfondire: Che cos’è e perché visitare il Museo dell’Arte Salvata
3) Aprire un baule a Pompei
Aprire un vecchio baule è sempre un’operazione amarcord che suscita emozioni. Figurarsi aprire un baule di quasi 2000 anni fa, sigillato per sempre sotto metri di lapilli di lava. Siamo a Pompei e il baule è stato rinvenuto nella Domus del Larario.
Pompei ci ha abituato alle grandi scoperte, o anche a scoperte non particolarmente eclatanti, ma che grazie a un buon apparato comunicazione e stampa, sono riuscite a raggiungere l’opinione pubblica, per cui questo baule tutto sommato non è chissà che rispetto a certe scoperte anche di anni recenti. Ma Pompei continua a scavare, a fare ricerca, a far parlare di sé. Non sto ad approfondire io la notizia del baule della Domus del Larario. Lascio spazio al video di Archaeoreporter dedicato proprio al tema.

4) Scoprire un nuovo tempio a Paestum
Il paesaggio di Paestum lo conosciamo tutti, con i suoi templi dorici maestosi che si stagliano contro la piana di Paestum e sullo sfondo degli Appennini laggiù in lontananza. Paestum è un paesaggio dell’anima. Come tale ci riesce difficile vederlo mutato, perché lo abbiamo idealizzato. Eppure chi si occupa di archeologia lo sa: niente è fluido come lo scorrere del tempo e il paesaggio archeologico come lo conosciamo oggi è un paesaggio fittizio, che non ha mai vissuto effettivamente così, nelle forme in cui lo vediamo, in nessun momento della sua esistenza. Il passato, e lo scorrere del tempo, sono fenomeni complessi, fatti di piccoli – talvolta – oppure grandi modificazioni a livello architettonico oppure urbanistico. A volte è facile accorgersene con 2000 e più anni di ritardo, a volte no. La scoperta del quarto tempio di Paestum, ancora non scavato, ma intercettato da indagini non invasive, è sicuramente una delle notizie da tenere d’occhio per il 2023.
5) Il mitreo della Domus dei Capitelli di stucco di Ostia
Questa scoperta non ha avuto la eco di altre scoperte archeologiche in Italia nel 2022. La notizia è stata pubblicata a livello mediatico sulla rivista Archeo, che certo non ha copertura nazionale (intendendo con essa tutti i livelli della popolazione) e sui social del Parco archeologico di Ostia antica. Ma la notizia non è semplice da comunicare secondo il linguaggio “tutto-e-subito” dei media di oggi: spiegare cos’è un mitreo, qual è l’iconografia di Mitra così com’è stata ricostruita dai frammenti di stucco del rilievo di culto, perché è importante questa scoperta che fa salire a 20 il numero di mitrei noti per Ostia non è facile da condensare in un unico articolo.
In realtà ho visto abbastanza da vicino i lavori di restauro della Domus dei Capitelli di Stucco, lavori che hanno riguardato la bonifica dalla vegetazione infestante, il consolidamento delle murature oltre al recupero dei pavimenti a mosaico già individuati nella prima metà del Novecento da Guido Calza, ma poi ricoperti.
Gli scavi in un ambiente della domus hanno restituito i resti frammentari di stucco dipinto. Questi frammenti avevano forma di un toro accovacciato. L’analisi degli altri frammenti di stucco evidentemente deposti intenzionalmente hanno indirizzato nell’interpretazione come mitreo: il ventesimo mitreo di Ostia, il mitreo della Domus dei Capitelli di Stucco.

Il mitreo si viene a insediare in una domus tra le più antiche di Ostia, conservatasi per via della sua longevità: costruita infatti in età repubblicana, nel I secolo a.C., subì diverse trasformazioni nei secoli seguenti, con modifiche sostanziali sia nella pianta dell’edificio che nella funzione degli spazi. E il mitreo, ricavato in uno degli ambienti sul lato di Via della Fortuna Annonaria, è il caso più eclatante di queste rifunzionalizzazioni.
6) I podcast della Direzione Generale Musei
“Paladine” e “In buone mani” sono i podcast prodotti da Chora Media e finanziati dalla Direzione Generale Musei del Ministero della cultura puntati alla valorizzazione non tanto del Patrimonio culturale, quanto piuttosto delle storie (sempre femminili) legate a questo tema. Tra le due serie, lo ammetto, ho preferito “Paladine” accompagnato dalla voce di Serena Dandini perché senza scadere nel tono retorico fa rendere conto dell’importanza di un lavoro (o mestiere) che è missione. Tra le paladine inutile che io vi dica che ci sono donne del calibro di Palma Bucarelli e Paola Zancani Montuoro: due donne completamente diverse ma che, ognuna per la sua parte hanno svolto un ruolo focale e fondamentale per il futuro del Patrimonio culturale italiano all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Quanto alle donne nelle cui “buone mani” si trovano a passare monumenti e manufatti che farebbero tremare le gambe ai più, il podcast rende loro il giusto merito, dai Bronzi di Riace alla Casa di Augusto al Palatino all’Uomo di Neanderthal del Circeo, al patrimonio subacqueo. Perché, come dice Mia Ceran, voce del podcast, le donne del Ministero della cultura sono il 70% del totale dei dipendenti.

Entrambe le serie prodotte dalla Direzione Generale Musei con Chora Media sono ottimi prodotti che tengono assolutamente conto del mercato del consumo culturale via audio. Ormai bisogna parlare in questi termini e il consumo di prodotti culturali via audio è ai livelli più alti mai registrati. E dire che è la scoperta in Italia del podcast è l’uovo di Colombo: da quanti anni ascoltiamo cose mentre facciamo altro? Eppure solo il post-lockdown ci ha dato la spinta e ci ha creato il bisogno di contenuti audio di approfondimento. Finché dura (e durerà a lungo) questo bisogno spero che la Direzione Generale Musei o in ogni caso il Ministero della cultura e i suoi istituti più o meno centrali, più o meno periferici, saranno in grado di produrre veri prodotti di comunicazione e divulgazione culturale, così come “Paladine” e “In buone mani”. Già ora esistono, e nell’immediato futuro aumenteranno, podcast prodotti da Musei e Parchi archeologici in grado di fare una buona comunicazione culturale. Credo fortemente nel potenziale dei podcast. Spero che ci crederanno anche i Direttori dei Musei e il Ministero in primis.
Questa piccola classifica serve per focalizzare alcune – solo alcune – delle scoperte archeologiche divulgate durante l’anno. Ma mi raccomando: non vi è scoperta se prima non c’è riflessione e analisi di ciò che si è visto. Si fa presto a urlare alla notizia del gran rinvenimento e sicuramente i media attuali ci hanno abituato a ciò, al voler raccontare tutto e subito. Tuttavia ogni cosa, soprattutto in archeologia, dove si ha a che fare con dati che vanno interpretati e non sono mai certi, occorre cautela. Non fidatevi mai di chi urla alla grande scoperta. E non fidatevi mai di chi dice che gli archeologi non vi vogliono rivelare chissà quali segreti. E non date retta alla serie tv Netflix di Graham Hancock il quale, lo dice in apertura della sua prima puntata, non è un archeologo ma un giornalista. Ecco, a ciascuno il suo mestiere. Buon 2023!