Mummie. Viaggio verso l’immortalità. La mostra al Museo archeologico nazionale di Firenze

“Mummie. Viaggio verso l’immortalità” è la mostra in corso al Museo Archeologico nazionale di Firenze nell’inverno 2019/2020.

A partire da reperti già esposti nel Museo Egizio di Firenze – che ha sede nel Palazzo della Crocetta ed è parte integrante del Museo Archeologico Nazionale – e da reperti conservati nei depositi del Museo Egizio, la mostra vuole raccontare, come dice il titolo, il viaggio verso l’immortalità che, secondo la religione egizia, compivano le anime dei defunti.

La pesatura del cuore: fondamentale per l’anima per accedere all’aldilà

Si parte dalla pesatura del cuore, rappresentata su un esteso frammento di papiro di epoca tolemaica (332-30 a.C.), uno stralcio del Libro dei Morti. Il Libro dei Morti consiste in una serie di 190 capitoli con preghiere e formule che indicano al defunto cosa lo aspetta dopo la morte, come potrà la sua anima superare gli ostacoli e i pericoli che incontrerà nell’Aldilà.

Libro dei Morti. La pesatura dell’anima. Papiro di epoca tolemaica (332-30 a.C.)

La pesatura del cuore è il momento più importante dell’ingresso nell’aldilà. Il cuore del defunto viene posto sul piatto di una bilancia, mentre sull’altro piatto viene posta una piuma, attributo di Maat, dea della giustizia e della verità: inutile dire che se il cuore è più leggero l’anima è salva, in caso contrario l’anima viene divorata da Ammut, un mostro con testa di coccodrillo, criniera e zampe di leone, corpo di ippopotamo, che solitamente è raffigurato ai piedi della bilancia.

Con la morte l’anima si scinde dal corpo e cala a Occidente come il sole al tramonto, immergendosi nel mondo dei defunti. L’aldilà presso gli Egizi era concepito come una distesa di campi fertili, i cosiddetti Campi di Iaru dove risiedeva il dio Osiride. Proprio davanti a lui avveniva la pesatura del cuore, sede della coscienza. La pesatura era dunque fondamentale per capire se l’anima era appartenuta a un giusto: solo in tal caso poteva entrare nell’aldilà.

Sarcofagi e mummie

Il sarcofago di Padimut

Il bellissimo sarcofago di Padimut, in legno stuccato e dipinto sia internamente che esternamente introduce al tema della mummificazione. Il sarcofago apparteneva a Padimut, sacerdote vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1069-656 a.C.). La parte più interessante è la cassa interna dipinta con scene di offerta da parte del defunto a Osiride. Tra le varie scene, quella con Padimut di fronte alla propria mummia con in mano un testo geroglifico con dedica a sé stesso è la più interessante. Sui fianchi della cassa, su vari registri, è raffigurato il defunto mentre fa offerte a varie divinità.

L’anima del defunto ha varie componenti. Tra queste è il Ba, il soffio vitale, che ha forma di uccello con testa umana, perché possa volare a suo piacimento fuori e dentro la tomba.

Statuette di Ba, il soffio vitale che vola fuori e dentro la tomba

In mostra è esposta la mummia di età romana, I-II secolo d.C. di una donna di 25-30 anni, deposta con le braccia lungo i fianchi, senza alcuna traccia di sfondamento dell’etmoide (pratica che avveniva comunemente per svuotare il cranio della materia cerebrale passando attraverso il naso), né di materiale di imbalsamazione nella cavità toracica ed addominale. Evidentemente in età romana cambia qualcosa nell’imbalsamazione, mentre in epoca tarda (656-332 a.C.) il volto mummificato di un giovane uomo al quale l’etmoide è stato sfondato, mentre nel cranio è rimasto uno strato di materiale resinoso, mostra la precisa realizzazione di tutti i passaggi canonici. Questo volto, così espressivo, presenta ancora tracce di capelli.

Mummia femminile

Interessante è anche la tela funeraria in lino, di epoca tarda (656-332 a.C.) con raffigurazione di defunto. Sul corpo imbalsamato del defunto, dopo il bendaggio, veniva spesso stesa una tela funeraria che veniva fissata con strisce di tessuto. Dal Nuovo Regno queste tele presentano iscrizioni geroglifiche dipinte, a seguire compare l’immagine di Osiride, dio dei morti, o della dea Imenit, protettrice delle necropoli. In epoca tolemaica e poi romana le tele funerarie si arricchiscono di decorazioni dipinte colorate, che raffigurano anche il defunto in posizione centrale, circondato da scene di adorazione e figure di divinità protettive.

Sarcofago di Padimut

Ma qual è la storia dei sarcofagi, destinati ad ospitare le mummie?

Nell’Antico Regno i primi sarcofagi sono a forma di parallelepipedo, come una casa che richiama la dimora eterna del defunto: la decorazione dipinta o incisa infatti ricorda la facciata di un palazzo. Durante il Medio Regno compaiono i sarcofagi a forma antropoide, che mostrano testa e corpo mummiforme. Il sarcofago parallelepipedo però non viene abbandonato e rimane fino all’epoca tarda come contenitore del secondo sarcofago. Dipendeva dalle possibilità economiche inserire la mummia in fino a 4 sarcofagi, per proteggerla al meglio. Solo in epoca tarda appare il cartonnage, un involucro di bende o fogli di papiro gessati e stuccati, resi quindi rigidi, applicato direttamente sulla mummia e dipinto con scene policrome e ulteriormente arricchito e abbellito in foglia d’oro.

Mummia di falco bendata a forma di neonato

Anche gli animali venivano mummificati. Spesso venivano mummificati in modo che si riconoscesse la loro forma, come il piccolo coccodrillo esposto nella Sala VIIIcdel Museo Egizio; in altri casi invece si parla di pseudomummie, ovvero di animali mummificati ma resi a forma umana, com’è il caso della mummia di un falco, esposto in mostra, al quale è stato dato l’aspetto di un neonato, con tanto di maschera antropomorfa in stucco dipinto.

Le “false mummie” erano realizzate dagli imbalsamatori, che assemblavano materiali vari, ossa di animali oppure umane, per confezionare mummie di neonati che restituivano ai genitori. Ma false mummie erano realizzate anche nel XVIII e XIX secolo per fornire ai viaggiatori souvenir dall’Egitto decisamente esotici a partire anche, spesso, da mummie autentiche. E chi non vorrebbe un souvenir di tal fatta?

Che mi porto nell’aldilà? Il corredo funerario

La tomba egizia è concepita in modo che la vita nell’aldilà possa continuare eternamente. Per questo spesso sarcofagi e corredo erano collocati in fondo a pozzi profondi dall’imboccatura nascosta (è il caso, ad esempio della tomba di Tjesraperet, la nutrice della figlia del faraone Taharqa, rinvenuta nel 1829 dalla spedizione franco-toscana in Egitto coordinata da Ippolito Rosellini e Jean-François Champollion, il cui sarcofago è esposo al Museo Egizio di Firenze). Se nel corso dei secoli le tipologie delle tombe cambiarono, non mutò la sostanza: la tomba era costituita da due parti: il pozzo col sarcofago e il corredo, la cappella dove praticare il culto funerario.

Ushabti dalle tombe egizie

Nella tomba il defunto era circondato da una serie di oggetti che avevano il compito di esercitare la loro protezione sul morto o di entrare in funzione in caso di necessità. Le statue raffiguranti il defunto che venivano deposte nelle tombe avevano ad esempio il compito di permettere che l’anima potesse reincarnarsi se la mummia si fosse deteriorata.

Oltre a questo, gli ushabti sono gli oggetti più interessanti, nonché i più diffusi: statuette che erano poste nella tomba, spesso contenute entro speciali cofanetti, perché sostituissero il defunto nei lavori nei campi da svolgere nell’aldilà. Gli ushabti sono sempre raffigurati mummificati, in mano recano utensili agricoli e sul corpo riportano iscritto il nome e il titolo del defunto oppure il capitolo VI del Libro dei Morti, nel quale si esorta la statuetta alla chiamata ai lavori nell’aldilà.

Gioielli egizi – Nuovo Regno (1550-1070 a.C.)

Gli oggetti della vita quotidiana sono fondamentali nelle tombe: altrimenti come può continuare la vita dopo la morte? Mangiare, bere, vestirsi sono necessità che il defunto ha bisogno di soddisfare anche nella vita ultraterrena. Così il corredo era costituito anche da abbondanti viveri e bevande (i frutti di palma dum conservati nella Sala VIII del Museo Egizio di Firenze, ad esempio), e poi mobilio, vestiario e oggetti preziosi.

Nei corredi femminili colpiscono l’immaginazione i gioielli, solitamente in oro, fayence blu, pietra bianca: collane, anelli, pendenti. I gioielli esposti in mostra risalgono al Nuovo Regno (1550-1070 a.C.) e rendono l’idea del gusto della loro proprietaria.

Mummie. Viaggio nell’immortalità. Il mio giudizio

Per chi non conosce o conosce sommariamente il mondo egizio, questa mostra sarà sicuramente un’esposizione di bellissimi oggetti che rappresentano un po’ il campionario tipo di ogni collezione egizia che si rispetti.

Lo stesso visitatore, però, dopo aver visitato questa mostra arriverà al Museo Egizio vero e proprio: e si chiederà cos’ha di speciale la mostra rispetto all’esposizione permanente.

Testa di mummia

Personalmente ritengo che quest’esposizione sia stata l’occasione non tanto per approfondire un discorso (peraltro trito e ritrito in ambito accademico) sulla concezione dell’aldilà presso gli Egizi, ma per esporre oggetti che, salvo alcuni esemplari, non sono esposti nel Museo, ma sono solitamente conservati nei depositi. Gli oggetti appartengono tutti infatti alla collezione del Museo Egizio di Firenze, non vi sono prestiti dall’esterno.

Ben venga perciò una mostra che espone oggetti solitamente esclusi dall’esposizione permanente e che li raccoglie in un discorso tematico. Una mostra, dunque, che vuole parlare al pubblico dei non addetti ai lavori, e il cui scopo non è presentare le più recenti scoperte o teorie, ma, piuttosto, fare un passo indietro, fornendo un’infarinatura di base,

Forse, perché la mostra riuscisse effettivamente nel suo intento, oltre all’esposizione in sé e per sé, che lascia le spiegazioni a pannelli e didascalie molto semplici, in effetti, si sarebbe potuto giocare sull’organizzazione di eventi collaterali, quali visite guidate o approfondimenti specifici, perché apparisse chiara l’eccezionalità dei reperti esposti e il significato della loro esposizione.

Così com’è la mostra “Mummie. Viaggio verso l’immortalità” è una giustapposizione di reperti splendidi. Una mostra che sicuramente soddisfa il pubblico, ma che dal punto di vista dell’innovazione nella ricerca scientifica porta probabilmente molto poco.

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