Si fa presto a parlare di archeologi.
Si fa presto a dire “lui (lei) fa l’archeologo(a)“. Che vuol dire nella pratica quotidiana? Che fa l’archeologo? Un qualunque archeologo? In che cosa consiste il lavoro dell’archeologo?
Perché gli archeologi non sono tutti uguali: ci sono quelli che scavano, che si spaccano la schiena in cantiere, accanto alle ruspe, sotto alle ruspe, in condizioni di lavoro e retributive che hanno del disumano; poi ci sono gli archeologi che lavorano in università, come ricercatori o come docenti; quindi ci sono gli archeologi che lavorano per il Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo; quelli che lavorano nei musei; quelli che si occupano della didattica per i bambini; quelli che si occupano dei archeologia sperimentale; quelli che si occupano di comunicazione; quelli che vorrebbero fare della loro professionalità un lavoro retribuito. Siamo tutti archeologi, ognuno più o meno specializzato, per naturale propensione o per l’impiego che gli è capitato, in un particolare ambito. Dire “sono un archeologo” implica molto di più e molto di diverso dall’immagine classica dell’archeologo con la cazzuola in mano.
E ve lo dico: è dura, nella vita reale, essere un archeologo, ed è dura diventarlo e soprattutto continuare ad esserlo. Ricordo un episodio, che mi ha segnato perché è stato fondamentale per capire in che razza di mondo mi stavo lanciando, totalmente senza paracadute, un momento prima di iscrivermi all’università; lo ricordo come se fosse ieri: io, giovane liceale ad un incontro di orientamento all’Università, ero partita da Imperia per arrivare a Genova alla facoltà di Lettere per sentire come sarebbe stato organizzato il corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali. Ricordo che la professoressa Giannattasio, che poi sarebbe stata la mia docente di archeologia e storia dell’arte greca e romana, con molta franchezza e onestà disse “Non vi aspettate che quando vi sarete laureati in archeologia troverete tanto lavoro. Il lavoro molto spesso ve lo dovrete inventare, dovrete essere versatili ed elastici, perché il mercato del lavoro non aspetta voi“. Lì per lì non mi preoccupai più di tanto, pensai “vabbè, quando sarà il momento mi porrò il problema“. Poi il momento è arrivato, e mi sono accorta che le parole della mia professoressa erano state profetiche. Bisogna avere ingegno, fantasia, guardare cosa ci sta intorno, ascoltare e assecondare le nostre naturali propensioni. E’ per questo che sono diventata archeoblogger e social media manager per uno, anzi due, istituti archeologici nazionali, e anche se non sono questi due “incarichi” che mi danno il pane da portare a casa, sono comunque due sfaccettature della professione dell’archeologo che nulla hanno di meno rispetto all’archeologo che scava o all’archeologo che studia materiali o all’archeologo che fa didattica con i bambini.

Vogliamo raccontarvi le mille sfaccettature del lavoro dell’archeologo, vogliamo farvi capire in cosa può consistere e in cosa consiste, vogliamo farvi sapere che il nostro lavoro è tanto e variegato, ed è bello, interessante, curioso e affascinante. Vogliamo farvelo apprezzare, forse anche amare, vogliamo farvi capire che non è un passatempo, né una mania, ma una passione che nasce dall’interesse per l’antico, per ciò che è il nostro passato. L’archeologia è una disciplina sociale, non mi stancherò mai di ripeterlo, e l’archeologo ha una missione sociale. Se viene meno il legame e il rapporto tra archeologo e società allora l’archeologia non ha più ragione d’essere. Ma il primo passo per venirsi incontro è conoscere la vastità di interessi che un archeologo può avere e la vastità di punti in comune che può avere con le nostre attività quotidiane.
Archeostorie ora è in tour: una serie di eventi in agenda serve a promuoverne la sua conoscenza. Personalmente, sarò a Grosseto l’11 marzo, al Buy Maremma Online. Sarà una delle tante occasioni per incontrarsi e per far parlare di noi. Non noi autori, ma noi archeologi.
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