Eh? Cosa? Ma ho letto bene?
“@archeoliguria: È assolutamente *consentito* fotografare e condividere #genovanuragica pic.twitter.com/WBhtof2Mzc” #sapevatelo, #sipuòfare !
— ProfessionArcheologo (@pr_archeologo) 17 Maggio 2014
Sì, hai letto bene: #Genovanuragica è l’ashtag scelto per condividere tutto, foto soprattutto, della mostra “La Sardegna nuragica” in mostra al Palazzo Reale di Genova fino a fine luglio. Perché ne parlo? Perché la mostra è gratuita, è stata introdotta in modo simpatico dall’allora neonata pagina facebook della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria, ha questo ashtag, #genovanuragica, con cui si consiglia caldamente di condividere l’esperienza di visita su twitter e, soprattutto, è una mostra che, senza inventarsi spettacolari ma spesso fini a se stessi espedienti tecnologici di ultima generazione, riesce ad essere comunicativa. E non lo dico io, ma lo dice mia madre, di madre sarda, con qualche reminiscenza dovuta più alla passione per la sua terra d’origine e alle vacanze trascorse in Sardegna fino a 20 anni fa che non a una preparazione archeologica specifica in materia (cosa che, peraltro, per quanto attiene la civiltà nuragica, manca anche a me): è lei che, avendo l’opportunità di poter approfondire un aspetto dell’archeologia delle sue più antiche origini, è uscita dalla mostra soddisfatta e davvero con qualcosa in più. E questo mi sembra un gran risultato.
Dopo un primo livello di carattere generale, sugli aspetti più generali della civiltà nuragica, il secondo livello entra nello specifico, caso per caso, dei singoli nuraghe che hanno restituito modelli di nuraghe. Eh già, perché la mostra non è sui nuraghe in generale, ma su un aspetto specifico: i modelli di nuraghe che erano un oggetto simbolo sia per i Nuragici che per i loro successori; non solo, ma dal punto di vista archeologico, sono un’importante fonte iconografica per capire come fossero fatti davvero i nuraghe, che, nella loro completezza, erano più simili a torri vere e proprie (come la torre degli scacchi, per esempio) che non ai tronchi di cono che conosciamo, e questo perché probabilmente la parte superiore doveva avere un ballatoio in legno che non si è conservato. Per me, nipote di sarda, ma soprattutto archeologa, una scoperta grandiosa, per mia madre, sarda nel cuore, nell’animo e nel sangue, a maggior ragione, ancora di più!

Sono davvero numerosi i nuraghe che hanno restituito modellini di se stessi: di ciascuno è offerta una descrizione su pannello, con diversi gradi di lettura, così che se non te li vuoi leggere tutti puoi saltare alle informazioni principali. Questo ci ha permesso di soffermarci sui nuraghe a noi più familiari (come il Palmavera, che ho visitato da bambina piccina e di cui possiedo veramente un vaghissimo ricordo), ricordando magari episodi legati a qualche vacanza in Sardegna: e certo la conoscenza diretta dei luoghi aiuta sicuramente, li fa sentire più “propri” soprattutto quando si sente di avere un legame particolare, “di sangue”, con quella terra. In effetti è stato bello osservare l’interesse di mia madre per l’esposizione: vederla così coinvolta e curiosa, proprio perché si tratta di scoprire un passato che sente suo, e soprattutto vederla soddisfatta alla fine è stata una bella sensazione: la mostra è arrivata laddove doveva arrivare. Oltre ai modelli di nuraghe, in mostra si possono vedere modellini in bronzo e bronzetti vari tra cui le navicelle nuragiche: e si scopre così che l’albero della nave terminava con un modellino di nuraghe…
#archeoacquario a #genovaarcheologica: navicelle nuragiche @archeoliguria @MuseoSannaSS @MuseoArcheoCa pic.twitter.com/c6l6YCPWpm
— Marina Lo Blundo (@maraina81) 9 Luglio 2014
Per il resto, accennavo all’inizio all’attesa creata intorno all’evento: perché la pagina facebook della Soprintendenza archeologica della Liguria ha giocato sulla presenza di una mostra dedicata alla civiltà nuragica a Genova creando ad hoc delle particolari indicazioni stradali che, nei fans più attenti, devono aver creato un minimo di curiosità…

Anche la possibilità, anzi l’invito a fare foto all’interno della mostra e di condividerle con twitter è stata una bella mossa, anche se, ahimé, è ancora troppo poco il pubblico di twitter che visita le mostre di archeologia e sfrutta questi strumenti. Ma l’importante è che si possano fare foto e quelle le fanno davvero tutti, da sempre.
Ebbravi #genovanuragica: è assolutamente consentito fotografare in mostra! @archeoliguria pic.twitter.com/BCPt87ZOZP
— Marina Lo Blundo (@maraina81) 3 Luglio 2014
E allora bene, bravi, bis! Per carità, se vogliamo fare le pulci anche a questa mostra, sicuramente qualcosa di migliorabile c’è (ad esempio, se oltre alla grande mappa in apertura con l’indicazione di tutti i nuraghe, ci fosse stata per ogni pannello di nuraghe la localizzazione, non sarebbe stata una cattiva idea: così suggerisce mia madre! 🙂 ), ma per una volta ho voluto dismettere i panni dell’archeologa ipercritica ed ho preferito osservare le reazioni della persona che era con me la quale, priva di ogni preconcetto e di malizie di museologia, è senz’altro il giudice migliore e il termometro di gradimento più affidabile per giudicare. E lei ha detto “Per me è sì“.