Orrore! Dove sono finiti i libri di archeologia?
Fiera Internazionale del Libro, Torino. Splendida vetrina per editori più o meno noti, altrettanto splendida vetrina per autori, anch’essi più o meno noti.
Gli stand sono organizzati per case editrici, mentre mancano dei veri settori tematici, quelli per cui se a me interessa un determinato genere letterario vado a colpo sicuro. Niente colpi sicuri a Torino, tutto è lasciato alla libera iniziativa e alla voglia di “scoperta” che c’è in ognuno di noi.
Così però sfuggono alla vista parecchie cose: non si è in grado ad esempio, o almeno io nonsono in grado, di fare delle statistiche su quale sia il genere letterario del momento, cosa va per la maggiore, cosa si scrive? cosa si legge? Vincono sempre i gialli o i romanzi d’avventura? anche il fantasy si dà da fare, allora. O vince piuttosto la saggistica, certa saggistica impegnata sul sociale piuttosto che sulle dinamiche della comunicazione e del mercato? Un libro qua e là non riesce di per sé a fare una statistica, mentre un raggruppamento per settori potrebbe essere più funzionale. Ma per carità, io sono solo un’umile utente che ha passato ieri una splendida giornata immersa in un mare di pagine, e le mie sono solo critiche o idee che sicuramente sono già state prese in consderazione, e scartate, dagli organizzatori dell’evento editoriale più importante dell’anno.
Veniamo a noi, ovvero al perché di questa critica. Nella dislocazione dei volumi per casa editrice e non per generi si perde a mio parere l’entità e la quantità dei volumi. Un esempio che posso fare riguarda la “letteratura” di viaggio: solo 2 case editrici, la edt e la fbe edizioni, presentavano libri di viaggio, tra guide, carnet, racconti ed altro. Queste per lo meno sono quelle che ho individuato io,che pure ero interessata all’argomento. Il resto bisognava cercarlo negli stand della grande distribuzione, ma detto tra noi, tra comprare un libro allo stand della feltrinelli al salone del libro, e comprarlo in una libreria feltrinelli in centro non passa granché differenza. Il bello del salone del libro dovrebbe essere che emergono le case editrici minori che raramente finiscono nei canali della grande distribuzione.
Questo era un esempio per dire, quindi, che non era facile isolare un genere letterario all’interno di tutti i volumi presentati nelle centinaia di stand in esposizione.
Una cosa è certa: l’archeologia è la grande assente.
C’erano, sì, i volumi della Carocci (anche Le Bussole) e della Laterza, ma poi? Per trovare qualcosa di divulgativo probabilmente si doveva andare a sfrucugliare negli infiniti e affollatissimi stand di Mondadori, Giunti e Feltrinelli, perdendo tempo per non trovare magari nulla (e comunque vale il discorso di cui sopra).
Per il resto poca roba, veramente poca, e che avrebbe attirato in pochissimi: lo stand del CNR, ad esempio, esponeva dei volumi altamente specializzati, scritti per un pubblico scientifico e assolutamente illeggibili per il resto del mondo. Dunque volumi per pochi. Lo stand dell’Istituto Poligrafico zecca dello Stato aveva alcuni volumi di nuovo per un pubblico scientifico e poi la serie (degli anni 60 o giù di lì) dei musei nazionali d’Italia. Fa piacere, per carità, ma vanno bene per gli amanti della storia dell’archeologia, ammesso che vogliano spendere soldi in queste cose, o addirittura per gli amanti di libri antichi…
Ringraziamo che il Paese ospite era l’Egitto, così almeno qualche misera pubblicazione divulgativa era presente. Ovviamente, però, siamo sempre lì, l’Egitto è l’unico argomento su cui esiste effettivamente una letteratura più divulgativa, più o meno seria, scritta per un pubblico non necessariamente di esperti, ma anche di semplici appassionati o di curiosi. Per il resto è il nulla più totale.
Ho apprezzato tantissimo una collana di un editore torinese fatta per bambini costituita da volumi illustrati in cui si spiega cos’è un museo, oppure cosa fa il restauratore, l’archeologo, il pittore, lo scultore: un approccio all’arte e ai Beni Culturali funzionale che inizia ad accompagnare i bambini fin da piccoli. Perché parliamoci chiaro: l’attività didattica che si fa in un museo serve a poco se non è sostenuta da un qualcosa che rimane, un libro quindi, fatto allo stesso modo: coinvolgente, giocoso, allegro, semplice e divertente.
In sostanza emerge, quindi, da un’analisi veloce ma schietta, l’assenza dell’archeologia dalle potenziali librerie degli italiani. E ripeto, non un’archeologia per pochi addetti ai lavori, ma un’archeologia alla portata di tutti. E mentre impazzano i libri più assurdi sui templari e il Graal, sui celti e i druidi, che grazie all’effetto Voyager proliferano come zanzare in una palude, l’archeologia, quella seria, quella documentata studiata bene, se ne sta zitta e in disparte, accettando di vedere il suo nome (così come il suo metodo) abusato e sminuito. Si rischia davvero che siccome non c’è un archeologo disposto a scendere dal suo scranno per scrivere in un linguaggio e un formato adatto a tutti, lo farà chi archeologo non è, dicendo “in assenza di un archeologo, lo scrivo io!”.
Eh già, tanto che ci vuole?
Marina Lo Blundo
Hai tutta la mia solidarietà.
Da uno che ha letto Civiltà sepolte della Ceram a dodici.
Forse perchè in quegli anni non c’era Voyager:)
Complimenti per il post, molto bello.
Saluti
CM
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