Il 23 maggio a Pisa si svolgerà Opening The Past 2014, il cui tema è ben espresso nelle prime due righe di presentazione :“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.
Tema che mi interessa da sempre, quello della comunicazione dell’archeologia. Mi ha fatto quindi molto piacere ricevere da Gabriele Gattiglia di Mappa Project l’invito a partecipare: il mio intervento, come recita il programma, sarà un autobiografico racconto di come da blogger ho cominciato a scrivere di archeologia e di come da archeoblogger sono diventata museumblogger. Si tratta di 3 anime che convivono in me, ognuna necessaria, perché ognuna scaturisce dall’esperienza di quella precedente e non avrebbe forza né efficacia senza quella precedente.
In questi giorni concitati in cui, tra l’altro, sto chiudendo la tesi di dottorato, devo dunque riordinare le idee per preparare un intervento che sia sensato e possibilmente non autocelebrativo (a tal proposito, portatevi i pomodori da tirarmi se comincio a dire troppe volte “io io io”); mi metto al lavoro ahimè nei ritagli di tempo (ma anche, perché no, in sala in museo…). E capita, giusto giusto, a rintuzzare il fuoco un intervento radiofonico di Alessandro-Alex O’love che parla di archeoblogger come figura professionale cui però manca un mercato del lavoro, cui fa seguito un’animata discussione su facebook, lanciata da Cinzia Dal Maso, che si conclude con un post di Alex O’love che vuole chiarire la sua posizione sulle definizioni, ammesso che ce ne sia bisogno, di archeoblogger e museumblogger (cui segue un bello scambio di commenti con Cinzia, cui vi rimando).
La discussione capita proprio a fagiolo, perché siccome Alessandro cita proprio la mia esperienza (a proposito, grazie Ale, ne sono onorata!), questo mi permette di riflettere meglio su chi sono io: blogger, archeoblogger o museumblogger? Una, nessuna, centomila? Tutte e tre le cose o nessuna delle tre? E’ necessario distinguere? O le distinzioni sono pura semantica, come dice Alessandro? Per quanto riguarda la mia esperienza, infatti, non potrei scrivere per blog di musei se non fossi prima di tutto archeoblogger. Ma non potrei essere la blogger di archeologia che sono se non fossi nata come blogger di tutt’altro genere. Ho studiato e monitorato blog di archeologia per un sacco di tempo, proprio perché mi interessava il mondo nel quale ero e sono immersa, e ho tratto le mie conclusioni.
Il mondo dei blog è talmente fluido che è impossibile fare delle classificazioni: non siamo frammenti ceramici da ricondurre ad una forma, siamo esseri umani pensanti e dotati di ingegno, creatività, voglia di comunicare. Ognuno è blogger, e archeoblogger, a modo suo, chi fa pura opinione, chi fa divulgazione, chi informazione, chi fa tutte e tre le cose. Lo fa con i propri contenuti, le proprie idee, si assume la responsabilità di ciò che scrive, sceglie i temi da affrontare e lo stile con cui affrontarli.
E chi gestisce un blog museale? Non fa forse la stessa cosa? Certo, ha dei limiti, dettati dall’istituzione stessa per cui scrive, sia a livello di scelta dei temi: non posso parlare dei crolli a Pompei dal blog del Museo Archeologico di Venezia, mentre dovrò scrivere a proposito della tale mostra o della tale iniziativa che il museo propone. Devo scrivere del museo e di ciò che gli ruota intorno. Il blog museale, poi, ovviamente, non è un blog in cui si fa opinione, ma è un luogo di comunicazione, di informazione, di incontro con i lettori/visitatori. Ma per il resto, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, la scelta dei contenuti, o meglio di come trattare i contenuti, è mia, così come mio è lo stile e il taglio che dò ad ogni singolo post. Perché anche se sul blog di museo pubblico un comunicato stampa, faccio in modo che quel comunicato venga ampliato, spiegato, contestualizzato e arricchito. Non solo, ma il mio essere archeoblogger esce fuori nel momento in cui scelgo le parole chiave con cui far rintracciare su Google il post, nel momento in cui dò visibilità attraverso i canali social del museo, nel momento in cui stabilisco online e offline una serie di contatti con altri blogger, creando una rete che mi porta visibilità, nel momento in cui, e questa è la parte più difficile, organizzo eventi o iniziative che uniscono insieme il museo reale e il museo virtuale. In questo senso allora l’archeoblogger sviluppa una professionalità, che non è solo quella di comunicare contenuti culturali attraverso una pagina web, ma è ben più ampia.
La figura del blogger che scrive nel suo spazio personale sperando che qualcuno lo legga è superata. In molti nascono ancora così, aprono un blog per il puro desiderio di scrivere, ma poi la voglia di farsi leggere, di scambiare opinioni aumenta, e il blogger sviluppa alcune capacità, uno stile, riconosce il suo pubblico. E il pubblico è proprio la chiave per capire la differenza nella mia attività di archeoblogger e di museumblogger. Perché il pubblico che legge questa pagina confusa di appunti e di idee che non ha né un capo né una coda non è lo stesso che legge i blog dei musei per i quali scrivo. Questo è il luogo della riflessione, dello studio, della formazione anche, sui temi della comunicazione in archeologia, mentre i blog museali sono i luoghi in cui le idee che mi sono fatta in merito trovano il loro compimento.
Ok, ho buttato giù queste righe sconclusionate perché spero che mi aiutino a presentare qualcosa di più coerentemente organizzato ad Openingh The Past 2014. Vi chiedo però, se siete riusciti ad arrivare fino in fondo con la lettura, di dirmi la vostra su questo tema. Sarà importante leggervi, e sarà bello rispondervi il 23 maggio.
3 pensieri su “Blogger, Archeoblogger, Museumblogger”