Gli eroi di Viminacium

Sì, esatto, eroi.

Archeologi, architetti, antropologi, professionisti della cultura, a Viminacium combattono una battaglia quotidiana contro una miniera di carbone

La battaglia è per salvare, studiare e far conoscere la città romana che fu castrum sul limes danubiano, scelta da Traiano che qui vi pose l’accampamento prima di partire per la conquista della Dacia. Una battaglia quotidiana contro una miniera di carbone e le ruspe che quotidianamente cavano e distruggono ciò che incontrano.

Scavi in corso grazie al progetto Dig4XP

Sonnecchio sul minibus che da Belgrado sta conducendo me e i miei compagni di avventure del progetto Green Heritage, progetto europeo finanziato con bando Europa Creativa che mira a leggere il patrimonio archeologico in chiave sostenibile dal punto di vista ambientale, paesaggistico, ma anche economico e sociale. Sto partecipando a una Study Visit che sarà interamente dedicata al parco archeologico di Viminacium, nel cuore della Serbia, a un’ora e mezza di strada da Belgrado, vicino al Danubio (un tempo molto più vicino di ora), città nota dalle fonti, raffigurata sulla Colonna Traiana, scavata in parte all’inizio del XX secolo e, negli ultimi 30 anni, sotto i riflettori dell’archeologia serba per il rinvenimento – oltre che di un mammuth – anche e soprattutto di una necropoli che correva tutto lungo la cinta muraria cittadina e di complessi residenziali o produttivi per i quali si è dovuto operare delle scelte: quando possibile, smontarli e rimontarli altrove, quando non possibile, documentarli, recuperare il recuperabile (nel caso delle sepolture, i resti umani di ben 16mila individui) e cercare di restituire, almeno con lo studio e le pubblicazioni, il dato inevitabilmente perduto per sempre. Ma non dico altro, per ora. Dunque, sonnecchio.

La centrale termoelettrica che domina il panorama di Viminacium

Sonnecchio sul minibus che nel frattempo ha lasciato l’autostrada e via via imbocca strade sempre più secondarie. Il mio occhio mezzo chiuso a un certo punto viene attratto dall’enorme mole di una centrale termoelettrica. Immensa, con due alte ciminiere che sputano fuori fumo bianco in orizzontale per il vento forte. Le vedrò tutti i tre giorni della mia permanenza, a sputare fumo bianco in orizzontale. Lì per lì non capisco, anche se comincio a rendermi conto: un piccolo cartello indica che Viminacium dista solo 2,3 Km da qui. All’intorno non ci sono alture, quindi mi sveglio, perché trasecolo all’idea dell’impatto paesaggistico di quella centrale enorme sul parco archeologico.

E non ho ancora visto nulla.

Proseguendo, sempre osservati dalla mole della centrale che incombe, e che alternatamente nel corso dei tre giorni ho ribattezzato “la Centrale di Springfield” oppure “Mordor” o ancora “The Black Tower” (e menomale che ho una cultura cinematografica molto limitata, sennò chissà quali altri riferimenti distopici avrei potuto cogliere), mi accorgo di una cosa strana. Il minibus percorre una strada posta sul fondo di una miniera. Una miniera di carbone attiva, viva e vegeta, che alimenta la centrale, con le ruspe in movimento che divorano metri cubi e metri cubi di sedime al giorno. E’ in questo sedime, scopriremo poi, che sono state rinvenute, in condizioni di emergenza, quelle sepolture che citavo sopra, il mammuth che ha fatto tutto sommato la fortuna del sito, portandolo agli onori delle cronache nazionali, e poi ancora il mausoleo attribuito con cautela a Ostiliano e altri impianti (di cui parlerò a breve).

La miniera di carbone vista dall’alto – fonte web

Sembra un paesaggio lunare. Un paesaggio distopico, una landa desolata con quelle due ciminiere e il corpo della centrale che di notte è illuminatissimo, quasi un’astronave, la terra brulla, il vento forte che ulula nelle orecchie, scompiglia i capelli, quasi sposta il baricentro mentre si cammina.

Viminacium – il Limes Park

Un luogo inospitale, dunque, lontano da tutto e da tutti, in mezzo al nulla, nel mezzo di una miniera. Ma un luogo che bisogna far vivere e che bisogna rendere abitabile, sia per chi quotidianamente o periodicamente lavora qui – ad esempio le squadre di archeologi del progetto Dig4XP, nato in seno all’Istituto di Archeologia dell’Università di Belgrado – sia per le scolaresche che – fortunatamente – sempre più numerose vengono a usufruire delle attività didattiche che questo sito archeologico, così frammentato (lo vedremo) offre. Il Limes Park è dunque una sorta di campus, costruito però a imitazione del castrum romano. Del resto siamo a Viminacium, la citazione ci sta. E anzi, considerato il tema e la deriva, ma anche e soprattutto il contesto intorno, non è così kitsch come potrebbe sembrare, anzi.

Viminacium – visitare il Parco archeologico

Una premessa è necessaria: dell’intera città romana è stato riportato alla luce solo il 3%: decisamente poca cosa rispetto all’effettiva estensione di Viminacium che invece era piuttosto estesa. Una città che è stata comunque battuta palmo palmo da indagini magnetometriche e georadar, e della quale perciò si conosce tutto il potenziale archeologico, con lo scopo di orientare le future scelte di scavo stratigrafico.

L’anfiteatro – il monumento più importante e famoso – poteva ospitare fino a 12mila spettatori, oltre ad essere il ludus per gli allenamenti e gli addestramenti delle guarnigioni militari acquartierate qui. L’elevato, in legno, è stato parzialmente ricostruito, sia per dare l’idea di come apparisse all’epoca, sia per sfruttarlo oggi. Il problema, di nuovo, è che la vista da qui spazia su quelle due ciminiere fumose che parlano di inquinamento, di ambiente da proteggere e di energie rinnovabili che speriamo arrivino il prima possibile a sostituire la termoelettrica, con tutto ciò che comporta in termini di sfruttamento dei suoli.

L’anfiteatro di Viminacium

Il mausoleo imperiale

La miniera di carbone ha fatto anche cose buone. Nel senso che grazie allo scavo delle ruspe è venuto in luce alla fine degli anni ’90 un recinto sacro ben diverso dalla miriade di tombe rinvenute fin lì: un mausoleo imperiale, costituito da un recinto quadrato di 20 m per lato in grossi blocchi squadrati, con al centro una camera funeraria nuovamente quadrata, anzi cubica, di 5 m per lato sormontata originariamente da un corpo più elevato e arricchita da colonnine sui quattro angoli, di cui rimangono poco più delle basi. Il monumento, datato alla metà del III secolo e già spoliato all’inizio del IV, è stato attribuito all’imperatore del 251 d.C., Ostiliano, nativo della Serbia e che effettivamente a Viminacium trovò la morte, una volta tanto (nel III secolo) non per colpa di una congiura, ma di peste (anche se pure su questo c’è chi nutre dei dubbi… la proposta di un gioco in stile Cluedo “com’è morto Ostiliano?” circola negli ambienti archeologici serbi: non sto scherzando e anzi lo trovo molto figo).

Il mausoleo presunto di Ostiliano, Viminacium, III secolo d.C.

Comunque, oggi il mausoleo imperiale è musealizzato, sotto un tendone che sfida il vento e le intemperie e ci racconta una storia vera di “sic transit gloria mundi“. Il mausoleo, infatti, è stato dubitativamente attribuito a Ostiliano, imperatore nel 251 d.C., nato in Serbia (insieme ad altri 17 imperatori, tra cui Costantino), ma già all’inizio del IV secolo è stato spoliato e ripopolato, con la collocazione, all’interno del recinto funerario imperiale, e nelle adiacenze, di varie sepolture.

Le tombe dipinte di IV secolo

Nello stesso sito del mausoleo, sono musealizzate – in ambiente sotterraneo – tre tombe a camera, piccole, ma dipinte. Tranne che in un caso, gli affreschi sono stati strappati e gli originali sono esposti nel museo di Požarevac, sostituiti qui da copie. Il più noto ritrae una fanciulla poco più che ventenne – il dato è desunto oltre che dal ritratto, dalle analisi antropologiche condotte sui resti umani sepolti al suo interno – che è stata ribattezzata con un certo orgoglio “Viminacium Mona Lisa“: lo so, lo so, in genere non apprezzo questo genere di appellativi, ma in questo caso leggo l’orgoglio e insieme il desiderio di preservare e di rendere noto, e di sensibilizzare l’opinione pubblica, sull’eccezionalità di Viminacium e sulla necessità di continuare le ricerche e di fare tutela, cercando di salvare ciò che le ruspe della miniera giorno dopo giorno cavano via.

La Monnalisa di Viminacium

Smontare e rimontare

Bisogna operare delle scelte, quando si ha a che fare con ruspe che lavorano a ritmo continuo, quando le esigenze dell’economia del Paese cozzano con la tutela. Così accade che una figlina, impianto per la produzione ceramica, e un ninfeo, siano stati smontati e rimontati altrove, nel sedime vincolato del parco archeologico.

La figlina è pazzesca: un vero impianto industriale per la produzione ceramica organizzato in 4 forni, uno dei quali particolarmente ampio, organizzati intorno a una corte. Fa tenerezza la quantità di bipedali usati nella pavimentazione segnati dalle impronte di gatti e cani.

La figlina ricostruita qui dopo essere stata smontata e salvata dall’avanzata delle ruspe

Il ninfeo monumentale consiste in un recinto in muratura, con una corte centrale chiusa su tre lati da un porticato di colonnine marmoree e la vasca sul lato di fondo, absidata. Accanto è stato ricostruito – rimontato perché smontato altrove – un tratto di acquedotto e una latrina.

Le Terme e l’Anfiteatro

Sono i monumenti più noti di Viminacium. Le Terme, parzialmente scavate, sono protette da una tensostruttura molto provata da anni di vento e intemperie; non si tratta di un complesso particolarmente esteso, anche se non è stato scavato interamente.

L’impianto termale di Viminacium

L’anfiteatro invece è stato musealizzato, scavato per tutta la sua estensione, arricchito della costruzione della cavea in legno su una porzione dell’ellisse. Pare infatti che sin dall’inizio l’anfiteatro non avesse elevato in muratura, nonostante le sue dimensioni, che parlano di un’affluenza di 12mila visitatori. Non pochi, decisamente. Bello, scenografico, impattante. Il punto, però, è che se ti volti indietro, vedi sempre la centrale termoelettrica con tutto il suo bruttume, a impattare la tua percezione. L’anfiteatro è un orgoglio di Viminacium, perché appare sulla Colonna Traiana proprio come elemento connotante la città.

Viminacium raffigurata sulla Colonna Traiana

Viminacium, il centro studi

Quando si varca la porta si entra in un mondo altro, un mondo che ci porta in un edificio un po’ domus un po’ villa, comunque romanizzante nello stile, nel quale, oltre che il futuro museo in corso di allestimento e nel quale trova posto il plastico della città antica, trovano posto tutti gli uffici e i servizi utili a chi svolge ricerca qui: il laboratorio informatico, la biblioteca con annesso “senato” per le riunioni periodiche, il laboratorio dei materiali ceramici, il laboratorio di antropologia. Non manca proprio nulla e anzi, c’è pure qualcosa di più: uno spazio, in via di costruzione e implementazione, oggi utilizzato come laboratorio di ceramica che, a imitazione delle terme romane, sarà un vero e proprio percorso spa per chi lavora e soggiorna a Viminacium a lungo.

Il Centro Studi di Viminacium

Le attività ludico-didattiche

Come fare a rendere attrattivo un sito del genere? Un sito nel quale i vari monumenti/aree musealizzate sono dislocati qua e là, raggiungibili dopo lunghi percorsi a piedi su strade bianche in mezzo a campi non scavati (che custodiscono ancora la città)? Io ho potuto partecipare (più sotto vi dico perché) a tre attività che sono proposte, nell’ottica di avvicinare il mondo antico a noi: l’attività di scavo archeologico, in collaborazione con Dig4XP, che è un progetto dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Belgrado che mira a coinvolgere attivamente i visitatori in attività di scavo, riuscendo così ad autofinanziare le ricerche; l’attività di costruzione di un muro, utilizzando le materie a disposizione degli antichi muratori di Viminacium: sabbia, ghiaia, calce viva per fare la malta, e poi bipedali di reimpiego per tirare su per bene l’elevato. L’esperimento condotto dal mio gruppo ha costruito un muraccio fuori squadro e decisamente brutto dal punto di vista estetico, con livelli di malta troppo alti rispetto ai piani in laterizio: ma ho fatto un rapido confronto mentale con situazioni a me note, e così mi è apparsa lampante tutta la fatica dei muratori altomedievali che, nel IX secolo, a Portus, non sono più in grado di realizzare un paramento a corsi orizzontali, per cui abbiamo delle murature ondulate che sono deliziose, ma che dimostrano che la sapienza degli antichi mastri costruttori di età imperiale era andata in larga parte perduta.

Le mura ondulate di Portus: esito del riutilizzo di laterizi non sempre uguali e di letti di malta non perfetti

Infine, l’attività più divertente, forse: un’autentica cena romana, in cui i partecipanti sono tenuti a cucinare alcune ricette tratte da Apicio (e chi sennò?) e a mangiare e bere nei bellissimi pocula polilobati, su modello di pocula rinvenuti a Viminacium, e rigorosamente abbigliati alla romana. Per fare le cose fatte bene ci vorrebbe anche qualche ornatrix che realizzi acconciature per per le donne! Ma va benissimo così. Ravviso solo un errore (si scherza): anche le donne qui a questa cena possono bere vino, cosa che, in età romana alle dominae non era concessa (tema, tra gli altri che abbiamo affrontato nel saggio “Femminicidio e violenza di genere nell’antica Roma“). Ma questa è un’attività ludica, che poco ha a che fare con le rievocazioni storiche e/o con l’archeologia sperimentale. E’ puro intrattenimento, edutainment, se vogliamo, che punta a voler trasmettere ai partecipanti la comunanza di certi sapori, di certe ricette, anche, con l’oggi.

L’esito delle ricette di Apicio realizzate da noi, oggi, quasi 2000 anni dopo

Naturalmente, di tutte e tre le attività, ho apprezzato in particolare l’unica che per me ha costituito una vera novità, cioè la costruzione del muro a partire dal produrre lì per lì la calce. Attività seguita, tra l’altro, da un’architetta, Emilija Nikolić, che a Viminacium e alla tecnologia dei materiali da costruzione nel mondo romano ha dedicato e dedica impegno e ricerca.

Green Heritage: un progetto europeo che vuole trovare la quadra tra patrimonio archeologico e sostenibilità ambientale e paesaggistica

Ho avuto l’opportunità di visitare Viminacium nell’ambito di un progetto europeo, del quale il Parco archeologico di Ostia antica è partner (ecco il motivo del mio coinvolgimento) che si chiama “Green Heritage – Nurturing a sustainable future in the gardens of time“, vincitore di bando Europa Creativa e che vede il coinvolgimento di 5 nazioni: oltre alla Serbia e l’Italia, anche la Spagna, la Slovenia e il Portogallo.

Questo progetto mira a integrare la sostenibilità nell’educazione al patrimonio culturale, in particolare all’interno dei parchi archeologici, collegando la gestione di questi siti con l’educazione ambientale. Il progetto cerca di trasformare i parchi archeologici in aule attive, mostrando le pratiche sostenibili del passato per ispirare l’azione ambientale contemporanea. Green Heritage promuove la collaborazione tra educatori, gestori del patrimonio e stakeholder in tutta Europa per promuovere la sostenibilità nel lavoro sul patrimonio culturale.
Grazie al progetto, i parchi archeologici fungeranno da “laboratori viventi” dove ricercatori e visitatori potranno sperimentare tecniche di conservazione eco-compatibili, conoscere le strategie di adattamento al clima ed esplorare l’intersezione tra identità culturale e responsabilità ambientale. Questo approccio mira a ispirare una nuova generazione di operatori del Patrimonio culturale, intendendo con essi archeologi, architetti, esperti di didattica e di archeologia pubblica, antropologi, archeozoologi, diagnosti, ingegneri strutturisti e restauratori e quante altre professionalità correlate vi vengano in mente, che guardano alla conservazione del patrimonio attraverso la lente della sostenibilità.

Non è un caso che io più di una volta in questo post abbia fatto riferimento a Portus. L’area archeologica dei porti di Claudio e di Traiano è l’area archeologica scelta per mettere in pratica le intenzioni del progetto: un’area archeologica con un impatto naturalistico pazzesco che deve fare tutti i giorni, quotidianamente, i conti con il mantenimento di un equilibrio tra i monumenti archeologici e l’elemento naturalistico, preponderante perché non solo vegetazionale, ma anche faunistico.

Per quanto riguarda Viminacium il tema è molto forte. Siamo in una situazione opposta, in una situazione in cui l’ambiente e il paesaggio sono fortemente compromessi, ma forse proprio in questa compromissione, e nella lettura nel lungo periodo dello sfruttamento dei suoli, mentre il mondo va nella direzione delle energie rinnovabili, che si può trovare il quid e si può lavorare, quantomeno per sensibilizzare sui temi dell’ambiente, dei cambiamenti climatici, della sostenibilità. L’attività didattica della costruzione di un muro, a partire da materiali disponibili in situ, pone l’accento sulla necessità di riciclare oggi come allora. Non ci pensiamo mai, ma le società antiche erano necessariamente improntate allo sfruttamento oculato delle risorse: che è ciò che oggi chiamiamo sostenibilità.

E dunque, si può parlare sul serio di eroi di Viminacium?

A mio parere sì. Eroe nel mondo contemporaneo è chi si pone fuori dalla propria confort zone e cerca soluzioni a problemi complessi. Lavorare a Viminacium, affrontare quotidianamente il rischio di veder distruggere contesti archeologici in virtù della ragion di Stato, cercare di salvare il salvabile al volo (da ultimo, pochissimi anni fa, una chiatta fluviale in legno, per la quale il sito non è attrezzato quanto ad ambienti e climatizzazione efficaci), trovare soluzioni per salvare e per musealizzare, ma al tempo stesso operare delle scelte: non conosco l’ordinamento in materia di beni culturali della Serbia, ma qui ci troviamo in una situazione border line, che andrebbe attenzionata per bene. Quindi sì, tutte e tutti coloro che lavorano a Viminacium per me sono eroine ed eroi, persone che accettano di lavorare all’ombra di una centrale termoelettrica e di una miniera di carbone, con tutto ciò che comporta anche in termini di qualità dell’aria, che non è da sottovalutare.

Mi sono appassionata alle vicende attuali di questa città antica. Seguirò da vicino nei prossimi due anni cosa succederà e spero davvero che il progetto europeo Green Heritage possa gettare le basi per la svolta anche in un modo di intendere il patrimonio culturale e archeologico che lo veda non come un intralcio allo sviluppo economico, ma al contrario come luogo per discutere di temi che sono attuali, quali il cambiamento climatico, le emissioni, le energie rinnovabili. Quella centrale termoelettrica con le sue ciminiere che sputano fumo costantemente è il simbolo di questa ricerca di rinascita, di ritorno al passato guardando al futuro.

2 risposte a “Gli eroi di Viminacium”

  1. […] Ho avuto l’occasione di visitare la città islamica di Medina Azahara nel corso di una study visit organizzata da Casa Árabe nell’ambito del progetto europeo Green Heritage (Europa Creativa) di cui ho parlato già a proposito del parco archeologico di Viminacium. […]

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