Slowlooking. Guardare lentamente. Osservare lentamente un monumento, magari uno di quei monumenti – che a Roma sono tantissimi – sotto ai quali si passa ogni giorno, e che si guardano tanto distrattamente perché sono sempre lì.
L’Arco di Druso sulla via Appia

L’Arco di Druso sulla via Appia, appena all’interno di Porta San Sebastiano, è un monumento che certo non colpisce per la sua bellezza. E certo non colpisce per la sua importanza. Anzi, qualcuno potrebbe pure chiedersi che ci sta a fare lì nel mezzo un arco, quando pochi metri più avanti c’è la porta monumentale, quella sì, aperta nelle Mura Aureliane.
In realtà l’Arco di Druso è un bel rebus in 3D. Ma è anche un puzzle in 3D perché la sua costruzione è un insieme di elementi tolti, elementi aggiunti, elementi sostituiti, elementi tagliati ed elementi giustapposti. Un gran guazzabuglio che solo se lo si osserva con lentezza, con spirito di osservazione, ma soprattutto con anni di studio delle fonti, di osservazioni dal vero e di mente sgombra da preconcetti, lentamente riesce a dipanarsi.
Valeria Di Cola ha dedicato a questo monumento quasi 10 anni della sua vita di studiosa. Oggi ha pubblicato un volume (per i tipi di Edipuglia), ed ha ben vivo l’entusiasmo di chi riconosce ad occhi chiusi ogni singolo blocco di travertino, con i suoi segni per l’apposizione del rivestimento in marmo, ogni modanatura di cornice, ogni disegno che lo ritrae, da Giuliano da Sangallo ad oggi.
Slowlooking Arco di Druso

Domenica 16 giugno l’Associazione Appia Primo Miglio ha realizzato un evento proprio intorno all’Arco di Druso. Intorno, perché davvero si può girare intorno all’arco, e passare sotto (quando non passano le auto); l’evento, battezzato Slowlooking consisteva nell’osservare l’arco come se lo si vedesse per la prima volta (nel mio caso, in effetti, è stato così); guardarlo per bene, senza preconcetti, osservarne i dettagli architettonici e costruttivi, fare le proprie considerazioni. Il tutto con estrema calma, perché la fretta è cattiva consigliera, mentre solo in lentezza, prendendosi tutto il tempo utile possiamo dire di aver guardato per bene.
Alla fine della nostra lenta osservazione, giunge il momento di condividere le proprie impressioni, idee e suggestioni. Dopodiché è toccato a Valeria Di Cola dipanare la matassa delle ipotesi dei presenti, e finalmente svelarci la storia dell’Arco per come lei l’ha ricostruita.
Sì, perché per quanto questo sia un piccolo monumento, se rapportato ai grandi monumenti dell’Urbe, tuttavia ha una storia architettonica piuttosto articolata e per certi versi ancora avvolta nelle nebbie della storia e dell’archeologia.

Da Arco di Druso a semplice arcata di passaggio di acquedotto, da arco di età giulio-claudia (I secolo d.C.) ad arco innalzato in età severiana (III secolo d.C.), su questo monumento ne sono state dette di tutti i colori. Quello che abbiamo davanti agli occhi è il risultato di secoli di interventi, rimaneggiamenti, rifacimenti, abbellimenti, cambiamenti. L’unica cosa certa è che nei cataloghi regionarii medievali era un punto topografico di riferimento importante, per via della sua posizione sull’Appia, e la sua importanza topografica rimane anche dal Rinascimento in avanti, quando gli studi antiquari prima e più prettamente archeologici poi hanno cercato di venire a capo di questo manufatto antico. Quel che è certo è che l’Arco vide il passaggio di Carlo V e che in quell’occasione fu dotato delle due colonne su pilastro addossate alla faccia rivolta verso Porta San Sebastiano: siamo già nel XVI secolo e l’arco viene “abbellito” per rendere ancora più roboante l’ingresso in città dell’imperatore.
Non è stato facile per Valeria Di Cola districarsi tra le tantissime informazioni spesso discordanti con cui si è trovata a fare i conti: l’osservazione diretta, lo studio delle fonti grafiche, dei documenti d’archivio, delle fonti letterarie, delle indagini archeologiche pregresse; nessuna strada è stata lasciata intentata nel lavoro di ricostruire l’intera storia – e di conseguenza l’identità – dell’Arco di Druso.
Non è facile neanche per chi ascolta riuscire a trovare il bandolo della matassa. Tuttavia l’osservazione diretta del monumento, dei suoi dettagli di volta in volta richiamati all’attenzione, è un utile esercizio da applicare sempre a tutti i contesti nei quali ci troviamo.
L’Associazione Appia Primo Miglio
L’Associazione Culturale Primo Miglio nasce dall’idea di un gruppo di ricerca dell’Università di Roma Tre creatosi nell’ambito del seminario annuale – tenuto dalla cattedra di Metodologia della ricerca archeologica – attorno al tema del primo miglio della via Appia a Roma. Dopo un decennio di attività scientifica, tradottasi in ricerche, seminari, convegni e pubblicazioni scientifiche, l’Università Roma Tre è stata in grado di maturare un patrimonio di conoscenze vastissimo. Il raggiungimento di un simile livello di informazioni ha reso evidente la necessità di avviare una nuova fase dedicata alla condivisione e alla divulgazione di quanto appreso ai naturali destinatari della ricerca scientifica, i cittadini-visitatori.
Perché il primo miglio

L’area del Primo Miglio della via Appia – oggi da piazzale di Porta Capena a poco oltre Porta San Sebastiano – deve la sua particolarità al fatto di contenere un denso complesso di monumenti noti in superficie, cui fa riscontro una messe di memorie sepolte sotto metri di interri che nei secoli si sono accumulati nell’area. La via Appia, nel tratto iniziale, si trovava infatti a passare nella valle tra il Celio e l’Aventino e lungo il suo tracciato, nel corso di circa 25 secoli, si sono sovrapposti luoghi e storie di uomini che li hanno frequentati, lasciando tracce, materiali e immateriali, della loro presenza. La lunga continuità di vita che caratterizza la storia di Roma, e in particolare l’area in questione, pone in relazione diretta gli attuali cittadini con gli uomini del passato, con tutte le difficoltà che una zona trafficata come quella di viale delle Terme di Caracalla (corrispondente al primo tratto della via Appia) pone in termini di circolazione pedonale, di fruizione e, quindi, di percezione di un’antica unitarietà.
Per conoscere le attività dell’Associazione Appia Primo Miglio si rimanda alla pagina facebook: https://www.facebook.com/appiaprimomiglio/, al profilo instagram: https://www.instagram.com/appiaprimomiglio/?hl=it e al neonato canale youtube: https://www.youtube.com/channel/UCoZAsswYXVa-EZdJTJHSUrA
E proprio sul canale youtube si trova la presentazione del libro “L’Arco di Druso sulla via Appia” di Valeria Di Cola, tratta dalla diretta facebook condotta sulla pagina facebook di Edipuglia, casa editrice che ha pubblicato il volume. Qui io e Valeria parliamo di archi, di paesaggi storici, di ricerche d’archivio e di archeologia pubblica. E quindi di Appia Primo Miglio.
Un pensiero su “L’Arco di Druso si racconta. Lentamente. Lo Slowlooking dell’Associazione Appia Primo Miglio”