In questi giorni di forte tensione internazionale tra Trump e l’Iran, dopo l’uccisione di Soleimani dalle conseguenze nefaste (comunque si evolverà la faccenda) fanno notizia anche e soprattutto i tweet del presidente degli USA. In particolare è a partire da questo tweet che l’opinione pubblica internazionale si è indignata:
Il tweet di Trump minaccia dunque di colpire, tra gli obbiettivi sensibili dell’Iran, anche i suoi siti culturali. E giustifica l’azione con queste parole: “They’re allowed to kill our people, they’re allowed to torture and maim our people, they’re allowed to use roadside bombs and blow up our people – and we’re not allowed to touch their cultural site? It doesn’t work that way.”: come a dire “con tutto quello che hanno fatto a noi cosa volete che siano dei siti culturali?” (credits: BBC.com)
Fatto sta che distruggere i siti culturali di un Paese con cui si è in conflitto è un crimine di guerra. Quale che sia il reale intento di Trump, se meramente provocatorio per distogliere l’attenzione dalle azioni militari, o se davvero intenda distruggere i siti culturali per rappresaglia, resta il fatto che inserire tra i propri obiettivi militari deliberatamente dei monumenti o dei siti di interesse culturale è un crimine di guerra. Lo è fin dal 1954, quando fu stipulata la Convenzione dell’Aia sulla protezione del Patrimonio Culturale in caso di conflitto armato.
Distruggere i siti culturali di un Paese con cui si è in conflitto è un crimine di guerra. Lo è fin dal 1954, quando fu stipulata la Convenzione dell’Aia sulla protezione del Patrimonio Culturale in caso di conflitto armato.
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La Convenzione dell’Aia del 1954
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, contando i danni, le perdite, le distruzioni e i furti di beni culturali mobili e immobili, i rappresentanti delle Nazioni Unite, sotto l’Egida dell’UNESCO, si incontrarono all’Aia, in Olanda, dove sottoscrissero e adottarono la Convenzione dell’Aia per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato.
“Danni ai beni culturali appartenenti a qualsiasi popolo significano danni al patrimonio culturale di tutta l’umanità”
Questa è in assoluto la prima volta in cui si parla di proprietà culturale per proteggere la quale la comunità internazionale si impegna ad adottare tutte le soluzioni necessarie per salvaguardarla. Viene esplicitato il concetto che “danni ai beni culturali appartenenti a qualsiasi popolo significano danni al patrimonio culturale di tutta l’umanità.” E vengono considerati oggetto della convenzione sia i beni culturali mobili che immobili.
In particolare, l’articolo 1 della Convenzione definisce i “beni culturali” come:
- 1) beni mobili e immobili di grande importanza per il patrimonio culturale di ogni popolo, compresi monumenti storici, siti archeologici e opere d’arte, nonché collezioni scientifiche e importanti raccolte di libri o archivi;
- 2) edifici il cui scopo è preservare o esibire beni culturali mobili
- 3) centri contenenti una grande quantità di beni culturali come città storiche o zone archeologiche. L’articolo 3 stabilisce l’obbligo per le Alte Parti contraenti di “prepararsi in tempo di pace per la salvaguardia dei beni culturali situati nel proprio territorio dagli effetti prevedibili di un conflitto armato.”
“Danni ai beni culturali appartenenti a qualsiasi popolo significano danni al patrimonio culturale di tutta l’umanità”
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Se da un lato l’impegno la Convenzione voleva scongiurare che un eventuale Stato assalitore distruggesse i beni culturali dell’assalito, dall’altro canto chiedeva allo stato assalito di non mettere i beni culturali in condizione di essere distrutti: secondo la Convenzione si devono evitare atti di ostilità nei confronti della proprietà culturale di un altro stato, tranne quando “la necessità militare richiede imperativamente tale rinuncia” (articolo 4.2). E l’unica circostanza in cui si può rivendicare una “necessità militare imperativa” è quando il nemico usa la proprietà culturale per scopi militari. Di conseguenza la Convenzione chiede agli Stati di non utilizzare i beni culturali in modo tale da esporli a distruzioni o danni.
L’articolo 4 vieta le rappresaglie contro i beni culturali e impegna gli Stati a prevenire il furto o il saccheggio di oggetti culturali. Interessante, all’articolo 5, il concetto che lo Stato occupante debba collaborare con lo Stato occupato alla messa in sicurezza dei beni culturali e che addirittura possa adottare esso stesso misure di protezione in stretta collaborazione con lo Stato occupato. Di fatto è quello che si era già verificato in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale con l’opera dei Monuments Men.
L’articolo 19 della Convenzione estende la protezione della proprietà culturale ai conflitti armati interni come guerre civili, guerre di “liberazione” e campagne armate per l’indipendenza. Tuttavia, negli ultimi anni gli attacchi alla proprietà culturale sono diventati all’ordine del giorno proprio in tali conflitti e anzi, la distruzione del patrimonio culturale è stata utilizzata come ulteriore arma di offesa: mirare alla distruzione di monumenti identitari è stata parte integrante della strategia offensiva in molti episodi di guerra della storia recente: il Ponte di Mostar nel conflitto dei Balcani nel 1993, per esempio; ma anche la distruzione dei Buddha di Bamiyan in Afganistan ad opera dei Talebani nel 2001 e, negli anni recentissimi, le distruzioni e dispersioni perpetrate dall’ISIS in Siria realizzate anche con lo scopo di vendere sul mercato clandestino per finanziare l’acquisto di armamenti.
Sul sito web dell’UNESCO si può leggere il testo integrale della Convenzione dell’Aia del 1954.
Lo Scudo Blu e i siti a protezione speciale secondo la Convenzione dell’Aia del 1954

Uno scudo blu fu il simbolo scelto nel 1954 dalla Convenzione dell’Aia per segnalare i beni culturali, i rifugi, i trasporti e il personale addetto alla protezione dei beni. Questo contrassegno è definito come “uno scudo, appuntato in basso, inquadrato in croce di S. Andrea, d’azzurro e di bianco“: di fatto è uno scudo composto di un quadrato azzurro con un angolo iscritto nella punta dello scudo, sormontato da un triangolo azzurro, su fondo bianco.
Con “protezione speciale” si intende un livello più alto di protezione rispetto alla protezione generale ai beni culturali derivata dall’articolo 1 della Convenzione. Ai sensi degli articoli 8-11 della Convenzione del 1954, la protezione speciale può essere concessa in tre casi:
- a un numero limitato di rifugi destinati a proteggere i beni culturali mobili in caso di conflitto armato;
- ai centri contenenti monumenti;
- ad altri beni culturali immobili di grandissima importanza.
La concessione di una protezione speciale è soggetta a due condizioni:
- i beni culturali in questione devono essere situati a una distanza adeguata da qualsiasi grande centro industriale o da qualsiasi importante obiettivo militare che costituisca un punto vulnerabile;
- tale proprietà non può essere utilizzata a scopi militari.
La concessione di una protezione speciale non è automatica. Lo Stato sul cui territorio si trova la proprietà culturale deve presentare una richiesta al Direttore Generale UNESCO e nessun altro Stato Parte può opporsi alla richiesta (Regolamento, Articolo 11).
La protezione speciale è garantita dall’iscrizione della proprietà nel “Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale” (articolo 8.6)
La proprietà sotto protezione speciale è contrassegnata da tre scudi blu la cui forma e uso sono dettagliati negli articoli 16-17 della Convenzione del 1954 (v. sopra). Questa forma del simbolo indica:
- proprietà culturale sotto protezione speciale;
- veicoli o personale utilizzato nel trasporto di beni culturali;
- rifugi improvvisati o di emergenza o luoghi sicuri in cui beni culturali possono essere conservati durante conflitti armati.
Oggi solo un sito è elencato nel registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale: l’intero Stato della Città del Vaticano.
Gli Stati Uniti e la Convenzione dell’Aia del 1954
Sebbene gli Stati Uniti contribuirono a redigere la Convenzione dell’Aia del 1954 e la firmarono nello stesso anno, tuttavia il trattato non fu trasmesso al Senato per la ratifica a causa delle preoccupazioni militari su come esso avrebbe potuto influenzare la politica al culmine della Guerra Fredda. Alla fine della Guerra Fredda, il Dipartimento della Difesa ritirò le sue obiezioni e, nel 1995, i capi di stato maggiore congiunti degli Stati Uniti raccomandarono all’unanimità che il Senato USA ratificasse la Convenzione. Nel 1999 il presidente Bill Clinton trasmise la Convenzione dell’Aia del 1954 alla Commissione per le Relazioni Estere del Senato degli Stati Uniti con il suo sostegno alla ratifica da parte del Senato, insieme a un rapporto dettagliato sulla sua importanza scritto dal Dipartimento di Stato. Ma non se ne fece nulla.
La Commissione per le Relazioni Estere del Senato infatti non ha intrapreso alcuna azione fino a che il saccheggio del Museo dell’Iraq a Baghdad nell’aprile del 2003 e il saccheggio dei siti archeologici nell’Iraq meridionale negli gli anni seguenti non ha ricevuto l’attenzione pubblica e ravvivato l’interesse per la Convenzione.
Per farla molto breve, solo nel 2009 gli Stati Uniti hanno ratificato la Convenzione dell’Aia del 1954. (Fonte: U.S. Committee of the Blue Shild)
Per chiudere lo scenario – magari ci torniamo prossimamente – gli Stati Uniti sono usciti dall’UNESCO proprio un anno fa, alla fine del 2018, insieme ad Israele, per presunti pregiudizi anti-israeliani che l’UNESCO avrebbe adottato negli ultimi anni. Mai come in questi giorni ci rendiamo conto di quanto patrimonio culturale mondiale e politica internazionale siano legati a filo doppio, molto più di quanto non si pensi. Dove porti però questa matassa ancora non è dato sapere-.