Pietre che raccontano storie: Tarragona, anfiteatro vista mare

Strano destino, quello di certe città. Prendi Tarragona, per esempio: sotto l’Impero romano era addirittura capitale di una delle province della Spagna, la Hispania Tarraconensis. La città, già villaggio fortificato indigeno, ebbe il suo “battesimo romano” durante la II Guerra Punica con gli Scipioni che ne fecero una loro fondamentale base militare in terra iberica.

tarragonaArriviamo al 27 a.C. quando Augusto imperatore fa Tarraco capitale della provincia che da lei prende il nome. È il momento del boom urbanistico, e la città si dota di tutti quei monumenti e servizi che ogni città romana degna di questo nome deve avere. L’anfiteatro è uno di questi.

blocchi e rocchi di colonna reimpiegati nella chiesa medievale al centro dell'arena. Queste sono pietre che raccontano storie
blocchi e rocchi di colonna reimpiegati nella chiesa medievale al centro dell’arena. Queste sono pietre che raccontano storie

Si affaccia sul mare, l’anfiteatro. In posizione sopraelevata rispetto ad esso, nei pressi  della strada, la Via Augusta, che nel I secolo d.C. conduceva fuori dalla città verso i Pirenei. Sotto, oggi, corre la ferrovia, rasente la linea di costa.

L’anfiteatro di Tarragona viene costruito nel II secolo d.C.: sul lato monte sfrutta il pendio roccioso, nel quale sono scavate le gradinate dell’ima cavea, la parte più bassa riservata al pubblico. La summa cavea e il resto delle gradinate sugli altri lati (se di lati si può parlare in un ellisse) invece sono costruiti. L’arena  è attraversata da un lungo corridoio che la taglia da parte a parte, più un altro corridoio che lo interseca a croce: si tratta dei corridoi coperti nei quali sostavano i gladiatori prima di salire a combattere, e dove erano collocate le macchine elevatorie che li sollevavano; un po’ come i corridoi sotto l’arena del Colosseo, per capirci. All’epoca erano coperti da cortine removibili, che oggi non ci sono più. In un angolo di questi corridoi, un piccolo affresco sulla parete indica un piccolissimo luogo di culto alla dea Nemesi: e a chi, se non alla dea della vendetta, potevano rivolgere le loro preghiere i gladiatori?

il luogo di culto alla dea Nemesi, nei sotterranei dell'anfiteatro
il luogo di culto alla dea Nemesi, nei sotterranei dell’anfiteatro

Lungo tutta la cavea correva un’iscrizione lunghissima a celebrazione dei restauri voluti e svolti sotto l’imperatore Elagabalo. Siamo nel III secolo d.C. ed è a quest’epoca che avviene un episodio fondamentale per la storia dell’edificio. Qui, proprio qui nell’arena dell’anfiteatro, avviene il martirio di tre cristiani: il vescovo Fruttuoso e i suoi diaconi Eulogio e Augure. Inevitabilmente, come spesso in questi casi, il luogo del martirio diviene luogo di culto e quando la città, perso il ruolo di capitale della provincia, smette di usare l’anfiteatro e diventa definitivamente cristiana, in età visigota, nel V secolo d.C., nel bel mezzo dell’arena viene costruita una piccola chiesa costruita reimpiegando elementi edilizi e architettonici provenienti dall’anfiteatro: rocchi di colonne, iscrizioni (rigorosamente impiegate capovolte), parti di statua; qualunque “pietra” potesse essere utile a garantire solidità all’edificio andava bene.

Nella chiesa dentro l'arena non manca nulla: iscrizioni reimpiegate nel basamento e blocchi modanati. Dentro la navata si intravvedono le semicolonne addossate alla parete
Nella chiesa dentro l’arena non manca nulla: iscrizioni reimpiegate nel basamento e blocchi modanati. Dentro la navata si intravvedono le semicolonne addossate alla parete

E così l’anfiteatro, persa da tempo la sua funzione di edificio di spettacolo, abbandonato a se stesso e al degrado che ogni cosa consuma, acquista una nuova vita grazie alla costruzione della chiesetta che si innalza, timida timida, o forse no, invece, temeraria, in mezzo alle gradinate ormai mezze malandate e già spogliate dei marmi, a dimostrazione che la giustizia del dio dei cristiani vince su tutto. Un piccolo cimitero sorge intorno alla chiesa, proprio nell’arena, dove un tempo morivano i gladiatori.

Passano i secoli, Tarragona finisce sotto la dominazione araba per un certo tempo, ma nel XII secolo torna ad essere cristiana. E la piccola chiesetta visigota viene rasata e la sua pianta inglobata in una nuova chiesa, più grande, intitolata a Santa Maria del Miracle, una chiesa a croce latina e unica navata, con piccole semicolonne addossate alla parete.

In seguito, nel XVI secolo, alla chiesa si annette un convento, che sfrutta le strutture della cavea ancora miracolosamente in piedi sia sul lato monte che sul lato mare, per mantenere un suo isolamento; in tempi ancora successivi, nell’Ottocento, perde la sua plurisecolare vocazione religiosa.

Fantasia ma non troppo in questa raffigurazione settecentesca delle rovine dell'anfiteatro
Fantasia ma non troppo in questa raffigurazione settecentesca delle rovine dell’anfiteatro

Per chi si affaccia a vedere l’anfiteatro di Tarragona, fa effetto vedere quei muri apparentemente senza spiegazione all’interno dell’arena: uno si aspetterebbe di vederla interamente vuota, l’arena, e invece no. Peccato che ci hanno costruito una chiesa dentro portandosi via parte dell’edificio, potrebbe pensare qualcuno. Ma è proprio questo il bello: probabilmente solo grazie alla destinazione religiosa dell’area per secoli si è potuto preservare il monumento, che altrimenti sarebbe stato destinato se non all’oblio, quantomeno al degrado più assoluto. Quelle pietre che sono state sottratte all’anfiteatro sono le stesse che gli hanno permesso di continuare a vivere, seppur sotto altra forma.

L'anfiteatro di Tarragona, vista mare, e la chiesa di Santa Maria del Miracle nel bel mezzo dell'arena
L’anfiteatro di Tarragona, vista mare, e la chiesa di Santa Maria del Miracle nel bel mezzo dell’arena

Strano destino, quello di certe città. Prendi Tarragona, per esempio: da capitale di una ricca provincia dell’Impero romano, è oggi una tranquilla città della Catalogna. La sua vicina Barcellona invece, oggi capitale della Catalogna, all’epoca era poco più di una cittadina, e si chiamava Barcino. Le tracce del suo passato romano e tardoantico sono ben nascoste nel tessuto urbano medievale e moderno. Ma le ho ugualmente stanate e ve ne parlerò nella prossima puntata.

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