Al Museo di Roma Palazzo Braschi è esposta la mostra “Roma nella camera oscura. Fotografie dall’Ottocento a oggi“.
L’archivio Fotografico del Museo di Roma espone se stesso con una bella rassegna che tocca molti aspetti dell’evoluzione della città, toccando in particolare il suo momento di passaggio più delicato, quando divenne capitale d’Italia.
Della mostra in generale ho già parlato in questo post che vi invito a leggere, qui invece mi voglio soffermare sulla sezione della mostra dedicata alla fotografia archeologica. La mostra infatti prende in esame fotografie a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento in avanti, dimostrando come il mezzo fotografico accompagni documentando tutti i cambiamenti urbanistici che travolsero la città da lì in avanti. Tra gli stravolgimenti urbanistici un peso non da poco lo hanno avuto i grandi sterri archeologici nel foro romano prima e nei fori imperiali poi. Le fotografie in mostra documentano proprio quei cambiamenti, mostrando soprattutto il prima, in modo da farci rendere conto di quanto effettivamente gli scavi archeologici abbiano cambiato i connotati ad interi settori del centro della città.
Fotografia come documentazione?
Le fotografie esposte in mostra vanno viste secondo un duplice livello: quello di chi le volle realizzare, e quello del significato che assumono oggi per noi.
Le fotografie di John Henry Parker
L’archivio fotografico del Museo di Roma ha assorbito parte del grande archivio fotografico di John Henry Parker, archeologo inglese che nella seconda metà dell’800 fece realizzare una grandiosa campagna fotografica ad alcuni fotografi romani, per un totale di 800 fotografie su 3300 scatti totali. Considerato che all’epoca la tecnica fotografica era tutto fuorché un rapido click come avviene oggi, si può immaginare l’immane lavoro, anche in termini di tempo, che tutto ciò comportò. Le macchine fotografiche, infatti, dette campagnole, erano grosse scatole di legno munite di obiettivo fotografico e di soffietto, montate su treppiedi: senz’altro poco maneggevoli, dunque, e la stessa preparazione della posa non era un semplice inquadra-e-scatta, ma prevedeva dei tempi tecnici che potevano essere anche di alcuni minuti.

Parker utilizzò queste foto in alcune sue pubblicazioni, tra cui The Archaeology of Rome (1874-76) e A catalogue of 3300 historical photographs of antiquities in Rome and Italy (1879). Riconoscendone l’importanza di documento che ritrae perfettamente lo stato di fatto, Parker sfruttò la tecnica fotografica, questa nuova tecnologia, per illustrare lo stato dei monumenti romani. Un intento scientifico orientò dunque la sua scelta.
Accanto a Parker, però, si andava sviluppando una corrente che – erede della corrente pittorica dei ruinisti che a Roma aveva avuto non pochi illustri esiti (basti pensare alle vedute del Colosseo di Van Wittel o di Canaletto, al quale lo stesso Palazzo Braschi ha dedicato la mostra precedente) – amava ritrarre le rovine per un gusto non documentario ma estetico. Le rovine del Foro romano diventano così lo sfondo per foto di gruppo, per album di vedute che si inseriscono nella scia del Grand Tour, all’epoca una tipologia di viaggio ancora molto diffusa tra i giovani nobili europei.
Il valore documentario della fotografia archeologica storica
Il valore documentario che queste fotografie avevano per Parker lo hanno anche per noi oggi, ma con esiti diversi. Parker documentava lo stato di fatto all’epoca; noi constatando la situazione dell’epoca notiamo le sostanziali differenze con oggi: gli scavi di Giacomo Boni nel Foro nei primi decenni del Novecento hanno infatti radicalmente cambiato l’aspetto di quello che un tempo era il Campo Vaccino – chiamato così perché letteralmente ci pascolavano le mucche. Osservando le fotografie possiamo constatare quanto sia cambiato non solo l’aspetto della città, ma il ruolo che la presenza delle rovine ha giocato. La fotografia scattata tra il 1855 e il 1858 da James Andersons al Foro romano, guardando verso il Campidoglio, è esemplare in tal senso: l’Arco di Settimio Severo ha i fornici in parte interrati, ma soprattutto davanti ad esso si stende un campo piatto e orizzontale. Oggi il foro, a seguito degli scavi di Boni e successivi, ha cambiato totalmente aspetto.

La fotografia archeologica storica ha quindi il pregio, per chi studia storia dell’archeologia, di documentare l’andamento di scavi, restauri e quant’altro nel corso del tempo. Così come avviene con l’archivio fotografico di Ostia antica, la sezione archeologica dell’archivio fotografico del Museo di Roma racconta come si presentavano le rovine prima della grande stagione di scavi novecenteschi e costituisce un importante documento nel ricostruire l’aspetto della città nel corso dei primi decenni di Unità d’Italia.
Non solo il Foro romano, ma altri monumenti della grande Roma imperiale vengono ritratti nel loro ambiente. Così fa davvero effetto vedere ritratto il tempio di Minerva Medica in mezzo a campi di ortaggi nel 1860, tanto più che oggi i suoi resti si trovano in pieno centro, a due passi dalla stazione Termini, in un quartiere residenziale e altamente frequentato.

E che dire degli Orti Farnesiani antistanti la Basilica di Massenzio?

Fotografia come documentazione di scavo?
Le fotografie esposte in mostra a Palazzo Braschi documentano lo stato di fatto dei monumenti calati nel loro contesto cittadino dell’epoca, ma non costituiscono documentazione di scavo. Per far sì che si colga il valore della fotografia quale utile supporto alla documentazione bisognerà aspettare ancora qualche decennio. Giacomo Boni a Roma e Dante Vaglieri a Ostia capiranno l’importanza di fotografare ritrovamenti, il progredire dei lavori, i restauri in corso d’opera, per aiutare nello studio di interpretazione e ricostruzione. A Ostia addirittura Italo Gismondi spesso scatterà fotografie, rendendosi conto dell’importanza di questo strumento, nonostante lui fosse fine architetto, rilevatore e disegnatore eccellente.
Concludendo
La mostra di Palazzo Braschi “Roma nella camera oscura. Fotografie dall’Ottocento a oggi” è una mostra eccellente che racconta le trasformazioni della città attraverso l’occhio dei fotografi. In questo senso la fotografia archeologica ben si inserisce nella narrazione, perché a Roma il rapporto con i monumenti archeologici e con l’eredità del passato è strettissimo. Ben riuscita quindi questa sezione che regala spunti di riflessioni ulteriori e interessanti sul ruolo dell’archeologia nell’Ottocento, e sul ruolo della fotografia come strumento di studio e di documentazione.