Come sempre, chi parla di divieti, restrizioni e impedimenti, risulta un po’ antipatico. E quindi, mi dispiace, questa volta la mia voce sarà antipatica. Ma sarà antipatica solo per chi, facendosi un esame di coscienza, scoprirà di comportarsi come, a parere non solo mio ma di buonissima e autorevolissima parte della blogosfera mondiale, non bisogna fare.
Due comportamenti in particolare urtano la mia sensibilità di archeoblogger:
- il copincolla
- il repost
Ebbene sì, odio quando si copia. Sarà colpa del mio passato scolastico: ero la secchiona da cui tutti pretendevano di copiare. Non che io non lo facessi fare. Ma decidevo io, casomai, come e quando concederlo.
Il copincolla
Questo atteggiamento è piuttosto diffuso. In particolare è utilizzato dalle redazioni che ricevono comunicati stampa (e che li copiano senza neanche rileggerli, e magari tagliuzzando qua e là creando dei veri e propri refusi concettuali) e da blogger che attingono il comunicato stampa a loro volta dalla redazione online e a loro volta lo buttano nel loro spazio 2.0 senza aggiungere né cambiare nulla.

Perché non si fa: Non si fa perché è un’ammissione di totale pigrizia e mancanza di idee e di voglia di rielaborare il contenuto. In più è dannoso: sì, perché non porta più lettori alla pagina e se anche li porta, non li porterà una seconda volta. Poniamo il caso che io, lettore, cerco informazioni sulla mostra “Colosseo. Un’icona” a Roma. Poniamo che apro Google. Fate una prova: i primi risultati che Google vi fornisce sono testi TUTTI UGUALI: lo stesso comunicato stampa è stato ricondiviso senza cambiare una virgola da più siti web. Ma io voglio saperne di più, però. Vado a cercare qualche voce, che ritengo autorevole, nel campo dell’archeologia 2.0. Come pensate che mi sentirò se continuando ad aprire archeoblog e siti vari troverò la stessa identica notizia, con le stesse identiche parole, senza neanche una frasetta in più su, che ne so, il Colosseo o Roma stessa? State pur certi che io, lettore, la prossima volta che dovesse capitare di imbattermi nel vostro blog non lo farò più, non cliccherò più sulla vostra URL perché già immagino che non riporterà un contenuto originale.
In sostanza: copincollare un contenuto di sana pianta da una fonte è CONTROPRODUCENTE, fa cadere la nostra autorevolezza e l’affidabilità dei nostri contenuti. Fate piuttosto come ho fatto io: dopo aver visitato la mostra, ho redatto un post con le mie impressioni.
Se siamo archeoblogger e il nostro scopo è la comunicazione dell’archeologia, nei nostri blog offriremo approfondimenti, commenti a margine, riflessioni e digressioni sul tema. Aggiungeremo insomma il nostro tocco personale e di qualità.
Un esempio di chi fa bene questo lavoro? Il blog di egittologia DjedMedu, per esempio: prende spunto spesso da notizie di egittologia pubblicate dalla stampa internazionale, ma le rielabora, fornisce le sue indicazioni perché, conoscendo il suo pubblico, sa cosa deve approfondire e cosa interessa di più. Il valore aggiunto che il blogger deve dare ad una notizia da agenzia di stampa è l’approfondimento, i ragguagli necessari al lettore per orientarsi. Sennò il post è fine a se stesso.
Ribloggare un post
Ecco, secondo me ribloggare è la peste nera. E mi stupisco di come piattaforme come wordpress lo consentano.
Cosa vuol dire ribloggare: è la possibilità per un blogger di ripostare sul proprio blog del tutto e completamente il post che un altro blogger ha pubblicato su blog. Questo cosa comporta? Comporta che in rete si troveranno due testi identici sputati, dei quali uno, l’originale, è il risultato di un lavoro di scrittura del proprio autore, mentre l’altro è il clone che finisce su un altro spazio 2.0. La fotocopia, né più né meno.

Perché non si fa: Non si fa perché se io blogger ho creato un testo di sana pianta per il mio blog non ho piacere che venga ripostato interamente e senza filtro totale su un altro spazio al quale nessuno mi ha chiamato a collaborare. Non si fa perché io blogger che riposto un contenuto perché l’ho letto e mi pare interessante, non faccio neanche uno sforzo per dire ai miei lettori perché questo contenuto è buono. È inutile il link iniziale che recita “dal blog tale.com”: il lettore che approda su questa pagina-clone non verrà sul blog-fonte perché il contenuto l’ha già letto lì. Ma se il lettore è arrivato lì è perché ha fatto una particolare ricerca su Google. E se arriva sul post-clone vuol dire che abbiamo un problema: il problema è che lo sdoppiamento di contenuti uguali abbatte le visite sia sul blog-fonte che sul post-clone.
Una cosa utile che si può fare invece? Davvero mi è piaciuto il contenuto del blog che mi trattengo a stento dal ribloggare? Posso lasciare un commento sotto il post originale, dimostrando l’apprezzamento e (se proprio non riesco a resistere) chiedendo il permesso di riportarne una parte. Il comment marketing, ovvero lo scambio costruttivo di commenti, è fondamentale e serve a creare una rete. Nel mondo della comunicazione culturale è quantomai fondamentale (ne parla diffusamente Riccardo Esposito sul suo blog e sul suo libro Etno blogging per tribù digitali: se siamo blogger un minimo di teoria la vorremo pur conoscere, no? 😉 ).
In sostanza: ribloggare non fa bene a nessuno dei due blog interessati. Colui che abitualmente riposta, se è davvero mosso da sincero interesse per l’argomento trattato, può intervenire sul testo, magari dicendo in un cappello “ho trovato interessante questo post che tratta di quest’argomento ecc. ecc.“: in questo modo mette la sua voce in campo, fa sentire la sua presenza. Un blog non è un collettore di notizie. Per questo esistono piattaforme come Reddit o simili. I blog che ripostano non sono collettori. Sono dei clonatori, e francamente il web 2.0 non ne sente il bisogno. I lettori tantomeno.
Non venitemi a dire “Sì, ma allora? parli sempre di condivisione e poi qui la neghi?” No. Questa non è condivisione sana. Condividere è rendere pubblico e mettere a disposizione degli altri i propri contenuti, le proprie opinioni e i propri approfondimenti ai fini di una buona comunicazione (archeologica nel nostro caso) e anche in funzione di un confronto a più voci. Copiare pedissequamente un contenuto altrui facendolo passare per proprio non è condivisione.

Sono stata troppo antipatica? Non credo. Severa, ma giusta, piuttosto. E provocatoria: se siamo archeoblogger, o comunque ci occupiamo di blogging culturale, abbiamo come scopo la comunicazione e la divulgazione della cultura. Ebbene, a che serve mettere in rete, senza un minimo di spirito critico, dei contenuti già prodotti da altri? Dove finisce la nostra professionalità? La pigrizia è cattiva consigliera. Se vogliamo essere punti di riferimento nel settore culturale della blogosfera, dobbiamo impegnarci a produrre sempre nuovi contenuti originali e di qualità. Se pensiamo che farlo sia perdere tempo, allora possiamo pure cambiare mestiere.
Un pensiero su “Archeowebwriting: 2 cose che l'(archeo)blogger non deve fare”