Negli ultimi anni la Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum ci ha abituato a confrontarci con i temi del digitale, della comunicazione social, della ricerca di nuovi modi per comunicare, anzi raccontare l’archeologia al pubblico globale, al pubblico sempre connesso, al pubblico che vuole e che chiede nuovi stimoli ad una disciplina che ha evidenze tanto affascinanti quanto, spesso e volentieri, mute. Gli incontri degli archeoblogger del 2013 e del 2014 sono ricordi ancora ben vividi nel mio cuore e nella mia mente. Ma c’è ancora tanto da fare. Ancora stamani ho mio malgrado assistito ad una conversazione da bar sport (con tutto il rispetto per i vari Bar Sport d’Italia) in cui si commentavano le distruzioni di Palmira dicendo “Sì che poi, se guardi bene, alla fine sono quattro pietre e poco più“. Il mio cuore ha sanguinato, perché è evidente che c’è tanto lavoro da fare, ma tanto, e non solo per trasmettere la bellezza e l’importanza del patrimonio archeologico che abbiamo sotto casa, ma anche di quello globale. Abbiamo ora più che mai bisogno di saper comunicare la nostra disciplina, il nostro lavoro, la nostra professione, certo, ma anche di saper raccontare i luoghi e gli oggetti, le storie che vi stanno dietro, che le hanno rese possibili. Per questo, se voglio raccontare le opere dei musei dei quali curo il blog, mi piace affrontare l’aspetto della “storia conservativa delle opere” (un progetto di Antonella Gioli di cui si parla qui), ovvero di come sono arrivate ad occupare quel posto in quella sala? Perché la descrizione nuda e cruda della Chimera “statua in bronzo di fattura etrusca, fusione a cera persa, fine V-inizi IV secolo a.C.” interessa il giusto, mentre molto più appassionante è raccontare le vicende della sua scoperta, del suo legarsi al destino di Firenze, del restauro che ha portato la sua coda ad assumere quella posa così strana, con la coda a testa di serpente che addenta il corno della testa di capra sul dorso dell’animale ormai morente. Solo così, forse, un abitante di Arezzo capirà perché non è vero che il museo archeologico nazionale di Firenze l’ha rubata alla sua città, come in molti credono.

Mi rendo conto che ci vuole ben altro per comunicare adeguatamente il nostro patrimonio. Bisogna sviluppare una sensibilità ed una capacità più diffusa a raccontare storie di archeologia. Se non è l’Università a farlo, perché nessuno nasce imparato, allora è bene che qualcuno si prenda la briga di insegnarlo. E Paestum è il terreno giusto per cominciare.

Nasce quest’anno la Paestum Digital Storytelling School, nome internazionale e altisonante per un corso che è stato ideato dalla giornalista nonché archeoblogger Cinzia Dal Maso e dall’archeologo (anch’egli archeoblogger) Giuliano De Felice per stimolare gli archeologi – ma anche operatori culturali, insegnanti, ricercatori, artisti, curiosi – ad osservare con occhi nuovi, a porsi domande e a pensare “out of the box”, e produrre un “racconto storico digitale”. Paestum offrirà l’ispirazione, le lezioni frontali indagheranno le tecniche di narrazione del passato attraverso l’uso combinato di testi e immagini, e poi tutti i partecipanti saranno messi alla prova con penne, matite, pennelli (virtuali), e computer, foto e videocamera. I risultati del loro lavoro, che li vedrà impegnati tra i templi di Paestum, le mura di Velia e il santuario di Hera Argiva, saranno presentati ufficialmente alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico durante l’incontro Rocking the way for revolution: Archeostorie e l’archeologia pubblica italiana (Museo archeologico di Paestum, sabato 31 ottobre alle ore 17). Il corso è promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico in collaborazione con Associazione M(u)ovimenti. Proprio a questo link sul sito di M(u)ovimenti trovate la scheda di iscrizione. Potete iscrivervi fino al 15 ottobre. Ragazzi, studenti che state ultimando o frequentando l’università, professionisti, non perdete quest’occasione. Perché se da grandi vorrete lavorare per l’archeologia, raccontare il vostro lavoro e trasmetterne il senso attraverso le evidenze archeologiche e/o i materiali esposti in un museo sarà il fattore fondamentale del vostro successo e della vostra soddisfazione personale (che non è da sottovalutare): non basta sapere le cose, bisogna saperle spiegare, usando gli strumenti giusti nel modo corretto.