La Sirena di Strongoli e il documentario che non mi convince

Ormai da diversi anni faccio parte della giuria che assegna la “Menzione Speciale Archeoblogger” al RAM Festival di Rovereto. Ogni anno, dunque, ho la straordinaria possibilità di aggiornarmi sulla produzione documentaristica e cinematografica italiana e internazionale in materia di archeologia.

Tra i film che ho potuto visionare quest’anno c’è Askos. Il canto della Sirena“, di Antonio Martino, del 2023. La sinossi, tratta dal sito https://askosbackhome.it/ è la seguente:

Nel 1988 in un bosco fuori la città di Crotone, un contadino, trova per caso una tomba antica e tra i tanti reperti rinvenuti trova anche un oggetto a forma di uccello, poi volgarmente definito dal contadino la “Papera”. Molto presto scopre che l’oggetto potrebbe avere un valore economico, cosi lo rivende ad un ricettatore di Bari per 10 milioni di lire e una mucca.

Subito dopo viene portato in Svizzera e acquistato da un gruppo di multinazionali del farmaco per 400 milioni di lire. Successivamente, attraverso altri passaggi, l’oggetto viene acquistato dal Getty Museum di Malibù per 2 miliardi di lire.

La “Papera” in realtà è un Askòs, un reperto funerario magno-greco risalente al IV-V secolo A.C. Rappresenta una sirena (arpia) e costituisce uno dei rari oggetti che possono essere legati direttamente alla dottrina di Pitagora, che fondò la scuola di sapere proprio a Crotone. I segreti della civiltà magno greca, relativi alla storia di Crotone, restano ancora un mistero. Nonostante sia un’area di altissimo interesse archeologico i siti di interesse vengono abbandonati a sé stessi.

Gli anni ottanta, periodo in cui la sirena fu rinvenuta clandestinamente, erano gli anni della piena industrializzazione del territorio crotonese. La cultura del denaro, del progresso e del materialismo sfrenato, che stava cambiando radicalmente il territorio crotonese negli ultimi 70 anni, non considerò l’archeologia una cosa importante, la quale venne ignorata oppure distrutta per favorire la costruzione di strade e di infrastrutture. Questo favorì la nascita di bande di tombaroli, che in contatto con ricettatori internazionali, iniziarono il traffico di reperti archeologici”.

Ero curiosa di vedere questo film per più di un motivo: innanzitutto si svolge a Strongoli, borgo calabrese sulla costa ionica molto vicino a luoghi che ho frequentato per qualche anno; poi c’è il tema del traffico illecito di beni archeologici, sempre caldo e sempre attuale.

La Sirena di Strongoli: il docufilm “Askòs – il canto della sirena”

Ebbene, lo dico fin da subito: questo film non mi ha convinto. O meglio, l’ho trovato ambiguo. Ambiguo nel messaggio che lancia, ammesso che ne lanci uno. Da un film che ha per oggetto la vicenda di un reperto archeologico che da uno scavo clandestino in Calabria finisce al Getty Museum (e ritorno) mi aspetto una condanna della vicenda e soprattutto del sistema del traffico illecito dei reperti archeologici. Invece ciò non accade e il film sospende il giudizio, in qualche modo giustificando o perdonando i (presunti) colpevoli dell’atto illecito. Anzi, no, mi correggo. Non ci sono colpevoli, anche perché non c’è mai stata una sentenza essendo morto uno degli indagati durante il processo. Ma ci sono persone informate sui fatti, più o meno collusi, la cui personalità, devo ammettere, è decisamente da film.

In questa vicenda ci sono due personaggi ambigui e due personaggi che incarnano uno la ricerca scientifica lecita, l’altro la giustizia, cioè il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri. Abbiamo infatti Luigi “Gigino” Mazza, la memoria storica di questo racconto che fin da piccolo era appassionato di cose antiche e che si fregia di essere grandissimo esperto del territorio dal punto di vista archeologico: e così infatti viene definito nel sottopancia: esperto autodidatta di archeologia locale; abbiamo poi Raffaele Malena, artista, restauratore “esperto di archeologia”, come viene definito nel sottopancia: questi due personaggi non appaiono proprio limpidi nei modi e nei ragionamenti: l’autodidatta, per esempio, nel raccontare come da piccolo lui e i suoi amichetti trovassero monetine che poi venivano acquistate per pochi spicci da persone interessate dice “ho capito che queste cose erano importanti, che si poteva lavorare su questo mestiere“; il restauratore invece si scopre essere alla fine implicato in indagini contro scavi clandestini… hmmm.

Abbiamo poi il professore universitario Armando Taliano Grasso, docente di Topografia all’Università della Calabria, che dopo decenni ha ripreso gli scavi nell’area del foro romano di Petelìa, l’antica Strongoli, dopo che decenni di abusivismo edilizio legalizzato ne ha fatto scempio e abbiamo infine Raffaele Giovinazzo, il carabiniere che condusse le indagini che hanno portato all’individuazione dell’askòs nelle collezioni del Getty Museum e alla sua restituzione all’Italia (oggi è esposto al Museo archeologico nazionale di Crotone).

Uno dei protagonisti del racconto: la memoria storica Luigi Mazza

La vicenda dell’askòs – e in questo sta il merito di questo film – è la scusa per raccontare uno spaccato della storia del secondo Novecento nel territorio di Crotone: un territorio che, rimasto depresso come il resto della Calabria dopo la II Guerra Mondiale, negli anni ’60 pare essere miracolato da investimenti che portano a farne un polo industriale all’avanguardia, dando lavoro a una fetta importante della comunità e quindi facendo intravvedere una possibilità di riscatto e di crescita economica e sociale. Ma il miraggio dura poco e oggi di quell’epoca rimangono solo gli scheletri minacciosi di quelle fabbriche alle porte della città. Già alla fine degli anni ’80 la bolla di questo boom industriale era esplosa e la gente si era ritrovata più povera e disoccupata di prima.

In questo clima ha luogo, negli anni ’80, lo scavo clandestino a Strongoli, che porta al rinvenimento dell’askòs a forma di sirena. In un momento in cui l’industrializzazione aveva tutte le attenzioni della politica locale, la tutela archeologica era messa in secondo piano. E così la “papera”, come viene chiamata dal contadino che la trova e che la vende, innescando il meccanismo del mercato clandestino, per 10 milioni di lire e una mucca, si inserisce in un contesto di scarso, per non dire nullo, controllo del territorio.

Il film racconta tutta la vicenda, ripercorre le indagini, intervista, come dicevo prima, le persone informate sui fatti. E tuttavia non prende una posizione netta sulla questione. Nelle interviste ai protagonisti, vuoi forse per le capacità di affabulazione (il restauratore) o al contrario per la spontaneità (l’autodidatta), messe in confronto con la formale impostazione del Capitano dei Carabinieri Raffaele Giovinazzo, fanno più presa proprio i primi rispetto al secondo, che non riesce ad essere così avvincente. E invece la vicenda avvincente lo è eccome. Inoltre, viene dato più spazio ai due personaggi del luogo rispetto al Capitano dei Carabinieri e quasi nullo al professore universitario. Anzi, lascia un po’ perplessi la scena in cui i Carabinieri vanno sullo scavo in concessione a controllare che sia tutto in ordine…

Uno dei protagonisti del racconto: Raffaele Malena

Ma abbandoniamo il documentario che – come ripeto – non prende una posizione netta che secondo me era doverosa, e ripercorriamo la vicenda del recupero della Sirena di Strongoli.

Scoperta e recupero della Sirena di Strongoli

L’askòs protagonista del film e di questo post fu rinvenuto nel corso di scavi clandestini nel territorio di Strongoli,in località Murge, dove è stato identificato l’antico insediamento fortificato di Makalla, nel 1988. Venduto, come dicevamo, per 10 milioni di lire e una mucca, il reperto passò attraverso le mani di intermediari prima di arrivare, nel 1992, nelle collezioni del Getty Museum di Malibu. Ed è il Getty stesso a informare il Ministero dei Beni Culturali italiano dell’acquisto di reperti provenienti dall’Italia, tra cui l’askòs. Scattano le indagini, condotte dalla Procura di Crotone che più volte chiede al Getty di visionare la documentazione relativa all’acquisto, richiesta che rimane sempre inevasa. Sul più bello, però, ecco che un tombarolo pentito tira fuori delle foto scattate all’epoca del rinvenimento. Ed ecco che si ricostruisce tutta la filiera del mercato clandestino: da Strongoli la sirena passa prima a un collezionista del centro Italia che lo rivende a una gallerista svizzera (ma che strano!) la quale alla modica cifra di 600.000 dollari lo vende al Getty Museum. Dopo ulteriori passaggi anche istituzionali e diplomatici, che vedono il Ministero e il governo italiano impegnati in prima linea, il museo di Malibu non può far altro che restituire la Sirena e altri reperti provenienti dal mercato clandestino internazionale dei reperti archeologici.

La sirena di Strongoli

La sirena di bronzo rientra quindi in Italia, dapprima è esposta al Quirinale, dopodiché trova la sua sede definitiva al Museo archeologico di Crotone, dove tuttora è esposta.

La Sirena di Strongoli: identikit di un askòs

Innanzitutto, dal territorio di Crotone proviene anche un altro askòs (vaso per unguenti) a forma di sirena in bronzo: rinvenuto negli anni Trenta del Novecento, si data al 540-530 a.C. e proviene dal territorio di Cutro, anticamente chora meridionale di Kroton. Questa sirena ha le ali chiuse, collo e busto femminili, priva di braccia; il manico obliquo consiste in una figurina femminile (kore).

La Sirena di Strongoli, loc. Murge, si data invece alla prima metà del V secolo a.C. (480-470 a.C.); a differenza della Sirena di Cutro ha le braccia aperte portate in avanti e stringe nella mano destra una syrinx (flauto di Pan) e nel palmo sinistro una melagrana; il manico obliquo consiste in una figurina maschile giovane (kouros). La Sirena di Strongoli proviene da contesto funerario. E’ di officina locale, crotoniate, alta 15 cm e lunga 18,7 cm. Rimando alla descrizione che dell’oggetto fa Margherita Corrado nel catalogo della mostraLe sirene di Kroton” a cura di Domenico Marino e disponibile su Academia.edu. Qui mi interessa sottolineare l’attributo del flauto di Pan, che rimanda al mondo infero e ai canti che accompagnavano le cerimonie funebri. Le Sirene dimoravano alle soglie dell’Oltretomba perché alleviassero il dolore dei vivi per la morte dei loro cari. Allo stesso mondo infero rimanda la melagrana, attributo anche di Persefone. Inoltre, la sirena si lega alla dottrina pitagorica: Pitagora considerava le sirene garanti dell’armonia cosmica, come spiega nuovamente Margherita Corrado in un articolo per Fame di Sud.

Concludendo: avete visto il film? Vi chiedo un parere

Una storia senza dubbio importante e interessante, che secondo me – alla luce delle indagini e delle responsabilità riconosciute delle persone implicate nella vicenda – poteva essere trattata nel documentario “Askòs – il canto della sirena” con un intento più di sensibilizzazione nei confronti del contrasto al traffico illecito di reperti archeologici e agli scavi clandestini. Questo a maggior ragione visto che il film viene presentato a rassegne e festival di cinema archeologico (talvolta vincendo premi, tra l’altro). Proprio questo mi dà da pensare: possibile che solo a me sia sembrato ambiguo nei messaggi che trasmette? Per questo vi chiedo, se l’avete visto, un parere: mi piacerebbe che i docufilm a tema archeologico non rimanessero confinati nei festival dedicati, ma che diventassero oggetto di dibattito. Vi invito a commentare qui sotto, o a scrivermi via e-mail (trovate i miei contatti qui).

Una replica a “La Sirena di Strongoli e il documentario che non mi convince”

  1. A me il disagio è salito già nel leggere la sinossi nella quale viene scritto: “Rappresenta una sirena (arpia)…” Ma se qui si disconosce perfino la differenza tra sirene e arpie ci meravigliamo che nel documentario non vi sia un giudizio limpido? Il tutto è costruito alla crotonese maniera cioè nell’incapacità di sapere, distinguere e discernere cos’è un reato. Il tutto rappresenta il frutto di una mentalità che strizza l’occhio alla criminalità organizzata ed è lo specchio di Istituzioni che si ammantano di una pseudo-legalità quando, in realtà, sguazzano nell’illegalità, persino nel settore archeologico. Quando un documentario di archeologia offre spazio a questi cialtroni autodidatti e appassionati della materia si tocca davvero il fondo ed è normale che adombrino il lavoto dei Carabinieri laddove la compostezza mostrata dalla Benemerita cozza, indubbiamente, con il pressapochismo di questi esperti della disciplina. In sintesi, ignoranti e collusi.

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Search

canale-telegram-generazione-di-archeologi-logo