“Menzione Speciale Archeoblogger” alla Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto

Come da qualche anno, faccio parte della giuria di archeoblogger selezionati per conferire la “Menzione speciale Archeoblogger” a uno dei film in concorso alla Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto, che si è svolta dal 3 all’8 ottobre 2017.

Cosa c’entrano gli archeoblogger con i film, meglio con i docufilm di archeologia?

Beh, anche se si tratta di due media differenti, sia il blog che il cinema hanno come scopo la comunicazione e la divulgazione archeologica. Dal nostro punto di vista guardiamo ai contenuti, soprattutto ai linguaggi, alle voci chiamate a raccontare il patrimonio, alle sequenze utilizzate, alle trovate scenografiche. Ci mettiamo nei panni del pubblico, in sostanza. Di un pubblico, però, in grado di cogliere criticamente aspetti quali il linguaggio, per l’appunto (che è il tema principale del nostro interesse) e il coinvolgimento: mi ha preso questo racconto? Mi ha tenuto attaccato al video? Mi ha indotto a farmi domande e queste domande hanno trovato risposta?

Quest’anno la nostra attenzione è stata attirata in particolare da quei documentari che trattavano di siti semisconosciuti o di classi di materiali ugualmente poco note. Questi docufilm hanno un valore aggiunto rispetto a quelli che privilegiano una tematica ampia, perché devono essere in grado di “cavare il sangue dalle rape”, di ricavare cioè contenuti interessanti da temi limitati per ragioni geografiche o storiche. Alcuni di questi film, particolarmente ben riusciti, non hanno avuto bisogno di effetti speciali o di sequenze da capogiro, ma semplicemente (si fa per dire) si sono concentrate sull’oggetto (o sul luogo) hanno saputo coglierne la storia e tradurla per il pubblico senza scadere nel sensazionalistico, nel banale né nel teatrale.

Gli archeoblogger giurati per la Menzione Speciale Archeoblogger

Il livello di qualità dei film a concorso quest’anno è stato decisamente alto, a riprova dell’attenzione sempre maggiore che si pone in questo tipo di produzioni, soprattutto in funzione del pubblico.

Alla fine abbiamo assegnato il premio al film Eis Pegas, che si svolge in Sicilia, in una Sicilia poco nota, in una realtà archeologica semisconosciuta, Cave d’Ispica, ma la cui eredità permane nella vita attuale degli abitanti. Mai il concetto di eredità culturale fu più azzeccato in questo contesto. Il film ha convinto tutti noi perché c’è tutto: un sito poco conosciuto di cui va diffusa la conoscenza, una narrazione che tiene conto di vari attori e fattori, non ultimo la continuità culturale e di culto (difficile chiamarla religiosa, visto che a religione si è sovrapposta e sostituita religione).

Altri film rispondevano a caratteri analoghi, ma per qualche verso non sono stati giudicati a livello. Tra questi va ricordato La Pompei Britannique de l’age du bronze, un docufilm che racconta lo scavo di un villaggio inglese dell’età del bronzo di cui si sono recuperate, perfettamente conservate, le strutture in bronzo. Viene mostrato il lavoro dell’archeologo sul campo, di studio, di restauro in laboratorio, di ricostruzione virtuale conseguente all’interpretazione.

Un altro docufilm che ci ha favorevolmente impressionato è Claustra, di produzione slovena, incentrato sulle fortificazioni di età romana: un tema di estremo interesse, eppure meno affrontato rispetto ad altre tematiche di archeologia dell’architettura. Non solo, ma la Slovenia è un territorio appena al di là dell’Italia di cui archeologicamente parlando noi sappiamo poco e niente. Ecco che questo documentario porta la nostra attenzione poco oltre i nostri confini. E lo fa magistralmente.

Visionando i film. Il duro lavoro dell’archeoblogger

Infine voglio menzionare il film che a me personalmente è piaciuto di più, e che infatti ha vinto un altro premio, il Premio Paolo Orsi: L’oeil et la pierre. Dedicato a particolarissime tessere di pietra iscritte con formule curative per gli occhi, si incentra su alcuni documenti di questo tipo che si trovano a Parigi, dai quali parte per ricostruirne tutta la storia e l’impiego. Costruito bene, senza bisogno di riprese spettacolari (i materiali protagonisti sono davvero piccini), ma in grado di interessare e di catturare la nostra attenzione. Bravo, come dicono i Francesi.

Segnalo anche, per affetto verso quei territori, il documentario dedicato alla terra di Magan, nell’attuale emirato di Sharja (Emirati Arabi Uniti): anche se il docufilm The modern discovery of the country of Magan ha delle pecche, apprezzo il fatto che venga portata a conoscenza internazionale l’archeologia di una terra, quella dell’emirato, sconosciuta alla stragrande maggioranza del grande pubblico internazionale (la voce Magan su Wikipedia è davvero scarsa). Il ruolo che il museo di Sharja gioca in questo frangente è fondamentale ed è per questo che ad esso viene dato ampio spazio. Come a dire che non esiste solo il Louvre di Abu Dhabi, ecco.

Un altro film che merita una menzione, anche se qualche dubbio lo ha ingenerato è una pellicola che più che documentario + inchiesta: The secret of Sakdrisi racconta come la ricerca archeologica, e la restituzione del patrimonio alla comunità, possano scendere in secondo piano quando interessi economici forti dettano legge. Una miniera d’oro, della quale si sospetta l’utilizzo fin da epoca neolitica, diviene al centro d’interesse di una grossa industria estrattiva che ha gettato discredito sull’onestà dell’attività archeologica e dei risultati delle indagini. Dove sta la verità? Il film non lo dice, e in questo sta il suo limite. È un film d’inchiesta, per cui difficilmente si sposa col linguaggio e le finalità del docufilm fatto per la divulgazione.

 

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