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Nel cuore del Parco nazionale del Pollino, a pochi km da Papasidero (CS) e a poche centinaia di metri dalla gola del fiume Lao, meta amata da chi pratica rafting e altre attività outdoor, si cela una delle scoperte archeologiche preistoriche più interessanti degli ultimi 60 anni: la Grotta del Romito.
Grotta del Romito: la scoperta
Correva l’anno 1961. Come ogni giorno, da anni anzi decenni, e per generazioni prima di lui, un pastore conduceva il suo gregge di pecore al pascolo nel Pollino, in un’area in cui ai prati si alternano macchie boscose, ruscelli e formazioni rocciose. Proprio una di queste formazioni, un vero e proprio riparo sotto roccia, era il luogo in cui solitamente il pastore si fermava. Me lo immagino mentre, seduto su un masso, poggiato il bastone, prende un pezzo di pecorino, taglia un pezzo di pane col coltello, dopodiché si versa un generoso bicchiere di vino rosso: ché la vita pastorale è tosta, ma con un sorso di vino sincero scivolano via il freddo e la stanchezza. E me lo immagino mentre, bevendo quel vino, si volta e vede dei segni incisi su una roccia lì accanto. Li vede per la prima volta, anche se sono anni che frequenta quel riparo. E non gli sembrano segni qualunque: sembra la testa di un toro, con tanto di corna, occhi e naso, quella che vede. Possibile non se ne fosse mai accorto prima? Il segno, tra l’altro, non è certo stato inciso ieri: è in parte coperto dal terreno e, di questo il pastore è certo, quella roccia è sempre stata lì.

La notizia del toro sulla roccia si sparge velocemente: in paese la gente mormora e chiacchiera e la notizia giunge fino a Firenze, dove Paolo Graziosi, professore di archeologia e paletnologia all’Università di Firenze nonché – e soprattutto – grande esperto di arte rupestre di età preistorica organizza subito una missione archeologica.
Graziosi capisce subito di trovarsi di fronte a un’autentica opera di arte rupestre: il toro viene completamente portato alla luce e appare nella sua interezza: l’artista paleolitico ha raffigurato con grande naturalismo il muso con le corna, l’arco del dorso, la coda e le zampe con gli zoccoli. Il tutto inciso a bulino.
Iniziano gli scavi che nella prima fase, condotta da Graziosi, durano dal 1961 al 1967: si scopre così che il riparo è stato frequentato e utilizzato come luogo di sepoltura. Gli scavi sono ripresi a partire dal 2000 a cura dell’Università degli Studi di Firenze. Le ricerche continuano, ma oggi sappiamo tantissimo sulla Grotta del Romito: fu frequentata da 24000 anni fa, mentre il toro fu realizzato tra i 14.000 e i 12.000 anni fa.
La Grotta del Romito: geomorfologia e presenza umana
Si tratta di una grotta-riparo, ovvero di un riparo sotto roccia dal quale però si accede anche a una grotta vera e propria caratterizzata dai consueti fenomeni di percolazione dell’acqua che danno origine alle formazioni calcaree delle stalattiti e delle stalagmiti. La grotta è costituita da due ambienti che restano alle spalle del Riparo: l’ambiente più interno non fu mai frequentato dall’uomo, mentre quello esterno sì, ed ha restituito una sequenza stratigrafica, indagata a partire dal 2000, che risale fino alle prime frequentazioni, saltuarie, di 24.000 anni fa.

Lo stesso riparo doveva essere ben più ampio, ma parte della parete rocciosa è crollata in un tempo probabilmente posteriore alla frequentazione paleolitica, mesolitica e neolitica della grotta.
Tornando alla presenza umana, le stratigrafie portate in luce all’interno della grotta raccontano che prima di 24.000 anni fa la grotta era attraversata da corsi d’acqua che ne impedivano la frequentazione. Essa comincia, saltuariamente e stagionalmente tra i 23.500 e i 20.000 anni fa, nella fase media del Paleolitico Superiore (Gravettiano). La frequentazione si fa stabile a partire da 19.000 anni fa e fino agli 11.000 anni fa, quando l’uomo utilizza la grotta sia come spazio abitativo che come luogo per le inumazioni dei defunti. In stratigrafia, ben visibili sulla parete della grotta, sono emerse tutte le attività connesse alla vita quotidiana: focolari, macellazione degli animali, produzioni di strumenti in pietra.

Le stratigrafie del Riparo, quindi all’esterno della grotta, vanno invece dai 12-11.000 anni fa, sino ai circa 6.000 anni fa, quindi dalla fase finale del Paleolitico Superiore (Epigravettiano) al Mesolitico (10-9000 anni fa) e fino al Neolitico (6.000 anni fa) documentato dalla presenza di resti ceramici e di ossidiana importata: il fiume Lao dovette giocare un ruolo importante per lo sviluppo dei gruppi umani che vivevano nel territorio e per i contatti con altre genti.
La Grotta del Romito: il bos primigenius
La Grotta del Romito deve la sua fama e suscita interesse presso i visitatori principalmente per il grande bos primigenius inciso su una parete rocciosa ben visibile sul lato del Riparo. In effetti l’opera è importante, perché poche simili forme d’arte rupestre si trovano altrove in Italia in Sicilia nelle Grotte sul Monte Pellegrino, e in Liguria nella Grotta del Caviglione dei Balzi Rossi, dove però l’animale inciso è un cavallo. Siamo davanti a quella che Paolo Graziosi definiva un’opera propria della “provincia mediterranea dell’arte preistorica“, distinguendola così dalle raffigurazioni di animali che si trovano in grotte quali Altamira e Lascaux: innanzitutto il bos primigenius del Romito è soltanto inciso, non dipinto, e inoltre è statico, mentre le figure animali di area franco-cantabrica sono ben più dinamiche.
Oltre al grande bos primigenius, altre due figure di bovino sono raffigurate: un’altra figura naturalistica di bue, più piccola, e il profilo di una testa di bove con le corna. E’ stato proposto che il bos primigenius avesse una funzione totemica: sicuramente era un animale molto diffuso nel territorio del Pollino dell’epoca, così come dimostrano i numerosi resti ossei macellati rinvenuti all’interno della grotta; gli altri animali di cui gli uomini paleolitici del Romito, poi, si nutrivano dopo averli cacciati erano cinghiali, cervi, camosci e caprioli: la fauna tipica di quel territorio in quei millenni. Tra i 24.000 e i 19.000 anni fa siamo ancora in piena glaciazione di Würm, l’ultima grande glaciazione, anche se essa si stava avviando alla conclusione, intorno ai 12.000-10.000 anni fa: pertanto il clima era ben più rigido di quello attuale.

La Grotta del Romito: le sepolture
Anche se l’arte rupestre, con la straordinaria incisione di bos primigenius, è ciò che più rimane impresso quando si visita la grotta, grandissima rilevanza hanno le sepolture rinvenute sia durante gli scavi di Paolo Graziosi negli anni ’60 che nella ripresa delle ricerche a partire dal 2000 e tutt’ora in corso.
Sono venute in luce in totale 9 sepolture: nel Riparo, Paolo Graziosi scavò le sepolture bisome, ovvero con due corpi, Romito 1-2 e Romito 5-6 e le sepolture singole Romito 3 e 4. Le altre tre, Romito 7, 8 e 9, sono state rinvenute all’interno della Grotta negli anni più recenti.
Senza descriverle tutte, mi soffermo su quelle più interessanti.
La sepoltura bisoma 1-2 è molto particolare perché, dei due individui, uno era affetto da nanismo. Non solo, ma Romito 1, sicuramente individuo maschile, sembra cingere Romito 2 col braccio: nell’atto della sepoltura l’individuo maschile si prende cura dell’individuo affetto da nanismo. L’aspetto culturale interessante che emerge è che nonostante il nanismo, l’intero gruppo umano che abitava il Riparo si è preso cura dell’individuo (forse femminile) fino alla sua morte. Resta da capire – ma probabilmente non si saprà mai – se e come i due individui sono morti nella stessa circostanza, o a pochissima distanza di tempo.

La sepoltura, così come tutte le altre – con l’eccezione di Romito 9 – si data tra 11.000 e 12.500 anni fa. Le sepolture non sono tra loro contemporanee.
La sepoltura 8 ha un’altra storia interessante: rinvenuta all’interno della grotta, l’individuo che l’ha occupata ha vissuto fino ai 30 anni, dunque era a tutti gli effetti un anziano nella società del tempo. Quest’individuo maschile sicuramente era stato dedito alla caccia come tutti i maschi del clan e subì diverse ferite durante le sue missioni, l’ultima delle quali, qualche anno prima della morte, lo rese paralitico, con schiacciamento delle vertebre tale da non potersi più muovere. Nonostante l’incidente davvero grave, la sua comunità si prese cura di lui. Al tempo stesso lui si rese utile al clan e anche se non poteva più cacciare si mise a realizzare strumenti in pelle o corda: questo ci racconta la fortissima usura dei denti. Quando morì, fu sepolto in una fossa terragna stretta e profonda, coperto da moltissime pietre.

Se Romito 8 è l’individuo più vecchio individuato finora, Romito 9 è il più giovane: un ragazzo di 11-12 anni al massimo. Però è il più antico tra tutte le inumazioni rinvenute nella grotta, e infatti presenta caratteristiche tutte sue.
Le sepolture da 1 a 8 si datano ai 12.500-11.000 anni fa. Romito 9, invece, è ben più antico, risale a circa 16.000 anni fa! Una piccola fossa ovale nella quale il corpo di questo giovane cacciatore era stato deposto, coperto di ocra e rivestito da indumenti ricchissimi dei quali si sono preservate centinaia di piccola conchiglie marine e denti di cervo. Un rito cerimoniale complesso, dunque, ben diverso dalle sepolture sobrie, o meglio spoglie, prive di corredo o quantomeno di un corredo che abbia lasciato tracce, che ritroviamo nella stessa grotta nei millenni successivi.
Il ragazzino di 11-12 anni, Romito 9, fu deposto su un letto di ocra rossa, secondo una pratica in uso in Europa all’inizio del Paleolitico Superiore (mi viene in mente ad esempio il Giovane Principe delle Arene Candide – Finale Ligure, che morì 24.000 anni fa). Le centinaia di conchiglie e di denti di cervo dovevano decorare o formare una sorta di coperta. Altri denti di cervo erano disposti sui polsi: dobbiamo immaginarli legati insieme, come bracciali.
Dopo circa 1000 anni dalla sepoltura, essa fu sconvolta: non si sa come e perché, ma essa fu intercettata, le ossa ributtate, o meglio sistemate da una parte, e infine coperte con pietre calcaree a segnalarne la presenza.
Risulta difficile fare delle supposizioni e avanzare delle ipotesi in un orizzonte cronologico talmente ampio come possono essere mille anni: visto che la grotta, piuttosto piccola, è stata frequentata molto a lungo, sarebbe più strano il contrario. Evidentemente la tomba è stata intercettata durante qualche attività, non meglio interpretabile. Una volta rinvenuto però lo scheletro e soprattutto il suo corredo, sarà apparso anche ai paleolitici abitanti della grotta che quella sepoltura fosse privilegiata, e quindi fecero un miglior segnacolo perché i posteri se ne ricordassero.
La Grotta del Romito: le fasi finali
Giustamente, durante la visita di gruppo cui ho preso parte una persona ha chiesto “Ma perché si chiama Grotta del Romito?” La risposta è questa: in età medievale il Riparo divenne romitorio per i monaci Basiliani che tanto hanno contribuito alla cristianizzazione della Calabria attraverso la loro costituzione in cenobi e romitori. Dopo un’assenza di diverse migliaia di anni, la fase più tarda di frequentazione risale dunque al medioevo, quando alcuni monaci basiliani eressero questo Riparo a luogo di romitaggio e di preghiera. La scelta non deve sorprendere: esplorando il territorio non riesce difficile capire quanto fosse da un lato difficile inoltrarsi in queste lande e quanto dall’altro lato fosse sentito il senso del divino.
La Grotta del Romito: la visita
Anche se le ricerche archeologiche non sono ancora finite (non all’interno della grotta, ma fuori, a poche decine di metri), la grotta-riparo del Romito è aperta al pubblico. Anche se la strada, molto stretta, non è delle migliori (è comunque asfaltata!) la Grotta è molto ben segnalata sin dall’uscita dell’autostrada di Mormanno (CS) sull’A2.
Le visite sono guidate-accompagnate ogni ora: si acquista il biglietto (intero 5 euro) presso la biglietteria/museo all’interno del quale si ha una prima introduzione al sito e alle sepolture: vi sono riprodotti i calchi delle sepolture Romito 7 e 8, mentre i pannelli descrivono tutti gli altri aspetti relativi all’archeologia della grotta, compresa una bella parete stratigrafica che racconta fase per fase la frequentazione della grotta, dal Paleolitico Superiore al Neolitico.
La Grotta del Romito è probabilmente uno dei siti paleolitici più importanti d’Italia. Si trova poi nel Pollino, che è Geoparco Mondiale Unesco. Si tratta di un luogo estremamente rilevante, archeologicamente e non solo. Un luogo assolutamente da visitare, un luogo unico nel suo genere.

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