Mithra. un dio orientale in Valdarno

L’esigenza di restituire alla comunità il suo passato, renderla orgogliosa e farla stupire. Una comunità che in questa vicenda, tra l’altro, ha un grosso peso, visto che tutto nasce dall’iniziativa di singoli cittadini di Cavriglia.

I protagonisti

Alvaro Tracchi in una foto di gruppo sugli scavi di Cavriglia, 1963. Credits: MineCavriglia.it

Da un lato abbiamo lui, Alvaro Tracchi, l’appassionato locale (non era archeologo, pur essendo molto in gamba e avendo realizzato un’opera “Dal Chianti al Valdarno” ancora insuperata per quanto riguarda gli studi di topografia del territorio in questa parte di Toscana; fu lui, tra l’altro, ad avviare le ricerche a Gaiole in Chianti, i cui risultati, dopo 40 anni di scavi, sono l’oggetto di una mostra in corso ancora per poco al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, di cui ho parlato qui); costui con le sue ricerche di superficie e il suo costante rapporto con la Soprintendenza alle Antichità dell’epoca, fece avviare negli anni ’60 una campagna di scavo nei pressi della Pieve di Cavriglia, a seguito del ritrovamento di resti che potevano indiziare un insediamento. Il Tracchi era convinto che Cavriglia fosse la statio di Bituriha lungo la via Cassia, segnalata sulla Tabula Peutingeriana, una delle nostre fonti più preziose per conoscere i toponimi dell’Italia romana. L’identificazione con l’antica Bituriha è ancora tutta da dimostrare, tuttavia qualcosa successe.

Ecco che nella nostra storia intervengono due ragazzini, che giocano nei pressi dello scavo in corso, in mezzo alla terra di risulta scavata dagli archeologi. Ogni tanto trovano una tessera di mosaico, ogni tanto qualche coccio, ma una volta trovano un pezzo di marmo bianco. Lo sollevano, è pesantissimo. Lo trascinano fin sulla soglia di casa e lo lavano. Appare sotto i loro occhi il corpo di un toro con un serpentello lungo un fianco e una gamba umana poggiata sulla parte posteriore: manca la testa del toro, e manca la parte superiore della figura umana, ma non ci vuole molto per gli archeologi della Soprintendenza, chiamati subito dal babbo di uno dei ragazzini per verificare il ritrovamento, per capire che si tratta di una statua di culto del dio Mithra.

Il dio Mithra

Il rilievo dipinto di Mithra del Museo delle Terme di Diocleziano, Roma

Divinità orientale, il culto di Mithra si diffuse nell’Occidente romano per il tramite dei soldati delle legioni impegnate sul limes orientale; presto però prese piede anche tra le classi elevate della società romana. Era una religione salvifica e iniziatica, che prevedeva per il fedele sette livelli successivi di iniziazione. In quanto iniziatica, il culto non era pubblico e non si svolgeva in un tempio alla luce del sole, ma ad esso solitamente era dedicato un ambiente ipogeo, dunque sotterraneo, il mitreo, sulla cui parete di fondo si trovava la statua di culto o la rappresentazione del dio: un giovinetto che indossa il berretto frigio, dalla forma vagamente triangolare, mentre sgozza un toro. Il mitreo sotto la chiesa di San Clemente a Roma è probabilmente il più noto, ma mitrei si trovavano anche fuori dall’Urbe (ad esempio a Marino, o a Vulci, entrambi nel Lazio). Quando non si individua l’ambiente ipogeo nel quale si svolgeva il culto, è il rinvenimento della statua di Mithra che ne lascia intuire la presenza: è ad esempio il caso della città romana di Sentinum nelle Marche (Sassoferrato, AN), dove il rinvenimento ottocentesco di una statuetta del dio ha permesso di ipotizzare la presenza di un mitreo, magari nella casa privata di un qualche illustre cittadino, che però gli scavi archeologici ancora non hanno individuato (del resto, tranne che l’insula del Pozzo, a Sentinum sono stati indagati archeologicamente solo edifici pubblici); è il caso di Cavriglia, dove ancora non è stato individuato il mitreo, anche se il rinvenimento di una stanza absidata nell’area degli scavi della Pieve (oggi interpretata piuttosto come villa rustica, residenza fuori città di un qualche personaggio altolocato magari della vicina Arretium/Arezzo) potrebbe, forse, far ipotizzare.

La mostra

La mostra “Mithra. Un dio orientale in Valdarno”, realizzata all’interno della piccola chiesa-auditorium adiacente e parte integrante del percorso museale del Museo Mine di Castelnuovo dei Sabbioni (Cavriglia, AR), consiste nell’esposizione della statua. Che non è particolarmente grande, né conservata integralmente, come si è detto sopra, ma rivela una fattura finissima nella resa dei dettagli: il serpentello che sale lungo il corpo del toro, lo scorpione sotto la sua zampa posteriore destra, il dettaglio della calzatura di Mithra che con la gamba destra allungata gli si poggia sulla parte posteriore. Un oggetto veramente di pregio.

La statua di Mithra in mostra a Cavriglia

Su un grande schermo scorrono le interviste ai protagonisti della mostra: i due ex-ragazzini, oggi uomini di mezza età, che raccontano però con la freschezza e gli occhi ancora pieni di meraviglia il momento della loro scoperta della statua di Mithra; e poi la commovente intervista alla figlia di Alvaro Tracchi, che racconta la passione di lui e l’eredità culturale che ha lasciato.

I dettagli migliori si trovano sul fianco destro: il serpentello, lo scorpione, la gamba tesa di Mithra con la calzatura perfettamente rifinita

A corredo della mostra, un’esauriente pannellistica svolge su due livelli differenti di narrazione i due temi fondamentali: da un lato l’attività di Alvaro Tracchi, senza il cui impulso mai si sarebbero avuti gli scavi e mai sarebbe venuto in luce, seppur fortuitamente, il Mithra; dall’altro la spiegazione del culto di questa divinità orientale. Un culto tutt’altro che semplice e che, soprattutto negli ambienti colti della classe senatoria romana, prese derive filosofiche piuttosto ardite, ma decisamente affascinanti. Immaginata come un percorso iniziatico di avvicinamento a questa religione, la lettura dei pannelli ci introduce uno dopo l’altro ai passaggi successivi dell’iniziazione del fedele, fino a giungere a quello finale, che corrisponde alla visione diretta, ravvicinata, della statua del dio.

Due pannelli raccontano gli scavi più recenti condotti sempre nell’area della Pieve di Cavriglia, mentre in alcune vetrine troviamo materiali dell’archivio personale di Alvaro Tracchi: rilievi, cartografie, fotografie di scavi in corso, la sua fedele macchina fotografica, la sua corrispondenza privata, nella quale auspicava che un giorno gli esiti delle ricerche archeologiche a Cavriglia sarebbero stati resi noti agli abitanti di Cavriglia. Ecco: quel giorno è arrivato.

Locandina della mostra. Credits dell’immagine in evidenza (in alto): Valdarno24.it

La mostra sarà visitabile fino al 31 dicembre 2017. Nel prossimo futuro si svolgerà una giornata di studi aperta al pubblico sul tema del culto di Mithra. Bello leggere nella rassegna stampa, che ha accompagnato l’inaugurazione della mostra, espressioni davvero entusiaste per l’esposizione di questo oggetto che finora era rimasto nei depositi del Museo di Arezzo. Tra i titoli migliori vince “La ‘Gioconda’ di Cavriglia è tornata a casa” pubblicato sulla pagina web del Comune di Cavriglia: se non è orgoglio questo, ditemi voi cos’è.

 

PS: tra i curatori della mostra, realizzata dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Arezzo, Siena e Grosseto in collaborazione con CAMNES c’è Stefania Berutti di Memorie dal Mediterraneo, amica con la quale condivido ormai da qualche tempo tantissime esperienze nel mondo dell’archeologia e dell’archeoblogging.

4 pensieri su “Mithra. un dio orientale in Valdarno

  1. Interessante ritrovamento e questo articolo nel dare la giusta informazione, ci parla di un culto che avrebbe potuto lasciare testimonianze più forti della sua esistenza.

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    1. Per come era strutturato (un percorso di iniziazione degli adepti e lo svolgersi dei riti in un ambiente sotterraneo) si trattava di un culto piuttosto segreto e che non necessitava poi di troppe sovrastrutture. Forse anche per questo le testimonianze non sono così tante. In ogni caso, però, il rinvenimento di tracce in molte parti dell’impero romano ha fatto sì di individuarne la diffusione, vastissima entro i confini dell’Impero

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