Donna, archeologa, al servizio neanche troppo segreto di Sua Maestà Britannica. La vita di Gertrude Bell è stata interessantissima e per certi aspetti controversa. Archeologa del Vicino Oriente, era un caso più unico che raro in un universo, quello dell’archeologia, all’epoca totalmente maschile. In Medio Oriente, poi.
Gertrude Bell: non solo un’archeologa
Gertrude Bell non fu solo archeologa, anzi è ricordata più per il ruolo politico che rivestì all’epoca, in quanto emissario britannico impegnato nell’organizzazione politica di Siria, Iraq e Giordania. Collaborò con Lawrence d’Arabia: non mancano le figure leggendarie in quel periodo storico (siamo ai primi del Novecento) e in quella regione. In più fu la prima donna a studiare a Oxford, non si sposò mai e aveva una propensione per il viaggio da sola in terre inospitali, come sono poi il deserto siriano o le lande disabitate della Mesopotamia.
“Viaggio in Siria”

“Viaggio in Siria” è un diario. Il diario del secondo viaggio che la Bell fece in Siria, ed è votato solo alla descrizione dei luoghi e delle esplorazioni archeologiche che condusse. In questo viaggio, che risale alla primavera del 1905, la narrazione parte da Gerusalemme e si conclude ad Alessandretta, dopo aver toccato le principali città della regione, Damasco, Aleppo, Antiochia, e dopo aver esplorato numerosi siti archeologici dislocati lungo il suo percorso.
Nel suo racconto la Bell fa tanti riferimenti ai personaggi che incontra, e la minuzia di ogni singolo giorno di viaggio emerge ad ogni pagina. Indulge sui paesaggi, ma soprattutto sui siti archeologici che visita, o meglio esplora, alla ricerca di iscrizioni, con un’attenzione alle architetture che traspare nelle sue descrizioni. Proprio le descrizioni archeologiche sono il valore aggiunto del suo racconto: precise, mai banali né tecniche: avremmo di che imparare da lei. Con rapide pennellate descrive ciò che vede. A corredo del testo, numerose fotografie scattate da lei documentano i siti e i dettagli: un’iscrizione, un capitello, una chiesa, una tomba, un tempio.

Alcuni passaggi sono molto interessanti, soprattutto per il lettore di oggi, che può riflettere sui processi storici. In particolare trovo interessanti le riflessioni che lei stessa fa sullo stato di conservazione di alcuni siti, nei quali la gente direttamente vive o in cui ha vissuto, di fatto distruggendo per un verso, ma rifunzionalizzando per l’altro, luoghi archeologici: non è altro che la continuità di vita di un sito, che lei vede svolgersi davanti ai suoi occhi:
“Quando ero passata da Qastal cinque anni prima, l’avevo trovata disabitata e la terra intorno non era coltivata, ora però alcune famiglie di fellahin (contadini) si erano stabilite sotto i resti delle volte e giovani germogli di grano stavano spuntando tra le mura: circostanza che senza dubbio riempie di gioia l’antropologo, ma che dà i brividi all’archeologo. Non c’è nulla di più devastante di un aratro e nessuno che distrugge più di un contadino che cerca pietre squadrate per costruirsi un rifugio” (p. 44)
Io, che per motivi di studio mi sono occupata di archeologia della distruzione, ovvero delle dinamiche della spoliazione delle città antiche, sono rimasta colpita dalla descrizione che la Bell fa delle mura di Antiochia (p. 296): distrutte neanche troppo tempo prima, perché non più utili e perché serviva materiale da costruzione a basso costo, quindi in loco, per erigere nuovi edifici; una regola, questa dell’economicità nell’approvvigionamento del materiale edilizio, valida sempre, in ogni luogo ed evidentemente in ogni tempo.

Leggere il racconto di Gertrude Bell appaga sia la mia anima viaggiatrice che quella archeologa. Il pensiero, poi, va al confronto con l’oggi. La Bell descrive città e luoghi che nel corso del Novecento e dei primi anni 2000 si erano radicalmente trasformate e che oggi sono invece state coinvolte dalle distruzioni della guerra. Anche il patrimonio archeologico, che la Bell descrive con passione e cura, oggi è stato in grandi parti distrutto dai miliziani dell’ISIS. Perciò inevitabilmente guardando le sue foto ci si commuove.

Foto semplici, in bianco e nero, realizzate da lei personalmente con la sua Kodak Box Camera a pellicola con l’intento di documentare, ma anche di ricordare: non mancano fotografie alle persone, siano essi personaggi che la ospitano, accompagnatori o gruppi umani con cui semplicemente viene a contatto. Il Gertrude Bell Archive raccoglie online tutte le foto dei viaggi dell’archeologa, ed è una fonte preziosissima. Nelle sue descrizioni, poi, la Bell è molto attenta ad utilizzare i termini precisi per indicare questa o quell’etnia e questo o quel ruolo sociale: si fa in effetti un po’ fatica a seguirli tutti, ed è straordinario invece come lei li registri con grandissima naturalezza.

Gertrude Bell come archeologa si fece notare nel mondo accademico per i suoi scavi a Ukhaidir nella bassa Mesopotamia (oggi Iraq); sì, esplorò anche altri siti, come Samarra e Babilonia, ma questi erano già stati scoperti e scavati da altri, da missioni tedesche o inglesi già operative sul territorio. Ukhaidir è una missione archeologica, invece, completamente sua. La affronta nel 1911, quando studia questa grande fortezza abbaside di VIII secolo d.C. nel deserto, con annessa moschea, ne conduce i rilievi, ne redige la pianta prendendo le misure. Infine pubblica i risultati delle sue indagini, anche se nel frattempo un’équipe tedesca la batte sul tempo. I suoi lavori sono però i più dettagliati e documentati. Oggi il sito è inserito nella Tentative List dell’UNESCO, ovvero in una lista d’attesa nella quale gli stati inseriscono quei monumenti o luoghi che ritengono degni della protezione UNESCO, prima che essi entrino nella lista dei Beni Patrimonio dell’Umanità.

Gertrude Bell ha giocato un ruolo politico fondamentale nella costituzione dello stato dell’Iraq che dotò, da buona archeologa, sia di un Istituto di Archeologia, che del Museo Nazionale Iracheno di Baghdad, negli anni ’20 del Novecento. La sua eredità è grande, nel bene e nel male di quel periodo storico e delle conseguenze che ha provocato.

Il suo racconto di viaggio, fresco e vivido, con le sue fotografie, ci regala uno spaccato della società siriana di inizio ‘900 che davvero si fa fatica a immaginare: una società in trasformazione, una terra per molti aspetti ancora nomade e nella quale già allora convivevano con difficoltà etnie e religioni diverse. Le fotografie della Bell assumono un valore ancora più grande in quanto ci descrivono un mondo che non è più, in parte distrutto per colpa del tempo, in parte per guerre e distruzioni consapevoli (soprattutto negli ultimi anni). È interessante il fatto, ad esempio, che nel suo viaggio incontri (ed esplori) molte chiese antiche, di età bizantina, ancora in piedi nonostante la forte e millenaria presenza dell’Islam: l’archeologia aiuta a ricostruire paesaggi umani che sarebbero altrimenti inimmaginabili. E la storia dell’archeologia (perché questo si fa, leggendo la Bell) permette di comprendere la percezione di quei paesaggi nel corso del tempo. Un approccio non facile, ma senza dubbio interessantissimo per capire qualcosa di più su un passato di cui oggi restano sempre meno tracce.

Bibliografia:
- Annie Sartre-Fauriat, Christel Mouchard, Gertrude Bell, archéologue, aventurière, agent secret, in “Syria (Revue en ligne)”
- Lisa Cooper, In Search of Kings and Conquerors. Gertrude Bell and the Archaeology of the Middle East, Londra/New York, 2016
- Eleanor Scott, Gertrude Bell Photographer – From Jerusalem to Dead Sea, https://eleanorscottarchaeology.com/els-archaeology-blog/2017/1/17/gertrude-bell
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