Gli Etruschi. Chi sono costoro? Una grande mostra evento a Bologna racconta questa grande civiltà dell’Italia pre-romana. Un percorso cronologico e topografico che ci porta a fare un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio.
Per tutta la primavera 2020 gli Etruschi sono i grandi protagonisti dell’archeologia in Italia. Sono passati 20 anni (ero una matricola all’università!) dalla grande mostra sugli Etruschi a Venezia, Palazzo Grassi: una mostra che all’epoca ebbe il grande merito di portare all’attenzione internazionale gli Etruschi, fino a quel momento visti come un popolo preromano tra i tanti.
Da 20 anni a questa parte gli studi sono progrediti, e anche il modo di raccontare e di porsi nei confronti degli Etruschi è cambiato. Oggi non si può più parlare di Etruschi in generale, ma occorre distinguere per aree geografiche, perché in ciascun areale in cui gli Etruschi si insediarono, essi svilupparono caratteristiche proprie.

La Mostra “Etruschi nelle terre dei Rasna”: perché visitarla
Innanzitutto una domanda: perché una mostra sugli Etruschi a Bologna?
La risposta è semplice: Bologna, antica Felsina, ha radici etrusche. Lo si scopre fin dalla prima sezione della mostra, con l’esposizione del vaso rotto ritualmente e gettato nel solco di fondazione della città. Lo si coglie poi alla fine del percorso museale, quando si torna nel territorio di Bologna e dintorni, Verucchio e Marzabotto. Gli Etruschi a Bologna lasciano un segno di non poco conto e la mostra sottolinea questo rapporto puntando sull’unicità degli Etruschi bolognesi rispetto agli altri. Ma andiamo con ordine.
Bologna si sta imponendo anno dopo anno come polo culturale d’eccellenza. I Musei di Bologna hanno colto tutto il potenziale di una mostra dedicata alla grande civiltà preromana su cui tanto si è detto e si è scritto in questi anni, senza che il pubblico avesse potuto vedere una sintesi fin’ora.

Nell’immaginario collettivo gli Etruschi sono legati alla Toscana, all’Umbria e all’alto Lazio. I grandi centri comunemente noti di Chiusi, Populonia, Vetulonia, Tarquinia, Cerveteri, Veio, Vulci la fanno da padrone, ma in realtà gli Etruschi sono andati molto oltre. E il merito di questa mostra è proprio quello di portare all’attenzione siti e areali di influenza etruschi che ai più non sono noti.
Tombe dipinte, Chimera di Arezzo, bronzetti, tombe a tumulo, urnette cinerarie scolpite sono ciò che viene in mente quando si parla di Etruschi. Ah già, dimenticavo: il mito della scrittura etrusca – che nell’opinione comune è ancora un mistero, quando in realtà molti testi sono stati tradotti fornendo la chiave di lettura per gli altri – e il mito delle origini. Quella vecchia storia che gli Etruschi ne arriverebbero dall’Asia Minore è dura a morire. In mostra non viene minimamente presa in considerazione. E infatti si parte, com’è giusto che sia, dalle ultime fasi della civiltà Villanoviana (X-IX secolo a.C.).
La prima parte del percorso espositivo offre un momento di preparazione al viaggio, facendo conoscere al visitatore i lineamenti principali della cultura e della storia del popolo etrusco, attraverso oggetti e contesti archeologici fortemente identificativi. Così preparato, il visitatore può affrontare la seconda sezione, dove si compie il viaggio vero e proprio nelle terre dei Rasna.
Per rispondere alla domanda di partenza: perché visitare una mostra sugli Etruschi?
Perché, semplicemente, permette di fare il punto su una civiltà che ormai si conosce molto bene, in tutte le sue sfaccettature sia a livello cronologico che, soprattutto, a livello geografico. Ogni grande centro ha la sua storia, il suo inizio e la sua fine: quando Bologna/Felsina viene fondata, un vaso viene rotto intenzionalmente e i suoi resti gettati nel solco di fondazione; Vetulonia è ritenuta la città che inventò i “fasci littori”, quelli che poi contraddistinguevano le occasioni solenni della Roma Repubblicana; Veio fu conquistata da Roma per il controllo delle saline; la statua dell’Arringatore sul Lago Trasimeno ci parla di un personaggio che guida la sua città negli anni della romanizzazione – lui rappresentato come magistrato romano, ma tradito dall’iscrizione in lingua etrusca.

Andando a sud, pochi sanno che Pompei nasce come centro di influenza etrusca. La mostra Pompei e i Greci gettava luce proprio su questo aspetto. Del resto Pontecagnano, capoluogo dell’Etruria Meridionale, è poco distante.
Andando a Nord invece l’Etruria Padana è un altro territorio nel quale gli Etruschi si installano dando vita a città uniche. Marzabotto è l’esempio della città orientata secondo la suddivisione del cielo etrusca e in cui si distingue un settore destinato al sacro, un settore residenziale e l’acropoli in altura.
Di Verucchio tutti noi conosciamo i tintinnabuli in bronzo su cui sono raffigurate scene femminili di filatura e tessitura. In mostra vedremo ben altro: fibule in ambra che levano il fiato, per esempio. Spina infine, l’emporio sull’Adriatico, in mostra non ha molto spazio. Ma basta visitare il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara per capire che ruolo rivestissero gli Etruschi anche sull’Adriatico.
#EtruschiBologna in 7 punti: cosa mi ha davvero entusiasmato in questo Viaggio nelle terre dei Rasna
Dovendo dire su due piedi qual è il grande merito della mostra Etruschi – Viaggio nelle terre dei Rasna io non ho dubbi: il criterio topografico scelto per la seconda parte (più consistente e succosa) dell’esposizione. Ma andiamo con ordine.
Ecco i 7 punti per cui per me è valsa la pena visitare Etruschi – Viaggio nelle Terre dei Rasna
1 – Il vaso rituale impiegato nella fondazione della città di Felsina
Il solco primigenio, il solco di aratro che tracciava il recinto di un nuovo insediamento, a Bologna/Felsina (ma non solo) è stato individuato nel capoluogo emiliano, e ha restituito la prova lampante e più tangibile del rito di fondazione: un vaso d’impasto, datato al 750 a.C. (gli stessi anni in cui veniva fondata Roma, eh) rinvenuto in Piazza Azzarita a Bologna. Trovarmi davanti all’oggetto che ha sancito la fondazione della città di Felsina per me è stata una vera emozione, come entrare davvero in contatto con la Storia. Il mio pensiero inevitabilmente è andato all’équipe di archeologi che ha fatto la scoperta e al/alla collega che ha interpretato quei frammenti di vaso come il vaso di fondazione. Non oso immaginare l’emozione mentre si rendeva conto della sua scoperta.

2 – Le idrie di Meidias
Meidias era un ceramista attico noto per alcuni vasi che sono riconducibili alla sua attività. Tra questi si collocano due Hydriae, vasi per la raccolta e il trasporto dell’acqua, che si distinguono per l’estrema raffinatezza delle figure rosse e per l’arricchimento in foglia d’oro di alcuni dettagli delle figure stesse.
La cosa interessante di queste hydriae è che si trovano in una sepoltura femminile, corredo di una tomba a tumulo principesca a Populonia. Meraviglioso anche il resto del corredo, costituito da vasellame e attrezzi in bronzo, segno del ceto sociale dei proprietari della tomba. Un contesto meraviglioso che solitamente si trova nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

3 – La scansione in colori delle sezioni topografiche della mostra
Fondamentale per orientarsi nella distinzione delle aree geografiche di influenza etrusca è la scansione in colori differenti. Lì per lì non ce ne accorgiamo. Ma da Cortona/Chiusi/Perugia – contraddistinta dal rosso – in avanti, il susseguirsi di colori accesi ci accompagna per mano nella comprensione delle differenze a livello archeologico oltre che topografico.
Mi si conceda una digressione: il criterio topografico, e cronologico all’interno di esso, è l’unico modo per poter confrontare tante manifestazioni culturali – non solo artistiche, non solo di cultura materiale e/o di influenze commerciali e ideologiche esterne – che hanno convissuto negli stessi anni in aree geografiche anche molto distanti.

Il mio primo contatto con una concezione topografica degli Etruschi è stato il Museo Topografico d’Etruria, che oggi è un nome convenzionale ad uso e consumo di chi lavora all’interno del Museo archeologico Nazionale di Firenze, ma che un tempo fu voluto dal primo direttore del Museo Luigi Adriano Milani che voleva mettere in fila, perché si potessero confrontare, le differenti espressioni culturali, note all’epoca principalmente attraverso i corredi funerari, delle singole città dell’Etruria.
Il Museo topografico così com’era stato concepito da Milani è morto miseramente con l’alluvione di Firenze del 1966. Ma il criterio topografico in molte occasioni è rimasto e la mostra di Bologna l’ha fatto proprio, con esiti eccellenti. Distinguendo i differenti areali geografici ha permesso di confrontare e affiancare le diverse influenze, preferenze, usanze degli Etruschi del Nord, della Costa, del Sud, degli Appennini, della Pianura Padana, della Val Tiberina, ecc. L’occhio attento noterà che alcune tipologie di oggetti sono estremamente diffuse in alcuni centri e inesistenti in altre: a Pontecagnano, per esempio, non troverete mai un’urnetta cineraria in alabastro come quelle di Vetulonia, per esempio.
4 – I corredi funerari da Pontecagnano
Per chi pensa che gli Etruschi si fermino a Veio ecco una grande verità: l’Etruria Meridionale, che a Pontecagnano, provincia di Salerno, vede la sua espressione migliore, è l’esempio lampante di come 650 anni prima di Cristo il Mediterraneo fosse già un grande lago sulle cui rive avvenivano grandi scambi commerciali e culturali mentre, al largo, si combattevano pesantissime battaglie navali.

Pontecagnano è il luogo più significativo, ma la presenza etrusca nell’area campana è diffusa a macchia d’olio. In mostra, oltre a corredi sepolcrali di alto rango (fibule in bronzo, ma anche oggetti d’importazione) e all’armatura in bronzo di soldato (410-390 a.C.) dalla Necropoli Orientale di Pontecagnano, sono documentati anche corredi da Nola e da Nocera Superiore. La semplice eppure splendida coppa con l’iscrizione Ariston ben leggibile è eccezionale.

5 – La statuetta di offerente da Pizzidimonte – Prato

Questa statuetta, che fa parte delle collezioni del British Museum, raffigura un giovane offerente col braccio destro portato in avanti, l’altro piegato sul fianco. Questa bella statuetta in bronzo, datata al 470 a.C. è nota fino dal 1735 quando si parla del suo rinvenimento presso Pizzidimonte, altura sopra Gonfienti, Prato. Gonfienti negli anni recenti ha restituito un importante abitato etrusco posto al di qua degli Appennini, centro di fondovalle sul versante toscano, in collegamento col centro di fondovalle sul versante emiliano di Marzabotto tramite la cosiddetta via degli Dei.
Questa statuetta non mi era nuova. Chissà come, mi sembrava di averla già vista. Poi tutto è stato chiaro: un grande murales sulle mura di Prato lo raffigura. L’archeologa che è in me si commuove, perché penso che di tutto ciò che poteva essere rappresentato in streetart sulle mura di Prato un bronzetto etrusco migrato a Londra fosse l’ultima cosa. E invece. Segno identitario? Quanti a Prato lo capiscono? Eppure c’è, e io in mostra a Bologna ho incontrato un vecchio amico il quale, nonostante la distanza fisica che separa il, British Museum da Gonfienti, sa farsi riconoscere.
6 – La sepoltura di due bambini dalla spiaggia di Populonia
In un’epoca, il IX secolo, contraddistinta dalle sepolture a incinerazione, il rinvenimento di una doppia sepoltura infantile a inumazione all’interno di due pithoi, due grossi contenitori in terracotta, lascia interdetti. Eppure è il segno del passaggio dall’incinerazione, tipica dell’età villanoviana, ad un successivo e diverso modo di intendere la morte.
Personalmente commuove la ricostruzione della tomba: complice il colore azzurro intenso scelto per l’areale geografico di Populonia, l’ambientazione e la ricostruzione sull’arenile sabbioso e la ricomposizione dei due piccoli scheletri completi del loro corredo di gioielli in bronzo, questa doppia sepoltura infantile colpisce per la sua intensità.

7 – I reperti in legno della tomba 142 di Via delle Belle Arti, Bologna
La meraviglia assoluta. L’idea che si siano conservati degli oggetti in legno, principalmente elementi di mobilio, già di per sé dà alla testa. Ma la ricostruzione del contesto è davvero eccezionale.

Si tratta della tomba di un aristocratico di altissimo rango. Complicatissima la simbologia sottesa alla realizzazione della sepoltura. L’ossuario in bronzo, per cominciare, era rivestito da un tessuto e da un mantello di cuoio, e posto su un tavolino in legno – conservatosi miracolosamente – a sette gambe tornite. Davanti ad esso era deposto un poggiapiedi, simbolo della regalità orientale, su cui era poggiata la riproduzione in legno di due piedi con i calzari in cuoio! Si veniva così a ridefinire la fisicità del defunto, fisicità che si era dissolta al momento dell’incinerazione.
Su un tavolo in legno a 12 gambe, anch’esse tornite, erano poste le offerte di cibo. Naturalmente, trattandosi di una sepoltura principesca, non poteva mancare il vasellame dedicato al consumo del vino e al simposio.
Un ritrovamento davvero eccezionale per la conservazione del legno: il pensiero non può che correre a pensare quante informazioni abbiamo perso in tutti quei contesti, la stragrande maggioranza, in cui degli oggetti in legno non è rimasta traccia.

Quei piedi in legno mi sono rimasti impressi come pochi altri oggetti etruschi finora: così effimeri, eppure hanno resistito fino ad oggi per raccontarci gli Etruschi – almeno quelli di Bologna – sotto una luce di cui finora non sospettavamo l’esistenza.
Ecco, io trovo tutto ciò magnifico.
La mostra Etruschi – Viaggio nelle terre dei Rasna è stata promossa e progettata da Istituzione Bologna Musei | Museo Civico Archeologico, in collaborazione con la Cattedra di Etruscologia e Archeologia Italica dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, realizzata da Electa e e posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana.
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