Ha inaugurato a ottobre al Museo Archeologico Nazionale di Firenze la mostra “Signori di Maremma. Elites etrusche tra Populonia e Vulci. Quelle che seguono sono critiche che ormai non si vorrebbero più fare, perché rivelano che purtroppo non a tutti coloro che allestiscono mostre di archeologia è chiaro che esporre l’oggetto da solo non basta, ma occorre contestualizzarlo, agli occhi di un visitatore. L’esposizione si presenta più come un cabinet des merveilles che come una mostra scientifica: corredi tombali eccezionali, come quelli della tomba dei Flabelli di Populonia, e delle tombe del Duce e degli Avori a Marsiliana d’Albegna sono sistemati in tutto il loro splendore nelle vetrine, pezzi fondamentali dell’Etruscologia quali la Fibula Corsini da Marsiliana, il Carro di Populonia, la statua dal tumulo della Pietrera di Vetulonia ecc., sono esposti, sì, ma non spiegati. Stringate e incomprensibili ai più, le didascalie inizialmente poste in trasparenza (un’altra sfida per il visitatore, dal quale si pretendeva che in una vetrina in cui si affastellano oggetti eterogenei per forma, funzione e materiale, sapesse distinguere una kotyle da un kyathos, sapesse cos’è un alare, sapesse riconoscere in un tubolino metallico un affibbiaglio a pettine; sapesse soprattutto cos’è un affibbiaglio a pettine), da qualche mese a questa parte sono state sostituite da un micropannellino con le sagome degli oggetti e i numerini di riferimento. Poche, pochissime righe di spiegazione in più e non sempre, nella convinzione che siano gli oggetti a parlare, e che ogni spiegazione sia superflua.
Quindi non un pannello a illustrazione, anche parziale, della mostra, solo alcune gigantografie che focalizzano l’attenzione su alcuni oggetti e alcune citazioni di fonti classiche, come Posidonio di Apamea a proposito del banchetto. Per il resto nulla. Un diorama che rievoca la guerra, con clangore di spade in sottofondo, e due schermi che trasmettono a ripetizione immagini di reperti e di ambienti etruschi sono due concessioni al multimediale: ma non basta la rievocazione di un campo di battaglia per rendere moderno un allestimento. Gli oggetti nelle vetrine sono muti, non comunicano nulla al visitatore se non la loro bellezza. Ma siamo in un museo non ad una sfilata di moda, e il visitatore che si stupisce del bello forse vorrebbe sapere chi ha fatto l’oggetto e perché, chi lo possedeva e quando e come era utilizzato. Le pareti bianche tra una vetrina e l’altra sono ancora più vuote al pensiero di cosa poteva essere detto, e non è stato fatto, per favorire il visitatore nella comprensione. Oggetti muti, con cui il visitatore non può e non riesce a dialogare.
Esposizione fine a se stessa, ci si chiede a chi sia destinata. A quale pubblico si rivolge? Per chi è stata ideata, concepita e allestita questa mostra? Qual è il suo scopo? Chi progetta una mostra dovrebbe porsi queste domande e non darle per scontate. Altrimenti il risultato è quello della mostra di Firenze, in cui gli oggetti, belli ma muti, suscitano solo meraviglia, ma non conoscenza.