10 anni fa se ne andava Tiziano Mannoni. Uomo dal multiforme ingegno, diede grandissimo impulso al dibattito e alla ricerca archeologica in Italia su tematiche importanti quali l’archeologia dell’architettura, l’archeologia della città e del territorio, l’archeometria e la geoarcheologia, l’archeologia dell’uomo, l’archeologia della produzione e, non ultima, l’archeologia globale**; dalla sua cattedra a Genova ha formato generazioni di archeologi e di studiosi che hanno imparato ad alzare lo sguardo oltre il proprio specifico campo di studi per ampliare la loro visione ad altre discipline e interessi.
A 10 anni dalla scomparsa, in autunno si terrà un convegno dedicato al professor Mannoni e all’attualità del suo metodo e delle sue idee. Mannoni fu uomo dal multiforme ingegno e da ancora più multiformi interessi. In questo post ne affronto solo uno: il suo interesse per la narrazione museale.
Tiziano Mannoni e la sua visione del Museo
Tiziano Mannoni infatti fu coinvolto spesso e volentieri, quand’era in vita e in attività, nell’allestimento di mostre e musei. Di alcuni ideò progetti che poi non ebbero seguito, altri li portò a compimento. Non sempre, anzi, molto di rado accompagnò questi progetti, e soprattutto i ragionamenti sottesi, a pubblicazioni scientifiche,*** ma i suoi appunti, custoditi in due faldoni, sono stati ereditati da un suo collaboratore dei primi anni 2000, Matteo Sicios, archeologo genovese da anni invece impegnato nella comunicazione dell’archeologia e nella progettazione e valorizzazione culturale.
Proprio Matteo Sicios mi mette a parte dell’esistenza di questi due faldoni, che rivelano un aspetto inedito – per chi ovviamente non lo frequentò assiduamente – di Tiziano Mannoni, ovvero quello dell’attenzione alla museologia.
Due preziosi faldoni di appunti sui musei
Si tratta di appunti sparsi, note a margine tratte da riunioni, schemi per allestimenti museali, leggendo i quali si disvela pian piano la visione che Mannoni aveva dei musei e della loro funzione sociale ed educativa.
Ho fatto una bella chiacchierata con Matteo Sicios che mi ha raccontato i contenuti dei due preziosi faldoni, completandoli con suoi ricordi personali di discussioni sul metodo avute proprio con Mannoni su temi di allestimenti e concezioni museali.
L’approccio di Tiziano Mannoni ad ogni progetto di ricerca era effettivamente globale. Il suo interesse finale era l’uomo e lo scopo finale della sua ricerca era chiaramente la conoscenza, ma anche la restituzione di quella conoscenza innanzitutto alle persone; di conseguenza grande attenzione intendeva riservare ai linguaggi, non semplicemente ai testi, ma proprio al modo di porsi nei confronti dei destinatari del messaggio museale; teorizzava (questo già ben prima del 2010) la necessità di poter mettere tutti i tipi di pubblico in condizione di poter soddisfare il proprio desiderio di conoscenza a qualsiasi livello e quindi di studiare delle forme di comunicazione che potessero essere diversificate per i bambini, per le persone del territorio, per le persone non esperte di archeologia, ma anche per gli “specialisti”, in modo che tutti, ciascuno al proprio livello, potesse trarre arricchimento dall’esperienza museale.
Dai suoi appunti emergono anche le sue riflessioni su come meglio far arrivare i contenuti, il racconto museale, ricorrendo, perché no, a espedienti narrativi anche non convenzionali. Ma non si tratta di storytelling, quanto piuttosto del suo grande interesse, che sviluppò nell’ultima parte della sua carriera, per le neuroscienze, e quindi per i comportamenti e le reazioni umane a partire da una data situazione.
Il suo approccio era globale in tutti i sensi, basato sul saper fare, sul sapere empirico (suoi grandi cavalli di battaglia): in un’esperienza museale tale sapere per lui non poteva non declinarsi in un’attività pratica. Il suo interesse per l’archeologia della produzione faceva sì che un capitello esposto non fosse semplicemente il bell’oggetto architettonico testimone di un edificio: accanto vi doveva essere la punta di trapano per far capire con quali strumenti quell’oggetto architettonico era stato decorato. Non l’oggetto fine a se stesso, ma il contesto, intendendo con esso il saper fare sotteso alla sua realizzazione, le conoscenze empiriche che avevano portato proprio a quella realizzazione.
Nei due faldoni gli appunti riguardano sia progetti di allestimenti che non furono mai realizzati, che di musei che effettivamente videro la luce. Soprattutto in Lunigiana Mannoni ebbe modo di confrontarsi col tema degli allestimenti museali e a mettere in pratica alcune sue idee e teorizzazioni.
Matteo Sicios mi racconta come nacque il filo narrativo alla base del progetto di musealizzazione a Zignago (SP): dopo intenso brainstorming, durante il quale Mannoni aveva ascoltato e preso appunti, e dal quale era emersa la necessità di far arrivare immediatamente il messaggio, il link tra passato e presente, prima di tutto a chi vive ancora nel territorio, egli semplicemente disse “Io avrei pensato ‘5000 anni di vita sui monti’“. Una frase semplice, secca, immediata, che riassume però tutto il senso della narrazione.
Un altro aspetto di Mannoni museologo che emerge dai faldoni e dai ricordi è la sua spasmodica attenzione all’immagine, alla grafica, al modello, al disegno; tuttavia non perseguiva necessariamente la realizzazione spettacolare perché, ancora una volta, era il messaggio la cosa davvero importante, a prescindere dal mezzo. Anzi, con l’avanzare delle “nuove tecnologie” a supporto delle esposizioni museali, fin da subito si pose con spirito critico ad osservare che lo strumento tecnologico da solo non basta se non corroborato da una solida narrazione. La tecnologia da sola non basta a far nascere degli ottimi divulgatori.
Tiziano Mannoni: un quadro più completo sul suo pensiero e sulla sua attività
Io ringrazio davvero Matteo Sicios perché mi ha permesso innanzitutto di ricordare il professore e alcune sue lezioni mai dimenticate cui ebbi il privilegio di assistere. Inoltre grazie alla lettura di questi faldoni emergono dati fondamentali per ricostruire il più possibile il pensiero del Professore e quindi per restituirlo alla comunità scientifica. E nel decennale dalla morte, questo è il regalo più grande che Tiziano Mannoni possa ancora farci.