Se 21 anni vi sembran pochi…

Il 16 gennaio 1992 veniva firmata a La Valletta la Convenzione Europea per la protezione del Patrimonio Archeologico. Tra tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa, chi prima chi dopo, l’hanno ratificata in 41. Due stati mancano all’appello: San Marino e… indovinate? L’Italia. Già, l’Italia, quel Paese in cui ogni tanto qualcuno si sciacqua la bocca con la demagogica storia del patrimonio culturale più ingente del mondo, che si indigna per un muro crollato a Pompei, quel Paese in cui tutti avrebbero voluto fare l’archeologo da grande, ma dove la professione di archeologo non è ancora riconosciuta legalmente.

Malta, La Valletta

La Valletta, dove 21 anni fa fu firmata la Convenzione per la Protezione del Patrimonio Archeologico

21 anni fa il Consiglio d’Europa approvò un testo davvero innovativo, se letto con gli occhi dell’epoca, in cui si parla di “proteggere il patrimonio archeologico in quanto fonte della memoria collettiva europea” (Art. 1), di non lasciare esposti i materiali archeologici “durante o dopo gli scavi senza che siano state adottate disposizioni per la loro preservazione, gestione, conservazione” (Art. 3), di far sì che gli archeologi partecipino alle politiche di pianificazione territoriale, “allo svolgimento delle diverse fasi dei programmi di pianificazione” e di garantire “una consultazione sistematica tra archeologi, urbanisti e pianificatori del territorio, al fine di permettere la modifica dei progetti di pianificazione che rischiano di alterare il patrimonio archeologico” (Art. 5), di aumentare i mezzi dell’archeologia preventiva “facendo figurare nel bilancio preventivo gli studi e le ricerche archeologiche preliminari, i documenti scientifici di sintesi, nonché le comunicazioni e le pubblicazioni integrali delle scoperte” (Art. 6), di intraprendere un’azione educativa volta a “sviluppare presso l’opinione pubblica la coscienza del valore del patrimonio archeologico per la conoscenza del passato” e a promuovere “l’accesso del pubblico agli elementi importanti del suo patrimonio archeologico” (Art. 9). Per il testo completo guardate qui.

archeologia preventiva, archeologia urbana, mestiere dell'archeologo

Ciò che 21 anni fa probabilmente (dico probabilmente, perché ero decisamente troppo giovane per averne cognizione – ma su questo tornerò) era innovativo, oggi è quantomeno ovvio e scontato. O almeno dovrebbe essere così. Oggi siamo tutti d’accordo nel sostenere che dev’essere favorito l’accesso del pubblico e che la comunicazione archeologica è fondamentale, da sempre più parti si invoca la presenza della figura di un archeologo ai tavoli di pianificazione territoriale, gli addetti ai lavori lamentano il fatto che nei finanziamenti degli scavi (di archeologia urbana, per esempio) non viene compresa la fondamentale voce dello studio e della pubblicazione. Dunque le istanze di oggi in Italia non sono poi diverse da quelle di 21 anni fa. E se si legge la lunga lista di “Visto (…)” che precede gli articoli della Convenzione, sembra di vedere l’Italia di oggi: “Riconoscendo che il patrimonio archeologico europeo, (…) è gravemente minacciato dal moltiplicarsi dei grandi lavori di pianificazione del territorio e dai rischi naturali, dagli scavi clandestini (…) dall’insufficiente informazione del pubblico; Affermando l’importanza di istituire (…) procedure di controllo amministrativo e scientifico e la necessità di integrare la protezione dell’archeologia nelle politiche di pianificazione urbana  e rurale, e di sviluppo culturale (…)”…

Leggendo qui, dunque, la Convenzione de La Valletta sembra decisamente attuale in Italia. E la riflessione amara che sorge è che se si fosse ratificata all’epoca forse ora saremmo più avanti e potremmo vedere un Paese in cui la pianificazione urbana e territoriale va d’accordo con l’archeologia preventiva e non la vive come un incubo; in cui, quindi, l’archeologo è una figura professionale riconosciuta di cui è richiesta la presenza nelle amministrazioni degli enti locali, in cui la comunicazione al pubblico della scoperta è il fine e non un dente dolente da cavarsi al quale dedicare gli scarti (di fondi, di tempo, di energie, di idee). Insomma, leggendo il testo della Convenzione, e buttando un occhio in giro, l’Italia è ferma a 21 anni fa.

E la domanda è: che facevamo 21 anni fa, nel 1992?

Io per esempio dovevo ancora compiere 11 anni, di sicuro non avevo idea di cosa avrei fatto da grande (anche se ammetto che l’idea dell’archeologia mi venne piuttosto precocemente): all’epoca giocavo e andavo a scuola come tutti i bambini, correvo, cascavo e mi sbucciavo i ginocchi (oddìo, quello lo faccio ancora oggi…); nel 1992 per l’appunto avrei sostenuto l’esame di V elementare, il primo esame importante della mia vita; avevo qualche problema con le divisioni, ma del resto la matematica non sarebbe mai stata il mio forte, nemmeno negli anni a venire; mia sorella, che quest’anno si sposa, era soltanto in I elementare! Lei di sicuro non lo sapeva cos’avrebbe fatto da grande; però in II elementare avrebbe fatto attività didattica di archeologia, perché la nostra scuola elementare è stata costruita sui resti di una mansio romana (Lucus Bormani: cercatevelo sulla Tabula Peutingeriana): perché lì, in un paesino ligure, qualche maestra illuminata c’era e qualche giovane archeologa che lavorava anche. Fin qui il mio 1992. Ma il 1992 è l’anno di Tangentopoli, l’anno di Falcone e Borsellino, un anno cruciale per la storia italiana. E l’Italia quell’anno probabilmente aveva emergenze più serie e urgenti cui pensare. Ma gli anni dopo? I 20 anni dopo? Silenzio. Qualcuno l’ha nominata, la Convenzione, nel corso delle varie legislature che in questi 20 anni si sono susseguite. Ma nulla.

E dire che basta poco: una proposta di legge che consta di 2 articoli: Art 1 (Autorizzazione alla ratifica) e Art. 2 (Ordine di esecuzione). Ci voleva tanto? Evidentemente sì, se solo ora i deputati Celeste Costantino, Nicola Frantoianni e Giancarlo Giordano hanno preso in mano la situazione, anzi la Convenzione, e hanno deciso che 21 anni sono troppi e che l’Italia sulla protezione del Patrimonio Archelogico ha dormito abbastanza.

Lo chiedo anche a loro, allora, in particolare a Celeste Costantino, dalla quale ho appreso della proposta di legge: cosa facevi 21 anni fa? Celeste Costantino non era molto più grande di me, e forse ancora non immaginava che un giorno sarebbe stata eletta alla Camera dei Deputati e avrebbe dovuto risistemare, tra le altre, una cosa che risale a quand’era poco più che bambina. Perché noi tutti siamo cresciuti, diventati adulti, mentre l’Italia resta sempre ferma lì. E, per dirla tutta, sicuramente molti che 21 anni fa facevano o volevano fare gli archeologi, nel tempo hanno dovuto rinunciare perché di lavoro e di garanzie, per questa che non è una professione riconosciuta, non ce ne sono mai state e ancora non ce ne sono.

E voi? Cosa facevate 21 anni fa?

Un pensiero su “Se 21 anni vi sembran pochi…

  1. 21 anni fa avevo 2 anni e forse scavavo, paletta e secchiello, nella sabbia e chissà cosa speravo di trovare….ora scavo ancora, in maniera diversa, e cosa spero lo so benissimo.

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