Il Louvre svuotato, la Seconda Guerra Mondiale e le ricerche d’archivio

Ho scovato una foto del Louvre come non l’avete mai visto. E come si spera che non dovrete mai più rivederlo (e con lui, tutti i musei del mondo, si intende).

La Grande Galerie del Louvre svuotata delle opere durante la Seconda Guerra Mondiale
La Grande Galerie del Louvre svuotata delle opere durante la Seconda Guerra Mondiale

Twitter è indubbiamente una fonte di stimoli continui: stimoli ad approfondire, a riflettere, a portare all’attenzione nuove cose, ad appassionarsi a determinati temi.

Così, quando ieri notte, durante una delle mie #certenottialmuseo mi sono imbattuta nel tweet qui sopra, ho deciso che era giunto il momento di scrivere un post che tenevo nel cassetto da un po’ di tempo. Un post che parla di musei e di Guerra. Il tema potrebbe sembrare attuale, e forse lo è, dato che il nostro Patrimonio Culturale Mondiale vive perennemente nel pericolo di essere distrutto, che si tratti di ISIS, di attentati nei musei, ma anche di furti che se non sono atti terroristici, non per questo non fanno meno danno.

La Guerra di cui vi parla questa foto, e di cui vi voglio parlare io, è però la Seconda Guerra Mondiale. Una guerra che per la prima volta ha visto schierata, accanto all’esercito, una vera organizzazione di uomini che va sotto il nome di “Monuments Men”. Costoro sono stati portati al giusto riconoscimento mondiale del loro valore solo ultimamente, con l’omonimo film di George Clooney, che ha due meriti, uno dei quali* è quello di avermi appassionato ad un capitolo di storia che ignoravo pressoché totalmente.

Ho visto il film, ho letto il libro da cui è tratto, e ho capito che il film è una storia quasi totalmente romanzata: persino i nomi dei protagonisti sono diversi, mentre la storia per grandissime linee, giunge al medesimo epilogo. Il libro, invece, è la ricostruzione storica il più possibile fedele, condotta da uno storico sulla base di documenti, di racconti diretti, che rende con drammaticità i fatti che avvennero intorno alla formazione dapprima, e all’operato poi, della MFAA. Il libro si occupa nello specifico proprio del settore Francia/Belgio/Germania. E in Francia la parte da protagonista la svolge Parigi.

Così vedere questa foto della Grande Galerie del Louvre svuotata, con le cornici abbandonate sul posto, mi ha fatto inevitabilmente tornare in mente quanto letto sulle fasi concitate del trasporto in ricoveri sicuri (tra cui il Jeu de Paume), ma soprattutto sui biechi tentativi, riusciti in molti casi, di razzia da parte dei gerarchi nazisti, e sul salvataggio rocambolesco di migliaia di tele e di opere d’arte non solo del Louvre, non solo di Parigi, ma anche del Belgio e dell’Italia, salvate sempre sul più bello, con colpi di scena da film, effettivamente, quando in un castello, quando in una miniera di sale.

Ma la foto del Louvre ha fatto di più: mi ha fatto pensare che non solo il Louvre, ma tutti i musei sia di Francia (per difendere il Patrimonio culturale dalle razzie tedesche) sia d’Italia (dapprima per difendere il Patrimonio culturale dalle distruzioni delle forze Alleate [v. Cassino], poi da quelle tedesche) si ritrovarono in condizioni analoghe: Pinacoteche svuotate, dipinti staccati dalle loro pareti, in molti casi dai loro supporti, caricati in casse spedite in qualche deposito scelto tra qualche bella e antica villa o castello, nella speranza di non essere né scovate né distrutte dal nemico, in alcuni casi imbracciando una vera e propria lotta contro il tempo, per evacuare ulteriormente le opere dai rifugi quando fossero state in pericolo.

I Monuments Men (quelli veri) restituiscono al Louvre alcune delle opere recuperate
I Monuments Men (quelli veri) restituiscono al Louvre alcune delle opere recuperate. Credits: LeFigaro.fr

Da buona abitante di Firenze, mi sono appassionata, per una serie di coincidenze, proprio a questo aspetto della II Guerra Mondiale: le operazioni di difesa del Patrimonio durante la Guerra. Come per il resto d’Italia, si inizia fin dal 1934 con le prime misure di difesa antiaerea, una serie di decreti che poi diventeranno necessariamente operativi a partire dal 1940. Tali decreti tra le varie cose prevedevano per quanto riguarda i beni mobili la redazione di una lista delle opere più importanti per rilevanza storica e culturale, specificando dove si sarebbe potuto ripararle in caso di guerra; per i beni immobili prevedevano di redigere una lista degli edifici e dei monumenti più importanti, di segnalarli con segni ben evidenti, di scrivere un piano di difesa antiaerea e di realizzare una documentazione fotografica, utile nel caso di una distruzione ad opera di un bombardamento. Il governo italiano, insomma, si era dato un gran daffare e in effetti durante la Guerra chiunque ricopra cariche di responsabilità, i direttori dei musei, i soprintendenti, i restauratori e quanti impiegati in prima linea nella difesa del Patrimonio Culturale, dimostrarono di essere più fedeli proprio al loro impegno nei confronti del Patrimonio che non allo Stato: una vera e propria vocazione alla difesa del Patrimonio, altro che stipendio.

Firenze, Gallerie dell'Accademia, il David viene imballato in ossequio alle misure di Protezione Antiaerea credits:
Firenze, Gallerie dell’Accademia, il David viene imballato in ossequio alle misure di Protezione Antiaerea credits: edapx

Per Firenze e la Toscana (non conosco la situazione delle altre città, Roma per esempio potrebbe rivelarmi delle importantissime testimonianze) la difesa del Patrimonio storico-artistico e architettonico è stata particolarmente studiata sin da subito quando, alla fine della Guerra, si dovettero fare i conti con le distruzioni dei Ponti sull’Arno e dei quartieri medievali intorno a Ponte Vecchio, e con i restauri delle opere danneggiate, sia in anni recenti. Per quanto riguarda il Patrimonio Archeologico, invece, la situazione è un pochino più complessa, perché nessuno (eccetto la sottoscritta nei ritagli di tempo) si è ancora preso la briga di andarsi a scartabellare nell’Archivio della Soprintendenza Archeologia della Toscana tutti i carteggi relativi agli anni della Guerra, ai criteri di selezione delle opere da riparare altrove o nei sotterranei del Regio Museo Archeologico (oggi il Museo Archeologico Nazionale), agli elenchi delle opere effettivamente rimosse dalla loro collocazione per essere trasferite altrove. So ad esempio, perché in un rapporto al Ministero il Soprintendente dell’epoca ne fa cenno, che i Grandi Bronzi, ovvero la Chimera di Arezzo, la Minerva di Arezzo e l’Arringatore, erano stati ricoverati nella Villa Medicea di Poggio a Caiano insieme ai Marmi Antichi della Galleria degli Uffizi; ma ancora non ho trovato il documento che sancisce davvero questo spostamento. E come questo tante altre cose mi sfuggono ancora. Quel poco che so, però, l’ho già in parte raccontato in 3 post che abbiamo pubblicato sul blog Archeotoscana e che vi elenco qui di seguito:

  1. Firenze e il Patrimonio Archeologico Toscano durante la Seconda Guerra Mondiale
  2. Il Museo Archeologico Nazionale di Firenze durante la Seconda Guerra Mondiale
  3. 2 aprile 1950: riapre il Museo Archeologico Nazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale

In particolare quello che racconta del Museo durante la Guerra e soprattutto durante la Battaglia di Firenze (il n.2) è quello che mi ha dato più soddisfazione scrivere: leggere quei documenti, il rapporto del Soprintendente Minto al Ministero, in particolare, trasporta proprio a quei drammatici giorni; sembra di vederli i Patrioti che fanno irruzione nel museo e controllano tutte le sale per scovare il presunto franco tiratore fascista. Tale è la potenza e l’immediatezza del documento d’archivio, che è proprio lo strumento attraverso il quale si può avviare la ricostruzione storica.

Chi è avvezzo alle ricerche d’archivio conosce bene quel sentimento di incredulità, poi di trionfo, quasi di onnipotenza che si prova man mano che i documenti da soli dipanano la matassa e scrivono la storia; e altrettanto bene conosce lo scoramento che deriva dal non trovare più nulla, ad un certo punto.

Ebbene, è da qualche mese che non porto più avanti questa ricerca, un po’ perché presa da altro, un po’ per pigrizia. Ma la foto di stasera, della Galleria del Louvre vuota, immancabilmente mi ha fatto pensare al MAF vuoto nello stesso identico periodo per la stessa analoga motivazione. E penso che mi toccherà rimettere mano ai documenti impolverati che aspettano soltanto che qualcuno dia loro di nuovo voce.

Ah, per la cronaca: ho cercato su Google Immagini “Louvre pendant la Deuxiéme guerre mondiale“. Et voila:

Crediti fotografici: LeFigaro.fr; Louvre.fr; next.Liberation.fr; archives.quercy.net; news.artnet.com;

_____________

*l’altro è quello di aver voluto nel cast Jean Dujardin. E so che le quote rosa in lettura saranno d’accordo con me

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