Si fa un gran parlare ultimamente delle grandi potenzialità dell’AI nella produzione di testi per il web. L’Intelligenza Artificiale si basa, ovviamente, su algoritmi che scandagliando il web sono in grado di rispondere a domande e di produrre testi sia didascalici che creativi. Tutto sta alla bravura di chi la interroga, nel porre le giuste domande.
L’Intelligenza Artificiale risponde a tutte le domande e le richieste. Risponde su qualsiasi argomento producendo risposte corrette, stando all’algoritmo. Un algoritmo che, partendo dalle parole chiave della domanda, scandaglia il web andando a cercare i risultati più alti nel ranking di google, dunque dotati di maggiore authority e reputation (secondo google).
Da poco prima di Natale nell’ambiente digital anche in Italia si è scatenato il dibattito. E soprattutto in tantissimi hanno messo alla prova l’AI, attraverso la ChatGPT.
Non voglio entrare nel merito dell’etica di uno strumento del genere: immaginiamo quali implicazioni se scoprissimo davvero che può sostituirsi alla scrittura umana, intendendo con essa la formulazione di concetti “corretti” nel senso di verificati, perché tratti da fonti online autorevoli.
Però una cosa l’ho fatta. Mi sono divertita, lasciatemelo fare ogni tanto. Ho interrogato ChatGPT su argomenti di archeologia. Vi posto qui di seguito, in formato immagine, domande e risposte. Sinceramente mi sono divertita, l’ho preso come un gioco e sono certa che l’algoritmo può fare un lavoro compilativo, di scansione di tutto ciò che è presente sul web su un dato argomento. Ma non può avere creatività. E la creatività, l’estro, l’ingegno, l’intuizione sono guizzi propriamente umani. Per ora, finché dura. Finché un algoritmo non ci leverà anche quelli.
ChatGPT e l’archeologia: le domande che ho posto all’Intelligenza Artificiale
Come dicevo, per puro diletto ho interrogato l’AI su temi di archeologia. Sono partita, devo ammettere, da casa mia: Ostia e Portus. L’esito è stato divertente, ma lo commentiamo dopo. Intanto leggete:

La descrizione di Ostia lascia alquanto a desiderare. Molto superficiale, pure poco corretta in certi passaggi. A questa risposta poco soddisfacente ho fatto seguire una domanda un po’ più specifica: ho chiesto di Portus, il grande porto di Roma imperiale che era amministrato da Ostia e che sorgeva dove oggi sorge Fiumicino. La risposta è già più circostanziata, ma l’AI commette un madornale errore: definisce Portus “rectangular in shape“, di forma rettangolare. Una cosa doveva sapere l’AI, una: che il porto di Traiano è esagonale! Glielo faccio notare nella domanda successiva, e l’AI si corregge, salvo poi concludere la risposta con la solita frase fatta. E nessuna menzione degli imperatori Claudio, che volle il porto, e Traiano che fece costruire il bacino esagonale.
Ho abbandonato allora Ostia e ho interrogato ChatGPT su qualcosa di archeologicamente più noto: il Colosseo. Ecco com’è andata la conversazione:

Insomma, ho sfidato l’AI e l’AI se n’è accorta. Definire il Colosseo “the most beautiful ancient monument” è un fatto suggestivo, perché ben altri monumenti si possono definire tali secondo l’algoritmo. E come dargli torto? ChatGPT a ‘sto giro hai vinto.
Ma non mi sono data per vinta, e dal Colosseo sono passata a Pompei. O meglio, al confronto tra Ostia e Pompei (una delle domande che mi vengono rivolte più spesso e cui ho dedicato il post Perché Ostia non è la Pompei romana). Ho chiesto quindi a ChatGPT quali sono le differenze tra Ostia e Pompei. Ecco la risposta:

La domanda successiva potrebbe essere “Quale sarebbe il tempio di Apollo di Ostia?” (non esiste, n.d.r.). Ma sono sicura che la risposta non mi darebbe soddisfazione. Per cui vado avanti e cambio – ma non troppo – argomento.
Chiedo all’Intelligenza Artificiale di dirmi quale sia stata la scoperta archeologica più sensazionale in Italia nel 2022. E mi risponde che il suo aggiornamento arriva al 2021. Insisto, perché non credo di aver capito. Chiedo espressamente della scoperta dei Bronzi di San Casciano dei Bagni. Ed ecco la risposta dell’Intelligenza Artificiale:

Peraltro, non ricordavo che i bronzetti raffiguranti Castore e Polluce fossero esposti al Museo archeologico Nazionale di Firenze. Verificherò. Ma certo non è l’informazione più rilevante che si possa reperire sull’argomento. E in ogni caso, ribadisce l’AI di non essere aggiornata al 2022 e che quand’anche io le rivelassi informazioni utili a colmare la sua lacuna non potrebbe verificarne la veridicità. Ecco, questo per me è un paradosso enorme.
Ma andiamo avanti. Le riflessioni le lascio alla fine e le lascio soprattutto a voi.
Intanto continuo a giocare. Pongo così a ChatGPT una domanda tipica delle ricerche su google: Quali siti archeologici mi consigli di visitare e perché?

Ok, rosico perché Ostia antica non compare in questa top five che sembra scritta apposta per farsi notare dalla SEO, ovvero dalla Search Engine Optimisation, il meccanismo che serve a Google per trovare i contenuti più interessanti (e quindi, secondo Google, più meritevoli, più rilevanti dal punto di vista della reputazione dell’autore e della sua authority). E va bene tutto, ma esattamente quali sono le tre tombe a tholos di Paestum? Qualcuno dica all’AI che ha toppato alla grande: casomai doveva parlarmi dei tre templi dorici.
Pian piano che vado avanti nel porre domande a ChatGPT mi rendo conto che almeno per ora l’intelligenza artificiale non può sostituirsi alla creatività umana, né tantomeno possiamo affidarci ad essa per reperire nozioni culturali o scientifiche specifiche.
Ma non demordo. Ecco la mia domanda successiva:

E niente, non ci siamo proprio. Il Vaso François è esposto da ben prima del Novecento al Museo archeologico Nazionale di Firenze. Atene l’ha vista forse quando Kleitias ed Ergotimos, i due artigiani che lo realizzarono, lo tirarono fuori dalla fornace, ma per il resto il Vaso François è stato rinvenuto in frammenti in una tomba di Chiusi e da quel momento, seconda metà dell’Ottocento, è esposto a Firenze. Con buona pace della Locride in Grecia (sic!)
Diciamo che più scendo nel merito delle domande archeologiche, e quindi man mano che le domande si fanno più specifiche l’algoritmo stenta a dare risposte soddisfacenti. Ultimo esperimento in tal senso è questo: ho chiesto all’AI se conoscesse la città romana di Sentinum. Ecco la risposta:

In sostanza l’AI ha confuso Sentinum, nelle Marche e anfiteatro-sguarnita con Gubbio, in Umbria e anfiteatro-munita. Alla mia segnalazione di errore ChatGPT si corregge con umiltà, ma poi mi dice di affidarmi completamente a lei se voglio sapere qualcosa di più, perché lei è a disposizione per aiutarmi. Stellina, mi fa quasi tenerezza.
Oggi ho giocato. Ho voluto sperimentare quest’app che ora è sulla bocca di tutti per vedere come si potesse adattare alla comunicazione archeologica. Ho voluto darle credito, sennò mai avrei sprecato una serata della mia vita appresso a lei. Però il risultato, ancorché scarso sul piano dei contenuti, è stato molto soddisfacente sul piano dell’esperienza. Perché bisogna sperimentarle le cose, prima di osannarle o di affossarle per partito preso.
La conclusione è una sola: sono gli archeologi che devono comunicare l’archeologia. Non devono demandare a terzi, men che meno a intelligenze artificiali che non sanno distinguere un’informazione verificata da una plausibile e che rischiano di fare confusione mentre processano le informazioni a loro disposizione. E anche se ancora a livello accademico la comunicazione dell’archeologia e l’archeologia pubblica in tutte le sue declinazioni stentano a farsi riconoscere come arti fondamentali dell’intero organismo della ricerca archeologica, noi dobbiamo lottare in quella direzione, nella direzione di raggiungere le persone, di coinvolgerle nel racconto della scoperta o anche soltanto (si fa per dire) del nostro passato.