Ma si dirà #sélfati o #selfàti?
Quale che sia l’accento, non cambia la sostanza. Al Castello di Gallipoli una mostra che mostra non è racconta la manifestazione più eclatante del mondo dei social: il selfie.
#selfati a Gallipoli
Il sottotitolo è “Il più grande fenomeno social si mette in mostra“. Certo, qui si gioca facile su un argomento che avvicina davvero tutti, giovani e meno giovani, li fa entrare in un castello, quello di Gallipoli, riaperto al pubblico in anni recenti, e che sta cercando il giusto slancio: non è facile, nella terra del turismo da spiaggia, riuscire ad attirare visitatori in un luogo culturale.

#selfati è dunque il tentativo di avvicinare le persone, i turisti ma gli stessi abitanti di Gallipoli, al Castello. L’impresa è ancora più difficile se pensiamo che l’ingresso al castello è obliterato dal Mercato Coperto, costruzione della fine dell’800, pertanto edificio storico non rimovibile. Visitare il castello di Gallipoli? Una caccia al tesoro, bisogna volerlo fortemente.
E così gli ambienti del castello sono stati allestiti con vere e proprie installazioni con le quali il visitatore può giocare, o meglio diventare egli stesso parte dell’esposizione.
Ma l’aspetto più importante su cui #selfati fa riflettere è che il concetto di selfie non è un fenomeno di costume attuale, tutt’altro. Semplicemente i mezzi di oggi, sia intesi come device che come comportamenti sui social, forse, ne hanno enfatizzato la portata. Ma da sempre l’uomo si fa ritrarre o si autoritrae.
Il selfie è un autoritratto. Auto non tanto perché realizzato da solo, ma perché esprime la volontà del singolo di autorappresentarsi con l’intenzione di mostrarsi a un pubblico, a una rete, al gruppo di amici, alla sua community di riferimento.
Ritratto come autorappresentazione.

Proprio un’interessante linea del tempo ci permette di vedere da quando l’uomo ama autorappresentarsi: signorsì signori, fin dai tempi in cui frequentava le grotte: quelle di Porto Badisco, per esempio; lo “sciamano”, in fondo, non è altro che un ritratto di un personaggio influente del suo gruppo.
La ritrattistica ci è nota per tutta l’arte antica e se scorriamo rapidamente tutte le civiltà del passato che abbiano lasciato rappresentazioni umane, potremo ben definire ritratti tutti quei volti che vengono scolpiti, dipinti, incisi.

Con la ritrattistica romana arriviamo al ritratto realistico, quello che si definisce fisiognomico, sul finire della Repubblica. Ma i Romani hanno una tradizione antica, quella delle maschere di cera dei defunti, degli antenati, che assumono un valore cultuale e che sono realizzate direttamente sul volto. Un calco che è decisamente un autoritratto. E dal calco in cera al ritratto in bronzo o in marmo il passo è breve.
Non entro nel merito della questione sulla ritrattistica, ma inevitabilmente la linea del tempo proposta al Castello di Gallipoli porta a fare certe riflessioni.

La linea del tempo si concentra poi sull’autoritratto, dunque su artisti che hanno ritratto se stessi per studio, o per divertissement all’interno di altre opere. Come non ricordare l’autoritratto di Leonardo conservato a Torino, il ritratto di Raffaello o quello di Albrecht Dürer; e che dire del ritratto che Michelangelo fa di sé, tra i dannati del Giudizio Universale, o di quello di Caravaggio, nella testa spiccata dal collo del suo Davide con la testa di Golia? E ancora, il fiammingo Vermeer si ritrae nella sua Allegoria della pittura. Andando avanti nel tempo, Velasquez nel suo famosissimo Las Meninas si ritrae e guarda diritto fuori dalla tela, negli occhi di chi guarda, in un curioso e affascinante rimando interno/esterno.
Nel nostro secolo tra gli artisti che si autoritraggono c’è Frida Kahlo. Proprio lei lascia scritto “Ti lascio il mio ritratto, così potrai sentire la mia presenza tutti i giorni e tutte le notti che io sono lontana da te“: l’antesignano della condivisione.

La riflessione è dunque la seguente: il selfie è sempre esistito. Si chiamava diversamente, ma non era diversa l’intenzione di ritrarsi, di autorappresentarsi, di lasciare memoria e fare propaganda di sé.
#selfieadarte: la mostra nella mostra
#selfati ospita, nella Sala Ennagonale del Castello, una selezione dei #selfieadarte dell’art influencer Clelia Patella. I suoi selfie accanto ad opere d’arte o monumenti hanno fatto storia e oggi sono esposti insieme ad un’opera eccezionale: la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto. Lei non si spara selfie, ma è il soggetto ideale con cui scattarseli, a sua insaputa, ovviamente. Sta nel centro della Sala Ennagonale, e fa effetto trovarsela davanti, più piccola del vero.

Il Castello di Gallipoli

Un monumento straordinario. Innanzitutto va sottolineato il fatto che Gallipoli è un’isoletta, collegata alla terraferma da un istmo e controllata a suo tempo dal castello. Il nucleo primitivo è la torre ennagonale, alla quale via via viene addossato il castro quadrangolare di impianto medievale. La torre ennagonale è un esempio di architettura militare davvero notevole. Si imposta su strutture bizantine, romane e ancora precedenti. L’interno è amplissimo, coperto da una cupola pesante e perfettamente sigillata. Un capolavoro di ingegneria.
Una mappa cinquecentesca custodita alla Biblioteca Reale di Madrid mostra la planimetria di questo grandioso presidio militare. Esso, tra l’altro, quale simbolo della città, era stato ritratto dal paesaggista Jacob Philipp Hackert insieme agli altri porti della Puglia. Hackert, grande amico di Goethe è testimone di un grande momento di prosperità di Gallipoli: dal porto partiva infatti l’olio lampante, ovvero per accendere i lampioni, di tutta Europa. Un’egemonia commerciale che durò finché non arrivò l’energia elettrica a mettere la parola fine a questo commercio. In Gallipoli si era formata una vera corporazione di bottai, che realizzavano le botti nelle quali l’olio viaggiava solcando i mari, da Gallipoli fino a Oslo.

Con l’Unità d’Italia il Castello viene acquisito dalla Guardia di Finanza e diventa luogo di dogana per sali e tabacchi. La traccia del sale rimane ancora oggi sui pavimenti ed è raccontata in uno degli ambienti del castello. Altrove, invece, i segni di un secolo di utilizzi impropri sono ancora evidenti, volutamente lasciati, perché comunque parte della storia dell’edificio.
Il Castello oggi torna ad essere se stesso grazie a Orione SRL, che ha preso in carico restauri, l’allestimento e la gestione del Castello. #selfati incluso.