Come ogni 2 anni, si è svolto ieri, 1 marzo 2009, a Firenze al Palazzo dei Congressi, il VII INCONTRO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA VIVA, da anni vetrina della ricerca archeologica in Italia e all’estero che, dedicata interamente ai lettori della rivista e agli appassionati di archeologia, strizza sempre un occhio alla divulgazione e ad una efficace comunicazione dell’archeologia.
Già sfogliando il programma si può avere un’idea della tendenza della Giornata all’interesse per la comunicazione. Per citare Dario Di Blasi, direttore della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico – Museo Civico di Rovereto, comunicare l’archeologia attraverso le immagini è una tendenza che avrà senz’altro grande seguito nel futuro e di cui pian piano si stanno scoprendo le potenzialità. Grande spazio è infatti stato riservato ai documentari e ai cartoni animati di archeologia. Si sono alternati così sul palco i Fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni (di cui presto sarà possibile leggere un’intervista che ho rivolto loro al blog Comunicare l’archeologia), che hanno presentato un loro lavoro relativo ad operazioni di salvataggio di rocce con graffiti dal deserto nubiano (che presto sarà sommerso da un lago artificiale in seguito alla costruzione di una diga sulla IV cateratta del Nilo), Folco Quilici, storico documentarista che ha presentato un lavoro sui 50 anni della missione archeologica italiana a Hierapolis di Frigia (Turchia) e Syusy Blady, la conduttrice di “Turisti per caso” occasionalmente imprestata all’archeologia. Accennavo ai cartoons come ultima frontiera della comunicazione dell’archeologia attraverso le immagini: se ne sono sperimentate le potenzialità con la visione di un dvd che è già utilizzato presso la Casa-Museo di Dante a Firenze per l’attività didattica ai bambini delle scuole; non solo, ma sono stati presentati due cartoons rivolti, almeno a mio parere, ad un pubblico più adulto, in cui però si è ben vista la profonda differenza tra il documentario, che presenta immagini vere, al limite con ricostruzioni virtuali, ma pur sempre ancorate al reale, e il cartone animato, che consente invece di far parlare gli oggetti, di animarli e di farli esprimere in modi del tutto “fantasiosi” e “fantastici”.
Gli altri interventi, pur se decisamente più “accademici” e tradizionali, con la semplice presentazione in power point e il relatore che parla, hanno comunque avuto il merito di ancorarsi all’attualità: sottolineo ad esempio l’intervento di Emanuele Greco, Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, che ha subito e sta subendo le conseguenze dei tagli dei fondi alla ricerca, rischiando letteralmente di chiudere i battenti… Ben venga quindi un intervento di sensibilizzazione sui problemi, del tutto privi di qualunque romanticismo, che attanagliano la Ricerca in Italia, ovvero la perenne costante e atavica carenza di fondi. L’altro intervento che si può definire di attualità è stato quello ad opera di Andrea Carandini, da pochi giorni, tra l’altro, Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, il quale ha parlato, sulla scia dello scalpore che fece lo scorso anno la scoperta del contrastato “Lupercale” sul Palatino, della Casa di Augusto sul colle famoso di Roma, inserendola topograficamente e storicamente nel contesto degli scavi e dell’architettura di uno degli angoli più importanti dell’archeologia mondiale. Altro nome di richiamo è stato poi quello di Valerio Massimo Manfredi, che pur essendo archeologo, è venuto semplicemente a presentare il suo ultimo romanzo, “Idi di marzo”, tenendo una bella lezione sulla differenza tra History, la storia vera e propria, da Story, la storia intesa come racconto, come narrativa (qui). Fondamentale distinzione per far capire al pubblico dove finisce la Storia e dove inizia il romanzo storico.
Impressioni senza dubbio positive da questa giornata, che come ogni anno e anzi, ogni anno di più, si rivolge al pubblico di appassionati e si dedica interamente ad esso. Rispetto alle prime edizioni, in cui i relatori esponevano i loro argomenti e il power point era quasi un’eccezione, oggi, dopo 15 anni dalla prima edizione, le cose sono ben cambiate: tutti sanno ormai che se si vuole abbandonare il linguaggio accademico e portare “in strada”, fuori dalle Università e dalle Soprintenze, insomma fuori dai luoghi degli addetti ai lavori, i risultati delle proprie indagini archeologiche, la strada è quella dell’utilizzo delle immagini, e più parlano le immagini, meglio è.
Marina Lo Blundo