Avverto la stanchezza. Non fisica, ma mentale, che da domenica 8 marzo 2020, da quando è stata disposta la chiusura di tutti i Musei e Luoghi della Cultura sul territorio nazionale per l’emergenza Covid-19, sta prendendo me e con me tutti coloro che si occupano di comunicazione museale.
Tra hashtag e campagne create al volo e di corsa, tra la necessità di stare sul pezzo, quella di fare rete tra istituti per far passare il messaggio e la cosa più fondamentale, ovvero fare comunicazione culturale, personalmente è da domenica 8 marzo che frullo in continuazione, dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba. E con me tutti coloro che svolgono le mansioni di comunicatore – social in primis – per i Luoghi della Cultura.
Così mentre tutti restano a casa, o quantomeno sono invitati a farlo, i comunicatori corrono e frullano per creare tanti contenuti al grido di “se i musei sono chiusi, li apriamo virtualmente!” con tanti bei contenuti fruibili digitalmente.

E qui iniziano i problemi.
I Musei e la digitalizzazione. A che punto stiamo?
Perché, e sono anni che lo diciamo, sono davvero pochi i musei in Italia già attrezzati per il digitale. Attrezzati per poter offrire una visita virtuale alle proprie collezioni e opere. Basta vedere i dati sulle indagini sulla digitalizzazione dei Musei condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e nelle Attività Culturali del Politecnico di Milano per il biennio 2018-2019 per vedere il quadro della situazione: sconcertante, avvilente, desolante.
Stando a queste rilevazioni*, alla domanda “Avete un piano strategico formalizzato dell’innovazione digitale?” La risposta è stata per 76% dei 420 istituti interpellati “NO”. Il 76% non mette in conto nulla. A meno che, e ci può stare, chi ha risposto non abbia capito la domanda. Perché alla domanda successiva “Avete un sito web dedicato?” i 420 interpellati rispondono al 73% sì, il che mi fa pensare che il sito web non venga aggiornato dal 2008 e alla domanda “Avete un’app?” il 62% risponde “No, ma prevediamo di inserirla”, il che equivale allora a dire che un pensiero strategico in realtà c’è.
E quando si arriva al punto, ovvero “Avete pubblicato la collezione digitalizzata su un sito web?” il 72% dei soliti 420 dice NO. Dove per digitalizzato si intende anche la semplice fotografia, non necessariamente un tour virtuale del museo o la visione a 360° di un’opera ad altissima risoluzione.
Dopo quell’indagine del 2019 è nato in estate il Piano Triennale per la Digitalizzazione e l’Innovazione dei Musei a cura della Direzione Generale Musei del MiBACT. Un documento importante, denso, che tratta a 360° il tema del digitale a tutti i livelli, tra cui ovviamente quello della comunicazione.
Il documento tratta temi importanti, come l’Architettura delle informazioni, nei quali si fa specifico riferimento ai tre grandi temi della comunicazione:
- Conosci il tuo pubblico
- Crea contenuti rilevanti
- Organizza una comunicazione sostenibile e adeguata al contesto
Se i primi due punti sono abbastanza facili da capire, il terzo è un pochino più complesso perché mette in gioco due fattori: la capacità di creare una strategia di comunicazione che possa essere portata avanti nel tempo mantenendo sempre una certa qualità – e quindi interessa le risorse sia umane che strumentali da mettere in campo – e lo stretto rapporto tra online e offline. Perché di fatto sotto il cappello della Comunicazione museale non vanno soltanto le attività digitali – social, sito web, app – ma anche la comunicazione onsite e quella offline, che sono due aspetti della comunicazione ben distinti tra loro, come spiega molto bene Nicolette Mandarano nel suo libro “Musei e Media Digitali” (Carocci 2019). L’integrazione tra questi tre aspetti della comunicazione dà il totale della comunicazione e soprattutto il totale di una comunicazione di qualità.
Cosa sta succedendo in questi giorni?
Domenica 8 marzo, appena all’inizio di questa corsa ai musei digitali, affidavo a facebook il mio pensiero. Lo riporto qui:

Da domenica 8 marzo 2020 #iorestoacasa ma tutto intorno è una corsa.
Certo, il precipitare degli eventi ha messo chiunque, a tutti i livelli, in condizioni di dover agire e decidere in fretta cosa e come fare. Non è stata un’impresa da poco inventarsi dal nulla una campagna di comunicazione a livello centrale, condividerla con le strutture periferiche e costruire una rete affiatata. I colleghi non si sono fermati un attimo, i musei stanno producendo tantissimi contenuti. Ma la domanda che mi pongo, io che mi sto comportando alla stessa maniera per il Parco Archeologico di Ostia antica, è: sono tutti contenuti di qualità? Sono contenuti utili? A cosa servono? Chi raggiungono?
Perché è evidente che in questo frangente ogni strategia comunicativa è saltata, o quantomeno è stata rimodulata, e in molti, tantissimi casi, sta diventando più una giustapposizione di post sui vari social che non un racconto costruito e studiato.
Emerge soprattutto, in questa corsa, la difficoltà a reperire contenuti di qualità, magari già prodotti dal museo, e che siano spendibili in questa circostanza, principalmente per un motivo: non ne sono stati prodotti e non in quest’ottica. In più c’è la pressione, dall’alto, di dimostrare di essere sul pezzo. E allora la domanda torna ad essere la solita. Produciamo contenuti di qualità? Sono realmente utili? A cosa servono? Chi raggiungono?
#iorestoacasa al Parco archeologico di Ostia antica
Nel piccolo della mia esperienza (non do giudizi sull’operato degli altri, casomai valuto e giudico il mio) al Parco archeologico di Ostia antica non ci siamo concentrati solo sui social, ma abbiamo ragionato anche sul sito web, a come fare per renderlo un luogo virtuale nel quale trovare contenuti interessanti mentre #iorestoacasa e anche in futuro. Di fatto abbiamo apportato delle modifiche che avevamo già in programma di fare, ma di cui a questo punto abbiamo accelerato la messa in atto.
Nuovi contenuti per il sito web

Abbiamo creato una sezione nel sito, Ostia racconta, che consiste in una serie di brevi clip testuali dedicate a reperti mobili, per il momento, ma anche a monumenti e opere di Ostia e di Porto. Questa sezione era già in progetto; l’abbiamo avviata con l’intenzione di renderla un appuntamento fisso e stabile, una vera e propria rubrica di approfondimento.
L’altra innovazione sul sito web è stata la creazione di una pagina di raccordo e di distribuzione, un luogo dove il lettore può trovare più velocemente contenuti di approfondimento che rimandano principalmente a contenuti video. Questi video sono le riprese integrali delle conferenze che si svolgono al Parco, sono gli approfondimenti alle piccole mostre che sono state fatte nel 2019 al Museo Ostiense (tra cui la piccola esposizione sui bronzetti che ho curato io), sono video vari su alcune attività svolte a Ostia in materia di restauro, antropologia, ricerca e didattica.
Analizzando le statistiche – perché senza un riscontro di Analytics non si va da nessuna parte – la pagina ha avuto un notevole successo da subito, vuoi grazie al lancio sui social, vuoi perché è la prima cosa che si vede in homepage quando un utente arriva da Google. Però questo successo in realtà non mi soddisfa del tutto, per due motivi: innanzitutto perché la frequenza di rimbalzo non è bassa come mi aspettavo, il che vuol dire che sono troppe le persone che giunte lì non proseguono la navigazione; in secondo luogo perché quando arrivano su pagine collegate direttamente, che contengono testi in qualche caso lunghi e video, si fermano sulla pagina per un tempo troppo breve, segno che il video – che vorrebbe essere il nostro fiore all’occhiello – non lo guardano.
Musei chiusi, musei aperti, musei iperattivi
Sono passati appena 5 giorni dall’avvio della campagna #iorestoacasa. Credo che dopo una settimana un bilancio si possa cominciare a fare. Per quanto mi riguarda, penso che rallenterò la corsa: il rischio, anzi l’evidenza, è quella di un bombardamento mediatico fine a se stesso.
Tutta questa iperattività cui sto assistendo e in cui sono tirata anch’io per i capelli alla lunga rischia di generare contenuti inutili se non dannosi, rischiando così ciò che io odio di più di un altro evento digitale che tutta questa corsa mi ricorda: la Museumweek. La Museumweek, che parte dalle ottime intenzioni di portare i musei a raccontarsi sui social con la speranza di interagire con pubblici sempre più ampi, di fatto si riduce spesso ad un continuo rimpallo di tweet tra musei col solo scopo di usare l’hashtag per andare in trendingtopic e nella corsa di voler essere il museo più attivo. Ma a museo più attivo non corrisponde museo più efficace nel comunicare.
Ecco, questa considerazione è più che mai valida in questi giorni di “musei chiusi musei aperti”. Attenzione al non voler strafare.
Il fine della comunicazione non è il like in più o il follower nuovo (anche se i numeri fanno piacere quando sono positivi). Su questo aspetto ci fa riflettere anche Luca Melchionna in un suo recente post in cui ribadisce che l’Italia dei musei arriva tardi a capire che un minimo di programmazione e di scommessa sul digitale già in passato avrebbe potuto essere di molto aiuto oggi. Invece che costringerci a correre.
Nicolette Mandarano su facebook ha definito quello che stiamo vivendo in questi giorni “isterismo digitale” e a ragione. Il fenomeno, tra l’altro, non riguarda soltanto il comparto cultura, ma tutto, dalla didattica all’intrattenimento, persino allo shopping. Tutto, tutto fortemente esagerato.

*L’innovazione digitale dei musei nel 20019, a cura di Osservatorio Nazionale per l’Innovazione Digitale dei Beni Culturali
Ottime riflessioni.
Nel giro di qualche giorno mi piacerebbe -capisco che sarà tecnicamente difficile, nondimeno qualche speranza mi rimane- capire se nella situazione presente l’accesso da parte del pubblico agli strumenti online messi a disposizione da chi gestisce luoghi della cultura, in periodi di impossibilità dell’accesso fisico, come tendenza generale aumenta oppure al contrario diminuisce.
Non ne ho la benché minima idea, non azzarderei nemmeno il classico soldino di scommessa, ma probabilmente sarà una considerazione sulla quale riflettere.
Complimenti.
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Per quello che sto verificando io c’è stato sicuramente un aumento di accessi, di interesse e di riscontro da parte del pubblico. Ma la vera sfida è far sì che questo interesse rimanga alto. E non credo che lo si possa ottenere proponendo ogni 3 minuti qualcosa di nuovo, perché alla lunga stufa. Ulteriore considerazione: viene coinvolto pubblico che già di per sé è interessato, soltanto i grandissimi attrattori potranno sperare di far arrivare pubblico più “generalista” mettiamola così. Per quanto riguarda il caso che seguo, sto monitorando la situazione proprio per vedere come evolverà la situazione dal punto di vista del pubblico
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