Sembra scontato, eppure non lo è. Quando parliamo del nostro patrimonio culturale, dei nostri siti archeologici, dei reperti nei nostri musei, parliamo di Beni Culturali. Lo stesso Ministero, il MiBACT è Ministero per i Beni (e le attività) Culturali (e Turismo). Parlare di Patrimonio e di Beni Culturali per noi è quasi diventato un sinonimo (anche se in realtà non lo è), ma ciò che non sappiamo è che la definizione di Bene Culturale è piuttosto recente nel nostro ordinamento e in generale nel nostro vocabolario. Vi racconto perché.
Cominciamo dalla fine, ma dalla base: il nostro Codice dei Beni Culturali e Paesaggio D.Lgs. 42/2004. Il Codice è l’ultima normativa in ordine di tempo ad occuparsi di Beni Culturali, ed è il punto di arrivo, per ora, di tutte le leggi e norme redatte non solo in Italia, ma in ambito comunitario e poi da noi recepite.
Punto fermo della normativa di settore in Italia è la L. 1089/1939, la cd. Legge Bottai, che è stata definitivamente abrogata solo col Codice, e ad essa fanno contorno altri testi, prima tra tutte la Convenzione dell’Aja del 1954, Convenzione per la protezione dei Beni Culturali in caso di conflitto armato. È questa anzi la prima volta in cui si usa la dicitura Beni Culturali, mentre nella legge 1089/1939 si parlava di cose di interesse storico-artistico e archeologico. Gli oggetti di cui parlava la legge erano cose, avevano una connotazione materiale e il loro carattere precipuo era la loro unicità e originalità: erano cioè, per dirla con Ferretti, una “originaria e irripetibile creazione intellettuale o artistica dello spirito umano”. Se si confronta l’oggetto della tutela della L. 1089/1939 con i beni indicati agli artt 10 e 11 del Codice 42/2004 rimarremo stupiti nel vedere che non è cambiata nemmeno una virgola per alcune categorie di beni, segno che il legislatore dell’epoca aveva ben chiaro cosa dovesse essere tutelato.

Storicamente parlando, siamo in età fascista, ad un passo dalla II Guerra Mondiale. La tutela del patrimonio culturale italiano, di cui lo stato fascista è ideologicamente orgoglioso, è una priorità per il governo; la Legge Bottai esemplifica perfettamente quel clima di esaltazione delle italiche glorie proprio degli anni ’30. La cosa interessante è che la legge del 1939 sia rimasta sostanzialmente in vigore fino a che il Codice del 2004 non l’ha abrogata.
Così come la società si evolve, anche la cosa diventa un bene, portatore di un valore culturale che è immateriale e che esprime il suo contesto di riferimento. Il valore culturale è dato dalla funzione sociale del bene, visto come fattore di sviluppo intellettuale della collettività e come elemento storico attorno al quale si definisce l’identità delle collettività locali. La nozione di Beni Culturali è dunque per sua natura una nozione aperta e in continua evoluzione, ed è sempre più correlata alle nozioni di tutela e di valorizzazione: se il bene è elemento di identità nazionale (o locale) è evidente che non solo vada tutelato perché non si perda, ma che vada anche valorizzato perché la comunità (nazionale o locale) vi si riconosca e gli riconosca il valore culturale che esso ha. (A proposito di tutela, fruizione e valorizzazione leggi qui)
Nel 1967 in Italia per la prima volta si parla di Beni Culturali: la Commissione Franceschini nella sua relazione “Per la salvezza dei Beni Culturali in Italia” dice che Bene Culturale è un bene che costituisce testimonianza materiale avente valore di civiltà. Questa definizione approda anche nel Codice 42/2004 (art. 2 co. 2). Importante notare, nel Codice 42/2004, che il Bene è considerato cosa fintanto che non sia intervenuta la verifica o dichiarazione di interesse culturale. Nel Codice le cose culturali si distinguono in 3 categorie:
- Beni rispondenti all’art. 10 co.1 per i quali sia intervenuta la verifica dell’interesse culturale
- Beni culturali di appartenenza pubblica che hanno un interesse culturale talmente palese (beni culturali ex se) da non necessitare nemmeno di verifica (art. 10 co.2): le raccolte di musei, per esempio
- Beni privati per i quali serve la dichiarazione di interesse culturale.
La nozione di Bene Culturale è in perenne espansione, man mano che ci si rende conto che altre tipologie di oggetti vanno tutelate. E infatti rispetto alle categorie di cose elencate nella Legge 1089/1939, nel Codice l’elenco è molto più lungo. Notevole apporto all’ampliamento della nozione di Bene Culturale è stato dato dalle varie Convenzioni internazionali, ciascuna delle quali ha dato sempre nuove specificazioni, andando così ad allungare l’elenco delle categorie di cose che possono essere beni culturali. E tra tutte le convenzioni, quella UNESCO sul Patrimonio Culturale Immateriale del 2003, ratificata dall’Italia nel 2007, è stata una vera rivoluzione in tal senso, perché va ad ampliare enormemente il senso di bene culturale, anche dal punto di vista normativo. Non siamo più davanti a cose, ma a tradizioni, lingue, costumi, oralità, tipologie di beni che non hanno niente di concreto se non le comunità umane che ne sono custodi. Il Codice 42/2004 recepisce questo nuovissimo e innovativo concetto e lo fa suo nell’articolo 7-bis:
Infine, una precisazione. Dicevo in apertura che spesso usiamo indifferentemente Beni Culturali e Patrimonio Culturale per parlare della stessa cosa. In realtà il Patrimonio Culturale, almeno dal punto di vista legislativo è l’insieme dei Beni Culturali e dei Beni Paesaggistici, come recita l’art. 2 comma 1 del Codice 42/2004, il quale aggiunge al comma 4 che i beni di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività.
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