Che ci posso fare? Il mio cuore non può che tornare, ogni tanto, al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Vi ho lavorato 8 anni come assistente alla vigilanza, per 5 ne ho curato, con Silvia Bolognesi, la comunicazione via blog e social; come se fosse un fidanzato mi ha dato gioie e sofferenze, grandi soddisfazioni e altrettanto grandi delusioni; come una storia d’amore mi ha fatto crescere, sia professionalmente che nel carattere. Per cui oggi, che l’ho lasciato (non il fidanzato, il museo!), mi sento assolutamente più ricca dentro, molto affezionata e ancora molto legata; perciò sono molto attenta a ciò che di buono vi accade.
Ed ecco una cosa veramente buona: un nuovo allestimento che ruota intorno ad uno degli oggetti più importanti non solo del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, ma di tutta la storia dell’arte greca: il Vaso François.
Il Vaso François
Capolavoro dell’arte greca, il Vaso François fu rinvenuto in realtà in una tomba etrusca a Chiusi, a partire dal 9 settembre 1844. Il suo scopritore, Alessandro François, è colui che ha dato il nome al vaso. Il vaso fu rinvenuto in tanti minuti frammenti, ma se ne comprese da subito l’importanza. Ricomposto, fu subito esposto al Regio Museo Centrale dell’Etruria, ovvero il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, e qui se ne stava tranquillo nella sua teca finché, il 9 settembre 1900, un custode nel tentativo di colpire un collega con uno sgabello centrò in pieno il vaso, che andò in 638 frantumi. Quei tragici momenti sono raccontati proprio in un post del blog del Museo Archeologico nazionale di Firenze. Lo sgabello, inoltre, è sempre esposto accanto al vaso, per ricordare questo aneddoto curioso e drammatico della seconda vita di questo grandioso oggetto. Quest’aneddoto fa molta presa sugli studenti: se volete accaparrarvi quel minimo di attenzione durante una visita guidata al museo, questo è uno dei punti di forza che immediatamente richiama all’appello i neuroni in pausa.

Ma qual è l’eccezionalità del vaso?
Innanzitutto le dimensioni: il Vaso François è un cratere a volute, ovvero un vaso di grandi dimensioni concepito per contenere il vino che veniva servito durante i banchetti tra aristocratici. Di produzione attica, ovvero ateniese, si data al 565 a.C. e porta le firme dei suoi autori: il vasaio, Ergotimos e il pittore Kleitias. Sul vaso le loro firme ricorrono in due occasioni, con la dicitura Ergotimos epóiesen (Ergotimos ha plasmato) e Kleitias égrafsen (Kleitias ha dipinto). Né queste sono le sole scritte che compaiono sul vaso.
Il Cratere François ha infatti almeno due particolarità, dalle quali derivano poi tutte le altre che concorrono a farne un documento eccezionale: il grande numero di miti rappresentati con dovizia di particolari e le tante didascalie a corredo di ciascuna figura, che ne indicano il nome. Accanto ad ogni personaggio rappresentato Kleitias ha infatti scritto il nome, così come accanto ad alcuni oggetti specifici, come un’hydria, un vaso contenitore per l’acqua, che si trova, rovesciato, nella scena del mito di Achille e Troilo, tradizionalmente ambientato presso una fonte.
E veniamo ai miti. Il Vaso François è un vero e proprio libro di mitologia per immagini. Di fatto, forse, proprio a questo doveva servire: insegnare attraverso se stesso i miti fondanti dell’ideologia aristocratica ateniese. Questi miti si basavano sulla Guerra di Troia e sulla figura di Teseo: Questi è l’eroe che aveva liberato Atene dal giogo di Minosse re di Creta, il quale imponeva che ogni anno Atene inviasse in sacrificio giovani e fanciulle per sfamare il proprio figlio, il Minotauro, il quale viveva nel Labirinto di Cnosso. Noi tutti conosciamo il mito, e sul Vaso François, sul primo fregio del collo del vaso (su quello che convenzionalmente è chiamato Lato B) è rappresentato il ritorno dei giovani ateniesi, in nave, ad Atene, dopo che Teseo li ha liberati uccidendo il Minotauro.
Non mi sto a dilungare sui miti rappresentati sul Vaso François. Mi affido a quest’infografica (che troverete anche in una pagina apposita di questo blog):

Il nuovo allestimento del Vaso François
Ha inaugurato da pochi mesi al II piano del museo la nuova sala del Vaso François.
Il nuovo allestimento risponde ad un’esigenza: come far capire a tutti, anche a chi non l’ha mai sentito nominare, che questo è il vaso greco più importante del mondo? Semplice: creandogli intorno un allestimento che gli altri vasi della collezione greca non hanno. Il Vaso François è al centro di una stanza buia, illuminato in modo che si possano cogliere tutti i dettagli della pittura. Uno specchio, posto nella vetrina al di sopra di esso, consente di guardare all’interno e di rispondere alla domanda che tutti i visitatori si pongono (ve l’assicuro, l’hanno chiesto tante volte anche a me): com’è all’interno? All’interno è vuoto, ovviamente, ma è giusto potervi scrutare dentro, e carpire qualche segreto in più del vaso antico più noto del mondo; per esempio, i più esperti noteranno, proprio grazie all’osservazione dell’interno, che il grande vaso, questo grande capolavoro, in realtà fu cotto male in fornace: invece di un bel colore omogeneo, mostra una serie di sfumature che vanno dal rosso al nero, segno che la cottura non avvenne secondo tutti i sacri crismi. Sempre gli occhi esperti noteranno una serie di graffi all’interno, segno di tanti colini e attingitoi con i quali il vino veniva girato e poi servito nelle kylikes, le belle coppe su alto piede dalle quali i convitati bevevano il vino e giocavano al kottabos, il lancio dell’ultimo sorso.

Non solo Vaso François
Il vaso è accompagnato da una spiegazione interattiva: una novità negli allestimenti del MAF (che tra l’altro vede tra gli autori la cara amica archeologa Stefania Berutti), che dona il giusto senso di innovazione e di coinvolgimento ad un’opera di non facile comprensione.
Nella sala, poi, trovano posto lungo le pareti altri reperti. Uno lo conosciamo già: è il famoso sgabello che distrusse il vaso che fin dall’epoca fu identificato da un cartellino, come corpo del reato, probabilmente, e che da oggetto di arredo, funzionale, di un museo è diventato oggetto da esporre in un museo. Gli altri due oggetti sono due vasi che, pare, sono stati rinvenuti nella stessa tomba di Chiusi: si tratta di un piatto con rappresentato Paride che fugge davanti alla non simpatica prospettiva di dover decidere quale tra Atena, Era e Afrodite sia la dea più bella (un piccolo presentimento delle sventure che lo avrebbero colto evidentemente lo aveva avuto!) e di una lekanis, una bacinella con due serie di animali a figure nere, felini e caprini e cervidi alternati. I due vasi si daterebbero all’incirca agli stessi anni del Vaso François.

La questione pone parecchi interrogativi: che ci faceva un lotto di oggetti omogenei – da banchetto – in una tomba principesca a Chiusi? Se in passato ha avuto il sopravvento l’ipotesi che il vaso François fosse una sorta di catalogo/manuale di mitologia realizzato ad Atene appositamente per il mercato etrusco, oggi questa tesi viene meno, ed è proprio Mario Iozzo, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, e autore del libro “Il Vaso François. Rex Vasorum” a proporre una diversa ipotesi.
Il libro: “Il Vaso François. Rex Vasorum”

Nel volumetto divulgativo “Il Vaso François. Rex Vasorum” realizzato in concomitanza col nuovo allestimento, Mario Iozzo spiega che il vaso sarebbe stato realizzato ad Atene per una precisa committenza ateniese, forse per un banchetto nuziale preciso, dopodiché solo in un secondo tempo sarebbe stato spedito in Etruria. Se vi sia stato inviato prima o dopo la rottura, all’altezza delle anse, cui seguì una riparazione già in antico, non è ancora chiaro, mentre chiara, anzi bianca, è la piccola chiazza di pittura sfuggita a Kleitias al di sopra della rappresentazione delle Horai, al centro del fregio principale.
Tornando alla presenza del Vaso François in Etruria, ancora non è chiaro come e perché vi arrivò: se infatti era già stato usato ad Atene, e soprattutto era già stato rotto e risarcito in Grecia, sembra cadere l’ipotesi dello scambio di doni tra aristocratici. Di sicuro porta su di sé un vasto repertorio di miti greci cari anche all’aristocrazia etrusca, motivo per cui alcuni hanno avanzato anche l’ipotesi di una committenza etrusca, ovvero di un qualche aristocratico chiusino che avrebbe commissionato direttamente ad Atene, alla bottega di Kleitias ed Ergotimos il vaso con tutta la serie di miti che in qualche modo sarebbero stati cari all’aristocrazia della Chiusi etrusca. L’ipotesi, per quanto suggestiva, è difficilmente provabile.
I mille dubbi del Vaso François
Rimaniamo perciò col dubbio: chi volle il vaso? Come e perché arrivò in Etruria? A queste due domande difficilmente si riuscirà a dare una risposta univoca. Resta però il Rex Vasorum, un oggetto decisamente importante nella comprensione dell’arte greca e, con essa, della cultura mitologica e simbolica dell’aristocrazia attica e poi etrusca.