RINGRAZIAMO ATLANTIDE…

Ringraziamo Atlantide, il programma televisivo de La7 di stampo documentaristico/culturale che ogni tanto casca nella trappola dell’effetto Voyager con effetti devastanti (si cita a titolo d’esempio quella volta che hanno fatto datare una roccia col C14…)…Ringraziamo Atlantide, noi tutti che facciamo per mestiere, o per diletto, o quanto meno ci proviamo, gli archeologi.

La puntata di ieri 12 novembre 2009 aveva per oggetto l’avventurosa vita e il pericoloso lavoro degli archeologi. Roba che potrebbe convincere qualche romantico giovanotto fresco di liceo ad iscriversi ad archeologia all’università, convincendosi che anche lui da grande potrà vivere grandi avventure (ne ho incontrato, nel mio cammino…qualcuno invero ci spera ancora!): d’altronde l’icona di questi inguaribili romantici, Indiana Jones, consiglia a gran voce “Se vuoi diventare un bravo archeologo esci dalla biblioteca!”.

E fuori dalla biblioteca cosa trovi?

Nella puntata di ieri ospite d’onore, nonché personaggio di forte impatto mediatico, l’inossidabile Zahi Hawass (quello che, ricordiamolo, al VI Incontro Nazionale di Archeologia Viva confessò di amare il suo lavoro perché all’inizio della sua carriera scoprì  una bellissima statua di dea egizia…li mortacci sua!) ha raccontato che nel corso della sua pluridecennale esperienza sul campo è finito in una trappola, ha respirato l’aria velenosa di una tomba, ha avuto un infarto e si è beccato un terremoto! Alla faccia del bicarbonato di sodio! Indiana Jones è un dilettante! E in più Indiana Jones ha paura dei serpenti (sfigato!), l’altro enorme pericolo in cui possono incorrere gli archeologi, diceva La7 ieri (chiaramente trattasi di boa, anaconda e cobra, non già di vipere cornute che vivono sulle Alpi Carniche).

Ma non solo, i pericoli per gli archeologi vengono anche dall’uomo stesso: dai trafficanti d’arte, dagli scavatori clandestini, insomma, dai tombaroli, organizzati in veri e propri eserciti (stile Cartello di Medellin colombiano) pronti a sparare ai prodi difensori del passato, che fanno scudo col proprio corpo al grido di “Questo dovrebbe stare in un museo!”.

Immagino mia nonna, che sa che faccio, o provo a fare, l’archeologa, mentre ieri guardava questa puntatona di Atlantide sui pericoli che vive quotidianamente la sua irresponsabile nipote: ogni fotogramma che passa è un grano di rosario, un pater noster e chissà cos’altro per allontanare la tragedia sempre incombente sul mio capo…poi fa caso un attimo alle immagini che scorrono e tira un sospiro di sollievo: i servizi mandati in onda per convincere il pubblico a casa mostrano solo scavi in Egitto (dove il monopolio di Zahi Hawass fa sì che solo pochi possano arrivare), in Sudamerica (e sono i più avventurosi: strano, eh?) e nel deserto dei Gobi, narrando l’epopea di grandi ricercatori di uova di dinosauro e di Indiana Jones ante litteram. Nessun accenno, quindi alla vita di tutti i giorni, alla quotidianità del lavoro degli archeologi, che il massimo dell’aria velenosa che possono respirare è quella di un condotto fognario in un centro storico perché devono fare assistenza archeologica ai lavori pubblici.

Che dire? Anch’io nel mio piccolo, comunque, commentavo con un mio esimio collega ieri, qualche avventura degna di Zahi Hawass e non solo, l’ho vissuta: il terremoto innanzitutto: ero nelle Marche a settembre quando c’è stata una scossa alle 6 del mattino che mi ha paralizzato nel letto (era domenica, maledizione!): scossa piccola, ma tant’è, il terremoto ce l’ho.

La trappola effettivamente mi manca, ma una volta sono finita in una sottospecie di sabbie mobili. Nessuna paura, nonna: era semplicemente un bel banco di sabbia bagnatissimo un po’ per le infiltrazioni d’acqua e un po’ per la pioggia: d’altronde avevano appena aspirato via il mare che la copriva, doveva pur vendicarsi! Impressione decisamente brutta, di impotenza mentre ti rendi conto che se non ti togli gli stivali di gomma non ne esci.

L’aria velenosa di una tomba no, è vero, ma l’aria mefitica delle camerate al mattino è un’esperienza che posso condividere con molti giovani e non più giovani archeologi.

L’infarto…beh, ancora no, se dio vuole, ma ciò vuol dire solo che sono evidentemente più sana di Zahi Hawass, il quale, se si vuole ritirare per motivi di salute, può trovare in me una sostituta di sana e robusta costituzione (a richiesta fornisco il certificato medico).

Infine i serpenti…ecco, i serpenti no, ma giusto quest’anno mi sono imbattuta nel ragno “Oh mio dio”, un ragno così brutto e grosso che quando lo vedi puoi solo dire “Oh mio dio”, appunto.

E i tombaroli? Quelli italiani non faranno la guerriglia, ma sono ugualmente dannosi per la ricerca archeologica e per il nostro patrimonio culturale, per quello che noi archeologi cerchiamo tutti i giorni di difendere con la ricerca, con lo studio e con la divulgazione, quel poco di buona divulgazione che per lo meno riusciamo, non tutti, a fare.

zahi hawass.JPG

Se la7 invece di spendere soldi per documentari americani esagerati scendesse nella piccola realtà italiana, fatta anch’essa a suo modo di avventure, di gesta eroiche e di tombaroli, magari riuscirebbe a sensibilizzare meglio una popolazione che guarda con ammirazione Zahi Hawass ma che poi lascia i topi morti sullo scavo ai ragazzi che fanno scavi d’urgenza sotto casa sua in città.

Marina Lo Blundo

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