Voi che visitate gli Uffizi in lunghe code e, trascinati dalla corrente delle migliaia di visitatori, siete ora sbattuti davanti a Botticelli, ora a Leonardo, e che percorrete la grande Galleria velocemente, perché pare che i Botticelli e i Leonardo non possano aspettare un minuto di più senza di voi, e sfiorate, senza neppure vederla, una lunga schiera di volti e di personaggi che vi fissano immobili, ebbene sappiate che quella schiera di volti e di personaggi è la ragione stessa dell’esistenza degli Uffizi.

Passa la fiumana di gente. Passa vociando, chi a passo svelto, girando la testa di scatto da una parte e dall’altra per cercare di trovare per primo una sala, chi invece cammina più lento, lo sguardo in basso rivolto ad interrogare una guida sulla quale sono scritti numeri romani cui corrisponde qualcosa di imperdibile da vedere. Che ciurma indisciplinata di individui, tutti armati di macchina fotografica e telefonino, tante greggi di pecore che seguono il loro pastore con un’asta variopinta in mano, tutti vestiti alla stessa maniera: giacchetta antipioggia, cappellino antisole, scarpe comode da passeggio. Ogni tanto qualcuno ha l’ardire di guardare fuori dai finestroni: almeno costui vagamente capisce cosa sia la bellezza: e il panorama sul fiume, su Ponte Vecchio, su Oltrarno per qualche secondo strappano da questo fiume in piena di gente. Tutti i giorni così. La Galleria degli Uffizi è un corridoio di passaggio, illuminato con tante belle finestre e niente più.
Nessuno si accorge di noi.
Eppure noi sappiamo tutto di voi. Vi osserviamo attraverso i nostri sguardi immobili, scolpiti nel marmo; i nostri volti vi scrutano uno per uno, i nostri corpi inutilmente cercano di parlarvi. Niente, non ci vedete, non ci vedreste nemmeno se fossimo ancora a colori, figurarsi così, nel nostro immortale candore. Puri oggetti d’arredamento, anche meno, forse: ci considerate una schiera di teste tutte uguali, di dei ed eroi così lontani da voi da renderci tutt’altro che interessanti. Eh già, voi volete i colori. Voi volete la pittura rinascimentale. Per questo siete qui, agli Uffizi. Perché questo è il tempio della pittura rinascimentale.
Non sapete, invece, che gli Uffizi furono per prima cosa Galleria di antichità, proprio per ospitare noi, un esercito bianco e silente di imperatori, dee e principesse, di generali, di eroi e di sventurati, le cui gesta di offesa agli dei sono rimaste per sempre impresse nel marmo, a ricordo e insegnamento morale perenne: parlo di Marsia, che sfidò Apollo e fu scuoiato senza pietà, parlo dei Niobidi, figli di Niobe, che osò burlarsi della madre di Apollo e Diana, i quali senza pensarci su li uccisero a uno a uno, quei 14 figli. Sono riuniti in una sala, splendore dorato creato apposta per loro, per rendere eterna gloria e memoria agli dei, ma anche a quegli antichi che nel mito costruirono i fondamenti dell’antico vivere civile e che all’arte affidarono il compito di tramandarli nei secoli.

Non sapete che quello che voi chiamate Rinascimento avrebbe avuto un corso ben diverso se prima non vi fosse stata una certa “Rinascita dell’Antico”, un interesse antiquario verso tutte quelle antichità che la terra stava restituendo, a Roma e in Grecia, e che erano a detta di tutti capolavori di un’età dell’oro che non era più. Quel mondo antico, greco e romano, conosciuto fino allora solo attraverso i codici tramandati da secoli di trascrizioni degli autori antichi e attraverso le rovine di antichi monumenti che impressionavano per la loro resistenza al Tempo e che perciò incutevano una sorta di timore reverenziale, cominciò ad apparire non più solo fatto di voci e di pietre, ma anche di uomini, di personaggi, di artisti che sapevano infondere la vita ai blocchi di marmo che scolpivano.
Non sapete che senza la ri-scoperta della statuaria antica gli artisti rinascimentali non si sarebbero mai interrogati – o lo avrebbero fatto in altro modo – sull’uomo, sulla natura e sulle sue rappresentazioni; invece l’arte antica ha condizionato a tal punto la loro ispirazione da dare un nuovo corso all’arte del Quattrocento e del Cinquecento. Non sapete dunque che ciò che voi bramate di osservare, con i vostri occhi o attraverso lo schermo di una fotocamera, è il frutto di un’arte che guardava a noi, opere d’arte antica, come modelli di riferimento.

Siete rapiti dall’incanto e dall’aura di sacralità di certe madonne, e non vi rendete conto che furono gli scultori greci i primi a dare vita a volti perfetti nella loro bellezza, senza tempo, alle statue di dei e dee; siete attratti dall’estremo realismo nelle espressioni di certi condottieri, e non vi accorgete che ancora furono gli scultori greci i primi a concepire il ritratto in senso moderno nei volti di re, atleti, filosofi ed eroi nei quali infondevano non solo le caratteristiche fisiche, ma anche i sentimenti, il pensiero, il pathos. Restate ammaliati di fronte alla fisicità di certi corpi nudi, di certe muscolature tese fino allo spasmo, e ancora non vedete che gli scultori greci studiarono per primi l’anatomia umana e realizzarono corpi perfetti, muscolosi, atletici, trovando il canone nelle proporzioni del corpo e la posa più naturale per metterle in mostra.

Ma forse a voi non piace il bianco, vi annoia e non rende in fotografia. Forse voi cercate il colore. Il colore che solo i dipinti possono mostrare. Il colore che solo i pittori rinascimentali conoscevano talmente bene e dosavano in modulazioni di toni da mettere i brividi. Potreste perdere ore e ore ad osservare le singole pennellate su una tela (certo, se solo ne aveste il tempo), ad osservare la purezza dell’incarnato femminile, la palpabilità di certe vesti sontuose, la leggerezza dei veli delle madonne, la ruvidezza delle pelli di cui è vestito San Gerolamo, la vaghezza delle nuvole in cielo, la precisione dei fiori di un prato, le rapide pennellate che annunciano un paesaggio sullo sfondo… Non sapete, perché nessuno ve l’ha detto e perché è difficile che ve ne possiate accorgere, che un tempo eravamo dipinte anche noi, statue di marmo reso bianco dal tempo che scorre inesorabile sulla superficie, ma che non riesce ad intaccare la sostanza. Il mondo antico non è bianco come siete abituati a immaginarlo, ma al contrario vivace, colorato: i templi erano sgargianti, i ritratti avevano l’incarnato roseo, i capelli biondi o bruni, le labbra rosse, gli occhi azzurri, castani o neri, proprio come nei volti dei dipinti, proprio come nei volti degli esseri umani vivi. Anche i nostri abiti erano colorati, di indaco, di vermiglio, di ocra, di porpora, e non avevano nulla da invidiare alle tonalità che usano i pittori. Siete innamorati delle bionde chiome della Venere del Botticelli e non sapete che un’altra Venere agli Uffizi aveva capelli color dell’oro: la Venere Medici. Le tracce dorate le furono tolte, però, non più tardi di due secoli fa: non era credibile, all’epoca, che le statue antiche potessero essere colorate. L’antico è bianco, è marmo prezioso che esprime la lucentezza propria del suo candore. Il colore è per contro una corruzione: così dicevano eruditi e restauratori. E invece quale errore! Quanto della nostra forza espressiva questo candore ci toglie, fissandoci per sempre in qualcosa che nell’antichità non era, e che invece oggi è l’idea stessa di antico!

Venite qui per rendere omaggio alla Venere del Botticelli, per ammirarne le forme sinuose e perfette, la chioma dorata che si fa accarezzare dal vento, e non sapete, non sapete!, che ben altra Venere era un tempo l’oggetto del desiderio di chi veniva in visita qui, agli Uffizi: la Venere Medici, di nuovo lei torna sulla mia bocca, perché fu a lungo considerata, dalla sua scoperta a Roma nel Quattrocento, capolavoro indiscusso della scultura antica; era considerata perfetta, e quando i Medici la acquistarono e poi la posero negli Uffizi, non si limitarono a sistemarla in Galleria come noi altri comuni ritratti di marmo, no: fu posta nella Tribuna degli Uffizi, la sala più bella e inaccessibile, lo scrigno del palazzo. E all’interno dello scrigno non poteva che esserci la perla più preziosa, sotto una volta stellata di gusci d’ostrica che riflettono di madreperla. Era lei la Venere cui tutti tributavano il più alto omaggio e il più alto elogio; solo in un secondo tempo, molto vicino a voi, peraltro, quell’altra Venere, quella dipinta da Botticelli, è diventata il vostro idolo. Ma fino a due secoli fa la Venere Medici era considerata l’incarnazione della bellezza stessa, l’ideale femminile, sensuale e carnale, e al tempo stesso algido e inafferrabile, proprio quale è l’essenza di una dea, capace di fare impazzire gli uomini e di prendersi beffe dei sentimenti.
Voi che passate davanti all’Arianna dormiente mentre aspetta invano il suo Teseo e puntate diritto verso il Tondo Doni: è chiaro che ancora una volta il colore vi attrae; altrimenti almeno uno sguardo lo dedichereste a questa fanciulla che dorme: e invece siete voi che dormite, che non notate la sublime bellezza, l’abbandono di questa fanciulla che sembra così reale, così vero! Nulla, passate oltre anche se è in mezzo alla stanza, e non vi interessa neanche sapere chi sia, questa eroina del mito. Già, i miti: gli Uffizi sono zeppi di narrazioni mitologiche; e non mi riferisco solo al mito di Arianna, o a Eracle che uccide Nesso, o ad Apollo e Marsia, o ai Niobidi, o al Laocoonte divorato da un mostro marino o al bagno di Venere rappresentati nelle sculture antiche. Perché di miti greci è impregnata la pittura rinascimentale: e torna ancora una volta la nascita di Venere, nella quale la dea che esce dalla spuma del mare non è altro che la trasposizione pittorica rinascimentale di un mito greco. Cosa sarebbe la cultura occidentale senza i miti greci? Senza Zeus, Eracle, la Guerra di Troia, Ulisse e la sua Odissea? Sarebbe cosa ben diversa, e ben più povera. È dunque importante guardare ai miti antichi con attenzione, con partecipazione, con curiosità: andando oltre la favoletta per bambini scoprirete tante basi del vostro comune pensiero quotidiano. Il vostro comune sentire, che vi piaccia o no, affonda le sue radici nella cultura greca e romana, di cui noi, statue rese pallide dal tempo, ma non per questo inespressive, siamo testimoni perenni. Interrogateci: sono tante le storie che possiamo raccontarvi.

Oggi vi ho raccontato tutto questo perché vi fermiate a guardarci, la prossima volta che attraversate la Galleria. Non camminate ad occhi bassi o con lo sguardo già proiettato sul prossimo dipinto. Fermatevi a guardare anche noi, a scoprire le nostre storie, i nostri perché, ad andare oltre la fredda perfezione del marmo. Ne ricaverete un tesoro, un tesoro che oggi vi è stato svelato.
Quest’invenzione nasce in seguito all’archeoblogtour #uffiziarcheologia al quale ho preso parte insieme ad altri blogger archeologi alla scoperta delle collezioni di antichità degli Uffizi, che sono l’essenza stessa del Museo, ma cui nessuno presta mai veramente attenzione. #Uffiziarcheologia è stata anche l’occasione per presentare il progetto Gold Unveiled, un progetto di ricerca che studia le tracce di colore sulle statue antiche, a partire proprio dai marmi degli Uffizi e dalla Venere Medici, che a suo tempo fu la vera icona del museo (qui trovate proprio i risultati delle ricerche sul colore della Venere). Oggi è un’altra Venere l’icona degli Uffizi, ma questo non vuol dire che dobbiamo dimenticare o mettere da parte l’altra: al contrario è riscoprendo la vera ragione dell’esistenza degli Uffizi, che possiamo apprezzarli nella loro interezza.
Grazie a Cristiana Barandoni e Fabrizio Paolucci per la splendida opportunità data a noi archeoblogger. Buon lavoro a Gold Unveiled!