museo san domenico prato

#apritisesamo: un crowdfunding per la sezione archeologica del Museo di San Domenico a Prato

C’era una volta Prato.

San domenico prato
Il chiostro e il campanile di San Domenico a Prato

C’era una volta una città, in pieno XIII secolo, fiorente per il mercato delle stoffe.

C’era una volta una cinta muraria e chiese i cui campanili svettavano oltre le mura. C’era una volta il convento di San Domenico, costruito a partire dal 1284.

C’era una volta, però, anche Castruccio Castracani, signore di Lucca, il quale minacciava di assediare Prato. Correva l’anno 1314. L’affaire Castruccio poi si risolse in una bolla di sapone, ma nel frattempo il comune di Prato aveva imposto a chiunque possedesse edifici o parti di essi più alti delle mura di demolirli. Così i frati domenicani demolirono il campanile del convento di San Domenico, in attesa di nuovo ordine.

Nel 1337 si avvia la costruzione del nuovo campanile. Passata la minaccia di Castruccio Castracani, che poi alla fine non assalterà Prato, è il momento della ricostruzione. I Domenicani fanno quindi reinnalzare il campanile. Oggi esso si presenta interamente in mattoni. Nell’elevato qualche catino murato in maiolica arcaica e qualche bifora, come ogni buon campanile medievale in questa porzione di Toscana.

Gli scavi archeologici degli anni ’90

La costruzione del nuovo campanile sigilla un contesto archeologico/architettonico unico. Questo venne in luce negli anni Novanta, a seguito di lavori di restauro che interessarono il tetto del Coro della Chiesa di San Domenico. Il campanile si imposta infatti al di sopra di essa. Gli scavi, condotti dall’Università di Firenze, cattedra di Archeologia Medievale, hanno permesso di scoprire la tecnica costruttiva del pavimento del sottotetto del coro, sul quale si imposta direttamente, in una sua porzione, il campanile. La tecnica costruttiva consisteva, e qui viene il bello, in un vespaio di vasi. Vasi da mensa, vasi da cucina, vasi da dispensa, tutti databili in un’epoca che va dal 1284, anno di costruzione della chiesa, al 1337, anno di ricostruzione del campanile. Un complesso ceramico datato al decennio!

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I vasi rinvenuti in corso di scavo e sistemati per la musealizzazione

I vasi erano sistemati su più livelli sovrapposti, incastrati perfettamente tra di loro, sagomati in modo da incastrarsi per bene così da creare un riempimento che fosse allo stesso tempo leggero, resistente e ben coeso.

Chiunque bazzichi un po’ di archeologia sa quanto un contesto ceramico possa mandare in brodo di giuggiole un archeologo. Ecco, immaginate allora la gioia degli archeologi che si trovarono a scavare una struttura realizzata in vasi per la maggior parte integri, databili facilmente grazie al matrimonio tra il dato archeologico e l’informazione storica, ed esemplificativi di un consistente campionario di forme ceramiche in uso a Prato tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Ceramiche, peraltro, prodotte localmente.

Ceramiche nei muri

La tecnica edilizia che prevede l’impiego di vasi in ceramica nelle murature – soprattutto delle volte – è attestata sin dall’antichità: uno tra gli esempi più noti è la volta del battistero paleocristiano di Albenga, volta distrutta perché non ritenuta originale da Alfredo D’Andrade nel XX secolo e sostituita attualmente da un tetto di legno, che restituì anfore africane tarde che oltre a testimoniare una tecnica edilizia furono fondamentali ai fini della datazione dell’edificio. In età medievale ugualmente l’impiego di vasi in ceramica, notoriamente più leggeri della muratura piena, per sostenere volte è documentato. Ma lo scavo di San Domenico, negli anni ’90 del Novecento è stato il primo ad indagare stratigraficamente un contesto del genere. Dopo sono stati riconosciuti altri contesti, come la Chiesa del Carmine a Siena e il duomo di Piombino, dove però la tecnica costruttiva è lievemente differente. Vediamo nello specifico il caso pratese.

Le ceramiche nel sottotetto del Coro di San Domenico a Prato

boccalino maiolica blu
Boccalino in maiolica blu: anche questadorabile esemplare era uno scarto di lavorazione: presenta infatti difetti nella decorazione

Il campionario di ceramiche impiegate è piuttosto vasto: circa un centinaio le forme ceramiche individuate. Si va dalle ceramiche da cucina e da fuoco, pentole e olle su cui sono visibili i segni dell’uso nella traccia di bruno/nerastro che ne colora le parti che erano a contatto col calore, alle ceramiche da dispensa – come gli orci a beccaccia (detti così per la particolare forma del beccuccio). Non mancano le ceramiche da mensa, decorate: principalmente boccali in maiolica arcaica – la decorazione ceramica tipica del XIII-XIV secolo in Toscana – ed un unico esemplare di boccalino in maiolica arcaica blu: la primissima attestazione di questa produzione, solitamente datata alla seconda metà del Trecento.

Reimpiego e scarto

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Alcuni dei vasi rinvenuti impiegati nel vespaio del pavimento sopra la volta del Coro di San Domenico a Prato

Si tratta per la stragrande maggioranza di forme ceramiche chiuse acrome, prive di decorazione dipinta (con l’eccezione dei boccali da mensa), in qualche caso con decorazione incisa. Ma la cosa più interessante è che si tratta sempre di oggetti di reimpiego oppure di scarti di fornace. Nel primo caso, ben visibile nelle ceramiche da fuoco con tracce di bruciato, le olle e pentole, dopo il loro ciclo di vita in cucina, a scaldar vivande, a diretto contatto con la fiamma o col calore, invece che essere buttate e distrutte, sono state reimpiegate nella muratura. Quanto agli scarti, essi sono riconoscibilissimi: vasi implosi e crepati durante la cottura, boccali in maiolica con difetti nella decorazione. Evidentemente anch’essi non furono buttati, ma destinati direttamente dalla fornace al mercato delle seconde scelte: se il vaso non può essere utile in cucina o in dispensa, potrà andar bene nell’edilizia! Idem per le ceramiche da mensa: la decorazione non è perfetta? Il vaso mal riuscito non verrà buttato, ma riciclato per qualcos’altro: l’edilizia, per l’appunto.

Si aprono scenari per me affascinanti su un mercato di oggetti cui non si pensa di solito per il passato: l’usato e la seconda scelta. Mi immagino una città, Prato – ma sicuramente la situazione era comune a molti centri dell’Italia medievale – in cui esistevano corporazioni di persone che per mestiere ritiravano il vasellame usato e lo rivendevano per usi edilizi, in cui esistevano opifici che sapevano bene a chi smerciare i prodotti mal riusciti in cottura – perché nulla andasse sprecato – ed esistevano maestranze specializzate che mettevano in opera quegli oggetti di seconda mano e di seconda scelta per trasformarli in qualcosa di totalmente nuovo. Se non è riciclo questo, ditemi voi cos’è.

Il progetto espositivo della sezione archeologica del Museo di San Domenico

L’eccezionalità della scoperta fin da subito fece scattare negli archeologi dell’Università di Firenze l’idea di rendere nota, di musealizzare la scoperta, di diffonderne la conoscenza. Non si tratta semplicemente di esporre dei vasi, ma si tratta di una vera operazione di archeologia pubblica: si tratta infatti di raccontare la storia degli oggetti, il loro impiego così bizzarro ai nostri occhi, la storia dell’edificio che li ospita e la storia della città di Prato tra XIII e XIV secolo. Le potenzialità narrative di ogni singolo vaso sono tantissime. Per questo nel progetto espositivo del costituendo museo di San Domenico, la sezione archeologica parte dalla restituzione di uno dei livelli dei vasi rinvenuti, disposti come si presentarono agli occhi degli archeologi: ordinati, deposti orizzontalmente, incastrati per bene. Da qui la narrazione del progetto espositivo passerà a raccontare la chiesa di San Domenico, quindi entrerà nel merito delle ceramiche: le tipologie, i contesti d’uso, le forme e le destinazioni, risalendo indietro nel tempo fino alla fornace, dove tutto ebbe inizio.

ceramiche medievali san domenico prato
Alcune forme ceramiche rinvenute a San Domenico – Prato e oggetto di futura musealizzazione

Un percorso che parte dall’impiego finale per ripercorrere a ritroso la storia del vaso, sullo sfondo della storia della città di Prato. Un percorso che per essere realizzato ha bisogno però di un sostegno finanziario. Ecco perché è stato attivato un crowdfunding il cui ricavato servirà per finanziare i lavori di allestimento di questa preziosa sezione museale che aggiunge un tassello di storia interessante e senza dubbio curiosa della città di Prato e del medioevo tutto.

Qui il link per contribuire al crowdfunding: https://www.eppela.com/it/projects/22899-riapriamo-il-museo-di-san-domenico?t=updates&fbclid=IwAR36EpDSlRdvC2ZqIaLgh1JS-yi1JFBY7Jbk_k23FcI3j7w7M8RbzqUu1fg

Qui il link all’articolo dei Laboratori Archeologici Sangallo, spin-off della Cattedra di Archeologia medievale dell’Università di Firenze: Archeolounge a San Domenico

Ringrazio Chiara Marcotulli dei Laboratori Archeologici Sangallo perché senza la sua guida non avrei mai conosciuto questa storia e non avrei mai potuto raccontarvela. E ringrazio Stefania Berutti di Memorie dal Mediterraneo per avermi coinvolto. E ringrazio voi che contribuirete al crowdfunding: ci sono ancora 20 giorni di tempo!

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