museo archeologico cirò marina

Il museo archeologico di Cirò Marina

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Un piccolo museo prezioso, gratuito, che in estate è aperto anche di sera: nessuna scusa dunque per non visitare il Museo Archeologico di Cirò Marina, che racconta nelle sue sale la storia del territorio di Krimisa/Cirò, dall’età del Bronzo all’età ellenistica.

Krimisa tra mito e realtà archeologica

Narra il mito che fu Filottete a fondare Krimisa. Egli è l’eroe greco che durante la guerra di Troia, a causa di una ferita maleodorante, fu abbandonato sull’isola di Lemno dai suoi compagni. Quando però i Greci si resero conto che le armi di Filottete, a lui donate da Eracle, erano fondamentali per il buon esito della guerra, Ulisse tornò a Lemno per farsele dare. Questo, in estrema sintesi, è l’episodio narrato dalle fonti antiche.

filottete
FIlottete abbandonato ferito a Lemno, con le armi accanto. Lekytos attica a figure rosse, 420 a.C. Metropolitan Museum of New York. Credits: Wikipedia

Ciò che si tramanda sulle coste del mar Jonio, poi, è che Filottete sia stato l’ecista, cioè l’eroe fondatore di Krimisa, l’attuale Cirò Marina. Egli infatti, giunto qui, dopo aver fondato la città consacrò le armi ad Apollo, facendo costruire un tempio dedicato al dio.

Nel cuore della Magna Grecia, lungo una costa piuttosto trafficata e colonizzata (più a Nord Sibari, ancora più a Nord Metaponto, più a Sud Crotone e di fronte Taranto) Krimisa è uno dei centri meno noti, ma non per questo meno importanti della Calabria greca.

Motta: l’abitato dell’età del Bronzo

Innanzitutto, un insediamento pregreco era già presente nell’età del Bronzo, nel sito di Motta, occupato dal Bronzo medio (1700-1350 a.C.), posto su un ampio pianoro in posizione naturalmente difesa. Questo insediamento si amplia nell’epoca successiva, il Bronzo recente, intorno al 1200 a.C.

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Materiali dell’età del Bronzo rinvenuti nell’abitato di Motta (Cirò)

L’abitato di Motta ha continuità di vita per tutto il Bronzo finale (fino al 975 a.C.) e per le sue dimensioni, l’entità delle capanne rinvenute, indiziate da tracce ovali e da forti concentrazioni di materiali ceramici, doveva essere un centro importante nel territorio, una sorta di capoluogo cui facevano capo gli abitati minori sparsi, a vocazione agricola e pastorale. Non mancano per l’età del Bronzo scambi commerciali con l’Egeo e con le città micenee.

L’età arcaica e la convivenza con i Greci

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Statuette fittili rinvenute nel santuario di Demetra di Krimisa/Cirò

La fondazione greca delle colonie di Sibari e Crotone, rispettivamente a Nord e a Sud lungo questa costa Jonica, mutò l’assetto geopolitico del territorio. Le città magnogreche imposero il loro controllo sulle attività produttive nella chora, il territorio, ma non conquistarono pedissequamente tutti gli abitati della regione. Così il promontorio di Krimisa, in posizione ottimale per il controllo della navigazione e degli scambi marittimi, e circa al confine tra i territori di Crotone e Sibari, mantenne una sua identità; inoltre, il santuario di Apollo a Punta Alice divenne un grande luogo d’incontro tra genti indigene, enotrie, e greche. Così, dopo il decadimento alla fine dell’età del Bronzo, Krimisa tornò in auge in età arcaica (VI-V secolo a.C.). Nei corredi funerari rinvenuti nelle tombe enotrie dal territorio si nota una forte compenetrazione tra l’elemento indigeno e quello greco.

Ad età classica risale invece una stipe votiva, in località Bivio Alice, scoperta casualmente durante lavori pubblici e scavata in emergenza, che ha restituito tantissime statuette fittili, ex-voto raffiguranti Demetra col porcellino e la fiaccola. Il sito non è stato indagato integralmente, ma l’entità dei ritrovamenti e la presenza di strutture murarie dà ad intendere la presenza di un santuario dedicato a Demetra. Tale santuario ha lunga durata, dal V al II secolo a.C. ed è interessante perché se la divinità, Demetra, è legata a culti connessi con l’agricoltura, economia tipica della popolazione brettia, l’iconografia degli ex-voto è greca, per cui siamo in presenza di una forte integrazione culturale tra i Greci delle colonie vicine e gli indigeni che vivevano nella chora. Segno di un melting pot culturale notevole, come lo si poteva incontrare anche altrove in Magna Grecia (ad esempio nell’area campana di Pompei, com’è stato raccontato alla mostra Pompei e i Greci allestita nel 2017 a Pompei).

L’iconografia di Demetra negli ex voto di Krimisa

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Una statuetta fittile rappresentante Dementra col porcellino in braccio e una fiaccola nella mano destra

La dea è raffigurata con una fiaccola e un porcellino. La fiaccola simboleggia la ricerca da parte di Demetra della figlia Kore/Persefone, rapita dal Dio degli Inferi e fin laggiù, al buio, cercata dalla madre disperata. Il fuoco della fiaccola brucia e purifica. Unito al porcellino parla di sacrifici di maiali che si tenevano in numerose occasioni rituali dedicate alla dea, come testimonia spesso il rinvenimento in fosse di ossa macellate nei santuari, interpretate come resti di pranzi rituali e di sacrifici alla dea. In Grecia il sacrificio di maiali per assicurare la fertilità dei terreni è pratica diffusa: proprio nel corso delle feste Thesmophorie, feste prettamente femminili dedicate a Demetra, i maiali macellati erano gettati in fosse, quindi i resti, recuperati, venivano sparsi sui campi.

Il culto di Demetra è diffuso nella Calabria greca. A Locri, forse per la vicinanza con la Sicilia, dove il culto è diffuso, si hanno le prime attestazioni della presenza della dea nella seconda metà del VI secolo a.C.

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Busto di Demetra, museo archeologico di Cirò Marina

A Cirò, un simulacro di Demetra, però, proviene da un contesto funerario. E non si tratta di una statuetta fittile come le altre viste fin qui, ma di un busto di statua, sempre in terracotta, di pregevole fattura e risalente al III secolo a.C. La dea indossa il polos, il copricapo cilindrico tipico del suo abbigliamento, ha morbide ciocche di capelli ondulati che le incorniciano il viso e indossa una grossa collana a tortiglione con pendenti a goccia e a disco.

Il tempio di Apollo Alaios

A Punta Alice negli anni ’20 del Novecento, Paolo Orsi avviò gli scavi del Tempio di Apollo; negli anni ’70 Dieters Mertens riprese e approfondì le indagini. Il tempio, in stile dorico, ebbe due fasi costruttive, la prima alla prima metà del VI secolo a.C., la seconda alla fine del IV secolo a.C., quando l’edificio fu ricostruito in toto.

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elementi architettonici del tempio di Apollo Alaios

In museo sono esposti gli elementi architettonici pertinenti ad entrambe le fasi, quali elementi di cornice e capitelli di ordine dorico, oltre a oggetti in ceramica e altri materiali votivi che attestano la frequentazione del luogo di culto così come della vita quotidiana che vi si svolgeva (Paolo Orsi individuò qui un nucleo di edifici che individuò come “case dei sacerdoti”). La testa del dio, invece, rinvenuta da Paolo Orsi e divenuta il simbolo riproposto un po’ ovunque a Cirò Marina, è oggi al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, mentre nel museo di Cirò è proposta una copia.

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oggetti di uso quotidiano rinvenuti nellarea del santuario di Apollo Alaios

Oggi il tempio di Apollo Alaios, purtroppo, giace abbandonato in mezzo a pascoli di mucche nel territorio di Punta Alice, poco a nord di Cirò Marina. Il contesto pluristratificato di Punta Alice è d’altro canto un palinsesto estremamente diversificato, dalla storia lunghissima e dagli esiti più diversi. Ho parlato di Punta Alice in un post dedicato appositamente all’argomento: Punta Alice a Cirò Marina.

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