Il Lago di Bled è una delle mete turistiche più note della Slovenia. Splendido dal punto di vista paesaggistico, è dominato da un castello che ospita al suo interno un gioiellino di museo. Lo visitiamo insieme, buttando un occhio, però, sempre al panorama.
Il Castello di Bled
Il Castello domina quello specchio d’acqua blu che è il lago di Bled. La prima menzione del castello risale al 1011 quando la rocca, donata al vescovo di Bressanone Albuino fu fortificata. La posizione ben si prestava: a picco sul laghetto, ma con una vista che spazia su un ampio territorio collinare e montano, oggi costellato di piccoli villaggi. Fu ampliato poi nel tardo medioevo, e ulteriormente ampliata la cinta difensiva. Dopo il terremoto del 1511 fu costruito nelle forme attuali.

Del Castello fa parte una piccola cappella di corte dedicata al vescovo Albuino e finemente affrescata nel XII secolo con scene anche piuttosto vivaci nonostante le tinte pastello.
Il museo nel Castello
Il cuore del Castello ospita il museo. Un museo che è insieme museo archeologico, etnografico e del territorio. Un museo globale nel vero senso del termine, che inizia il suo percorso dalla geologia e dai fossili, per passare alla preistoria del territorio, all’età del bronzo e del ferro attraverso le sue manifestazioni più significative (ricordiamo che in Slovenia fu molto forte, nell’età del Bronzo, la presenza della Cultura dei Campi di Urne e, nell’età del Ferro la Cultura di Halstatt, che si manifestò più a Sud, nella regione della Dolenjska, nell’arte delle situle: ne ho parlato qui a proposito del Museo di Novo Mesto).

Il piano terra, dunque, è dedicato principalmente all’età del bronzo e del ferro nella regione, la Gorenjska. Nell’età del Ferro è proprio la collina su cui si erge oggi il castello ad essere occupata, mentre alle pendici si stende una necropoli, Prislava, della quale sono state indagate 80 tombe a incinerazione e sono stati individuati due luoghi di cremazione. Il sito, tra l’altro, si può vedere dalla finestra al piano superiore del Castello. Tra gli oggetti in ferro esposti merita particolare menzione un lingotto di ferro, rinvenuto presso la località di Lesce, e datato al III secolo a.C.: testimonianza di attività metallurgica che è testimoniata, in ogni caso, anche dal rinvenimento di spade datate sempre al III secolo a.C.

Andando al II piano l’esposizione permanente prosegue giungendo al medioevo, documentando l’epoca in cui il vescovo Albuino aveva autorità su queste terre: gioielli con pendenti in pasta vitrea colorata la fanno da padrone, mentre le finestre delle sale affacciano sull’immenso panorama delle montagne slovene. Sono bellissimi, sono assolutamente moderni nelle forme e nei colori.


Il percorso museale affronta poi la storia moderna del lago di Bled, in maniera assolutamente originale e simpatica: Bled all’inizio del Novecento diventa finalmente località turistica: ecco che allora i souvenir degli anni ’50 diventano oggetti da museo, e completano il quadro della storia locale. Tra ventagli, bicchierini istoriati e piattini dipinti con la scritta Bled mi metto nei panni di una mia potenziale e facoltosa nonna che potrebbe aver trascorso la sua villeggiatura in riva al lago.
Janez Puhar e la fotografia di metà Ottocento

Una piccola saletta racconta di Janez Puhar, fotografo sloveno che negli anni in cui si andavano sperimentando le prime tecniche fotografiche, conduceva esperimenti sull’impressione fotografica su lastra di vetro. In quegli anni, siamo intorno al 1840, molti fotografi in Europa si stanno dando da fare dopo l’invenzione del dagherrotipo. Janez Puhar tra le montagne della Gorenjska inventa il suo sistema per impressionare le lastre di vetro: chiamerà il suo metodo Puharotype, dal suo cognome. Il processo preciso non è del tutto chiaro, perché il nostro fotografo non ha lasciato traccia scritta puntuale del suo metodo. Quello che si sa è che poteva stampare su platino e che proiettava le fotografie con una lanterna magica. Diciamo che c’era un po’ di alchimia nella sua tecnica fotografica! Puhar nacque a Kranj, cittadina a metà strada tra Lubiana e Bled. Proprio a Bled Puhar ebbe modo di sperimentare la sua tecnica fotografica, ritraendo anche i turisti europei che proprio da metà Ottocento cominciavano a scoprire il lago quale meta per la villeggiatura. Ciò fece la fortuna di Puhar, che ebbe così modo di esporre le sue fotografie in tutta Europa e persino in America. Tutto ciò è raccontato nel museo del Castello di Bled, mentre una macchina fotografica del tipo “campagnola” punta il suo obiettivo verso una finestra che dà sul lago.
Archeologia dell’archeologia: il mestiere dell’archeologo in Slovenia

Ho tenuto la parte migliore per ultima. Tra asce in bronzo e gioielli in pasta vitrea, una sala del museo del castello di Bled è dedicata agli archeologi che dal secondo dopoguerra a oggi hanno contribuito a ricostruire la storia più antica della regione. Per farlo, il racconto viene affidato a diverse fonti: mentre una mappa ci invita a guardare fuori dalla finestra l’area archeologica di necropoli slava risalente ai tempi di Albuino (che citavo più sopra) col fine di mettere in correlazione il museo con lo spazio esterno, la vetrina centrale è un concentrato vintage degli attrezzi dell’archeologo: roba da far invidia a Max Mallowan oppure a Mortimer Wheeler o ancora, in Italia, a Nino Lamboglia, per citare archeologi di quei tempi. I nomi degli archeologi sloveni del Novecento li apprendiamo subito:
- Walter Schmid, che per primo ricondusse i ritrovamenti archeologici di Bled alla cultura slava delle Alpi orientali;
- Rajko Ložar, che nel 1933 scoprì il sito archeologico di Pristava, qui fuori dalla finestra del castello/museo;
- Joze Kastelič che portò avanti gli scavi della necropoli di Pristava tra il 1948 e il 1951;
- Andrej Valič che ne accolse l’eredità e portò avanti i suoi studi;
- infine Vinko Sribar che tra il 1962 e il 1966 indagò la chiesa e il cimitero dell’isoletta di Bled.
Così, con molta semplicità e chiarezza, si fornisce un messaggio importante al pubblico: ciò che avete visto esposto fin qui nelle vetrine è frutto di un lavoro di ricerca importante, di ricostruzione storica minuziosa, di indagine archeologica senza la quale di questi oggetti neppure conosceremmo l’esistenza. Ecco che basta una piccola sala per far emergere come centrale la figura dell’archeologo. Figura che nella narrazione museale spesso viene data per scontata e quindi taciuta.

L’ingresso al Castello, che dà la possibilità di visitare il museo, costa 11 euro. Forse è tanto, tuttavia il museo vale la visita, così come la vista panoramica. Perché non di sola archeologia vive l’uomo: ma ogni tanto deve alzare lo sguardo dalla terra, o dalla vetrina del museo, e godersi il panorama.
Ho visitato il castello tanti anni fa, ma il museo, a quel tempo (era capodanno!) era chiuso. Peccato, lo fai sembrare davvero interessante
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Ti ringrazio! Sì, oggettivamente è interessante perché traccia la storia del territorio dagli inizi – preistoria – fino a pochi decenni fa
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