I Mercati di Traiano ospitano fino al 20 novembre 2016 la mostra Made in Roma. Siamo ancora in tempo, quindi, per visitarla prima che la Gatta Mic, mascotte romanaccia della mostra, levi le tende.
Gli spazi dei Mercati di Traiano sono adatti ad ospitare mostre temporanee di approfondimento del mondo romano che li ha creati: l’allestimento permanente, infatti è molto scarno, spettacolare ma scarno, dedicato alla storia e all’architettura dei Fori Imperiali, mentre la lunga serie di ambienti che si aprono in quest’architettura di II secolo d.C. ben si prestano ad esposizioni ricche e svariate.

I Mercati di Traiano si aprono alle spalle del Foro di Traiano. O meglio, alle spalle dell’esedra della piazza del foro. Se il Foro di Traiano era luogo di incontro, di esercizio della politica, della giustizia e della cultura, con le sue due biblioteche, e di celebrazione del princeps, con la colonna che si innalzava tra le due biblioteche a narrare le gesta di Traiano in Dacia, i Mercati completavano l’urbanistica del quartiere con l’unica componente che sembrerebbe mancare: l’aspetto commerciale. Infatti, fin sull’esedra, al livello della piazza si aprivano le prime botteghe, che poi si replicavano sui livelli successivi, fino ad affacciare, sul lato opposto, sulla via Biberatica. In sostanza il quartiere dei Mercati di Traiano è studiato in modo da superare il pendio naturale del terreno e chiude magnificamente, come una quinta, il paesaggio dei moderni Fori imperiali. Moderni nel senso che moderna è la vista che si ha da via dei Fori Imperiali, mentre all’epoca di Traiano, Adriano e successori doveva essere ben diversa la visuale, dal basso della piazza forense. Se il foro doveva essere il trionfo del marmo, i mercati sono il trionfo del mattone, e oggi sono una chiazza rossa che colpisce lo sguardo.
Ma torniamo alla mostra.
Made in Roma è un titolo davvero efficace. La mostra è dedicata ai marchi di fabbrica, i famosi bolli che gli artigiani romani stampigliavano in serie sulle loro produzioni: laterizi, anfore, lucerne, ma anche vetri e marmi e in generale su qualunque sorta di merce venisse prodotta. Il fabbricante poneva il suo marchio, il suo nome, la sua officina, per ricordare a tutti che lui aveva prodotto quell’oggetto. Considerato che in tantissimi casi i nomi sono giunti fino a noi, non era del tutto un’idea peregrina, la loro, perché ha conferito la memoria eterna.

Il concetto del marchio di fabbrica all’epoca seguiva gli stessi intenti del marchio attuale: oggi tutto ha un marchio: i vestiti hanno l’etichetta, il vino ha l’etichetta, i generi alimentari hanno l’etichetta, le borse hanno il logo, gli orologi hanno la sigla, le automobili hanno il loro stemma. Per noi è normale, siamo immersi nei brand e nei loro loghi, li distinguiamo senza bisogno neanche di leggere accanto il nome, tanto sono marchi noti e riconosciuti. Dobbiamo pensare, però, che non abbiamo inventato proprio nulla, e che il concetto di marchio di fabbrica esisteva già, massicciamente, in età romana.
I marchi di fabbrica hanno per gli archeologi tantissimi significati e grandissimo valore. Faccio degli esempi?
L’onomastica: sciogliendo le abbreviazioni dei nomi sui marchi di fabbrica si possono scoprire infinite informazioni sul fabbricante: innanzitutto se è un uomo libero o uno schiavo; se è un uomo o una donna (situazione questa non così rara, e in mostra infatti sono riportati degli esempi); se appartenente alle fabbriche di proprietà imperiale o di qualche grande senatore.
Il viaggio: è possibile, avendo a che fare con più oggetti marchiati dallo stesso fabbricante e rinvenuti in varie parti dell’impero, ricostruire la storia dell’oggetto o dello stesso fabbricante. Ad esempio il famosissimo vasaio Ateius, il più importante dei vasai di Arezzo produttori di ceramica sigillata aretina, aprì un atelier anche a Lione. Come lo sappiamo? Dai marchi di fabbrica delle ceramiche rinvenute lì, ovviamente.
Il viaggio delle merci: i marchi sulle anfore possono raccontarci chi le ha prodotte e cosa trasportavano; questo dato, unito alla tipologia di anfora (mamma mia quante sono! E in mostra c’è un’intera stanza con le pareti zeppe di anfore), all’analisi delle terre di cui è composta e al luogo di rinvenimento, ci apre incredibili possibilità di comprensione delle rotte commerciali dell’antichità.
Lo stile: la forma dei bolli è anche un indicatore cronologico utile, in assenza di altri dati certi, a fornire un’ipotesi di datazione dell’oggetto in esame: in principio era il cartiglio semplice, poi venne il bollo in planta pedis, ovvero inserito nell’incisione di una pianta del piede, e il bollo lunato, a forma cioè di falce di luna. Inoltre, a completare i bolli più ricchi, anche simboli, come scorpioni, Vittorie alate, Eracle e altri elementi mitologici o simbolici ci raccontano quanta voglia di differenziarsi ci fosse a livello delle singole figlinae, le officine nelle quali erano prodotti i laterizi.
La datazione: la presenza di laterizi con bolli indicanti il nome della famiglia imperiale oltre che l’indicazione della fabbrica permette di fornire una cronologia relativa a strutture che magari non sarebbero databili altrimenti.
La committenza: vedi sopra: se il bollo laterizio riporta un’indicazione che fa risalire alla famiglia imperiale, non abbiamo alcun dubbio che si tratti di una committenza imperiale, e quindi che siamo in presenza di un edificio importante.
Tutte queste storie sono raccontate dalla mostra Made in Roma. La Gatta Mic, con le sue strisce a fumetti, accompagna lungo tutto il percorso espositivo. In più, ad ogni postazione, c’è la possibilità di farsi il proprio timbro con un autentico bollo antico… un gioco per grandi e piccini, insomma.


Tra gli oggetti in mostra, alcuni reperti davvero notevoli hanno attratto la mia attenzione e stuzzicato la mia fantasia: tra le lucerne spicca quella che sul disco ha rappresentato un dromedario col suo cammelliere, molto esotica, e quella decisamente fuori dal comune, a forma di elmo di gladiatore con la rappresentazione di un incontro tra gladiatori al di sopra e tralci di vite sull’orlo del disco (se così lo si può chiamare).
Davvero notevole, poi, il monumento funerario (calco dell’originale conservato a Treviri in Germania) di III secolo d.C. da Noviomagus (Neumagen, Germania) a forma di nave che trasporta botti di vino. Ecco, quando morirò voglio anch’io un monumento del genere.


La mostra poteva essere molto più ampia e molto più ricca di oggetti. Volutamente invece è stata fatta un’accurata, e sicuramente dolorosa, selezione. Quello che importa è che le tipologie di materiali e oggetti sui quali i marchi venivano imposti è quantomai varia e rende l’idea di quali fossero le produzioni, di come potessero funzionare i mercati e di quanto già all’epoca fosse importante differenziare i prodotti, le importazioni, le produzioni. Già in età romana, tra l’altro, esistevano le contraffazioni: ecco che il marchio di fabbrica diventa allora un imprescindibile segno di riconoscimento e garanzia di qualità. Come il Made in Italy, ma relativo a un impero, Roma.