Un archeologo subacqueo che ho avuto la fortuna di conoscere a giugno proprio in occasione di un corso di Archeologia Subacquea, Salvatore Agizza, mi ha segnalato la notizia di archeologia che vi fornisco qui di seguito. Sono entusiasta di poterla pubblicare, perché si tratta nientemeno che di una missione archeologica tutta italiana in Giappone, alla quale proprio Salvatore Agizza ha avuto l’opportunità di partecipare. Mi fa quindi estremo piacere poterla diffondere (nonché poter affermare, con un certo orgoglio “io lo conosco”…).
Ecco la notizia, così come è stata pubblicata sul sito web di archeologia subacquea:
Progetto Ojika – Missione archeologica della Soprintendenza del Mare in Giappone in collaborazione con l’Università di Bologna
Il progetto di collaborazione tra Italia e Giappone (20 agosto 2009, per una durata di circa 15 giorni) nell’isola di Ojika (prefettura di Nagasaki – Kita Kyushu), vede la realizzazione di ricognizioni del fondale in previsione di effettivi scavi subacquei.
Quanto ritrovato finora (ceramica, ceppi d’ancora ecc), è stato datato al XIII – XIV secolo ed è di provenienza cinese. Ciò legherebbe le suddette evidenze a quelle rinvenute nei fondali dell’isola di Taka-shima e quindi molto probabilmente relative alla flotta di Kubilai Khan distrutta nel 1281 da un tifone durante il tentativo di invasione dell’arcipelago. Tale accostamento supporta la teoria che la flotta sia affondata in vari punti lungo la rotta del tifone e l’isola di Ojika (come tutto l’arcipelago di Goshima, di cui fa parte) si trova proprio sulla suddetta traiettoria.
L’utilizzo di attrezzature ad alta tecnologia, permetterebbe un più approfondito, nonché rapido, risultato rendendo quindi la presenza di adeguate strumentazioni fortemente auspicabile. Si tratta di indagini da effettuare ad una profondità di circa 24 metri. Lo scopo del progetto è quello di creare un Museo Archeologico Sommerso ed un itinerario turistico, con tutti i possibili sistemi di gestione predisposti a tal fine.
I Giapponesi, nella persona di Hayashida Kenzo, Presidente dello A.R.I.U.A. (Asian Research Institute for Underwater Archaeology), nella consapevolezza dell’esperienza maturata dagli italiani nella realizzazione di parchi sommersi, hanno richiesto ferventemente la collaborazione tra i due paesi ed in particolare della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana.
Il museo sommerso di Ojika risulterebbe essere il primo e, finora, l’unico in tutto il Giappone ed in Asia orientale. Inoltre, l’evento storico a cui le evidenze fanno riferimento, risulta essere estremamente importante, in quanto ha condizionato tutta la storia di un Impero, quello mongolo, che ha inciso profondamente nella storia del mondo euro-asiatico. Ancora, ha permesso la rilettura di un importante evento finora conosciuto unicamente attraverso fonti scritte.
I Giapponesi provvedono al vitto e all’alloggio di tutti i componenti del gruppo di ricerca siculo – bolognese che rappresenta la prima missione archeologica italiana che abbia mai fatto ricerche in Giappone.
I componenti della missione:
S. Tusa (Sopmare) – archeologo subacqueo direttore
D. Petrella (Unisob Napoli) – archeologo subacqueo direttore
V. Li Vigni (Museo d’Aumale) – antropologo subacqueo
P. Selvaggio (Sopmare – Unibo) – archeologo subacqueo
S. Agizza (Unisob Napoli) (Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica di Lecce) – archeologo subacqueo
G. Lino (Sopmare) – ingegnere subacqueo
F. Agneto (Sopmare) – tecnico subacqueo
G. Trojsi (Unisob Napoli) – archeometra
La missione italiana si è conclusa ieri col rientro a casa, in Italia, dei protagonisti di quest’avventura archeologica nella terra del Sol Levante.
Ecco le prime impressioni di Salvatore Agizza:
“é stata un’esperienza sicuramente professionalmente notevole che ha visto il lavoro di equipe di professionisti/ amici. La mia partecipazione alla missione è stata possibile grazie alla fiducia che il direttore Daniele Petrella ha riposto nella mia professionalità e nella mia persona. Si è lavorato bene con confronto e senza scontro tra le professionalità italiane e nipponiche che anzi ci hanno dato fiducia sebbene fosse la prima collaborazione italiana in giappone. Sebastiano Tusa e il suo team della Soprintendenza del Mare hanno già esperienza di parchi sommersi, conoscono bene tale realtà e la attuano costantemente in sicilia anche attraverso la videosorveglianza tramite webcam.
Alla base c’è stato un grosso lavoro di documentazione circa l’argomento. Il problema di fondo come al solito sono i fondi ma bisogna lavorarci. La missione era finanziata dall’Italia attraverso il ministero degli Affari esteri e dal Giappone attraverso un’organizzazione loro in collaborazione con l’Asian Research.
Negli anni scorsi erano state fatte solo fatto prospezioni che avevano rintracciato dei ceppi d’ancora. Quest’anno invece sono stati effettuati i primi saggi, nei quali è uscita ceramica di quel periodo (XII-XIV secolo) riferibile molto probabilmente alla flotta ma sicuramente ad un relitto vista la presenza delle ancore.
I giapponesi avevano fotografi subacquei che hanno documentato le fasi di scavo e i reperti in situ. In serata si facevano riunioni per fare il punto e decidere le mosse successive. Sia l’équipe italiana che quella giapponese si è cimentata, insieme, sia nelle operazioni di scavo che nelle prospezioni, tanto che i turni di immersione erano “misti”, italiani e giapponesi. Chiaramente nulla da dire sulla precisione del team giapponese sugli orari e i turni d’immersione, oltre che il trasporto e la logistica varia.
E’ stato bello, poi, entrare in contatto con la cultura giapponese: hanno un ordine mentale diverso dal nostro modo di vedere le cose. E abbiamo sicuramente da imparare da loro dal punto di vista umano, relazionale.“