L’archeologia va al liceo classico. Il Torquato Tasso di Roma per la precisione. E ci va sotto forma di mostra. Una mostra co-progettata, co-costruita dalla Direzione Generale Musei del Ministero della cultura con le studentesse e gli studenti del Liceo, chiamati in causa e veri protagonisti sia durante la fase progettuale e allestitiva che ora, nella fase di apertura al pubblico e di valorizzazione, con l’organizzazione di visite guidate gratuite condotte proprio da loro. Lo spoilero fin da ora: qui abbiamo un’autentica operazione di archeologia pubblica: una mostra co-progettata da ministero e scuola e il cui andamento è affidato interamente agli studenti, aperta gratuitamente ai visitatori i quali, previa prenotazione online, possono prendere parte a una visita guidata tenuta dalle studentesse e dagli studenti stessi.
Io dico solo che se una cosa del genere fosse stata concepita quando ero io al Liceo sarei impazzita e probabilmente mi avrebbe fortemente condizionato nella mia scelta di fare archeologia. Ah, già, l’ho fatto lo stesso… Scherzi a parte, questa operazione – che tutto è fuorché commerciale o di vetrina – è un bel progetto culturale, sicuramente replicabile nel metodo e nei termini, che ha consentito il dialogo tra istituzioni differenti, il Mic, il Ministero dell’Istruzione, i Carabinieri del Nucleo Tutela Beni Culturali. Questa mostra si configura come una best practice da portare altrove sul territorio nazionale (ma pure all’estero).

Vediamo ora nello specifico di che si tratta. Perché non si dà peana senza spiegazione motivata degli elogi.
“Il ritmo della vita degli uomini”: opere senza contesto recuperano nuova (aulica) identità
Il senso è proprio questo: la mostra è costruita a partire da reperti provenienti da sequestri compiuti nel corso del tempo e di varie operazioni dai Carabinieri del Nucleo Tutela Beni Culturali. Si tratta di oggetti – vasi greci, vasi etruschi, teste votive fittili, bronzetti – che sono stati recuperati dopo che erano stati sottratti con scavo clandestino dal loro sito di provenienza (solitamente necropoli), e di conseguenza sono privi del loro contesto di riferimento: per esempio in mostra vi sono diversi vasi provenienti indicativamente dall’Etruria Meridionale: ma non è dato sapere se si tratti di Vulci, di Cerveteri oppure di Tarquinia, non sappiamo da quale tomba essi provengano e di conseguenza possiamo guardare al vaso in questione solo con l’approccio stilistico. Oppure con l’approccio poetico.

Proprio l’approccio poetico è ciò che fa la differenza e che dona nuova vita a questi oggetti decontestualizzati. Sì, perché a ciascuno dei reperti scelti per l’esposizione, ed effettivamente visibili in mostra, è stato scelto di associare un verso di un poeta greco, che sia Omero, Pindaro, Teognide, Anacreonte, Esiodo, Euripide, Eschilo (et al.): questo verso allo stesso tempo illustra l’oggetto antico e lo racconta. E sono stati gli studenti e le studentesse a scegliere quei versi e ad abbinarli di volta in volta agli oggetti: suggestioni che sono nate vedendo l’oggetto in sé, la sua decorazione (con i vasi attici e le loro iconografie le suggestioni sono tante e variegate)
Una cosa veramente figa sarebbe (e lo dico non come critica a questa mostra, ma come suggerimento per futuri analoghi allestimenti) far sì che quel verso omerico, quell’ode di Pindaro, quel passo della tragedia di Eschilo potessero essere ascoltati, non semplicemente letti, mentre si osserva l’oggetto: sarebbe un’esperienza immersiva davvero interessante. Ma pur senza questi ritrovati emozionali, la mostra “Il ritmo della vita degli uomini” funziona.
“Il ritmo della vita degli uomini”: il percorso espositivo e la visita guidata
Sono le studentesse e gli studenti del Liceo classico Torquato Tasso – le stesse e gli stessi che hanno seguito fin dall’inizio il progetto espositivo – a condurre le visite guidate alla mostra che si tengono secondo il seguente calendario: https://www.liceotasso.edu.it/pagine/mostra-tasso
La mostra è allestita nell’Aula Magna del Liceo, un grande ambiente dagli alti soffitti nel quale su due file sono disposte le vetrine che ospitano gli oggetti. Le tipologie di oggetti non sono poi molte: due statue di piccole dimensioni, un Eracle e una Venere; vasi di produzione laziale dell’VIII-VII secoli; vasi attici a figure nere e rosse, un’olpe etrusco-corinzia, alcuni materiali etruschi e poi teste fittili votive e una carinissima testina in pasta vitrea di produzione punica.

Quando si dà una provenienza, essa è un vaghissimo “Etruria meridionale”. Purtroppo non si può essere più precisi di così, perché trattandosi di materiale illecitamente sottratto e poi recuperato a seguito di indagini dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, non è dato sapere altro. Si può intuire che i vasi provengano da corredi funerari, così come probabilmente la testina-pendente punica, mentre le teste fittili provengano da contesto santuariale. In ogni caso non sappiamo esattamente da dove provengano, a quali altri oggetti di corredo fossero associati, in quale contesto fossero calati. Da qualche iconografia, come il vaso attico raffigurante Eros e una donna con gli oggetti della filatura, possiamo ipotizzare una sepoltura femminile, ma oltre a questo gioco dell’Indovina chi (che peraltro si ferma subito qui) ben poco si può andare.

Come dare però risalto a materiali il cui unico carattere comune è di provenire da sequestro? Come renderli nuovamente funzionali? Ecco che le studentesse e gli studenti del Tasso di Roma si sono messi a spulciare tutti i lirici greci e latini, e guardando e osservando gli oggetti, le loro iconografie – nel caso dei vasi – o la loro forma e funzione, sono riusciti nell’impresa di descrivere ogni singolo oggetto con un verso poetico, lirico o epico. Lo hanno fatto attingendo a una pluralità di autori che spaziano dagli Inni Omerici a Esiodo, a Omero, ai tragediografi, a tutto il programma – per farla breve – di letteratura greca e latina (ma principalmente greca) del Classico. Così, a monito per chi dice che il greco è una lingua morta e che non serve a niente studiare le lingue morte (il greco e il latino per l’appunto).
Rileggevo oggi quasi per caso, o forse no, il buon vecchio (prima edizione 2004) ma ancora insuperato “Comunicare nel museo” di Francesco Antinucci. Ecco, tutto quel saggio prende le mosse da un assunto ineccepibile: le opere (d’arte e nel nostro caso i reperti archeologici) sono segni e in quanto tali di per sé comunicano. Ciò che comunicano e come è stabilito da chi si pone tra l’opera e il fruitore.
Cosa comunicano opere che sono decontestualizzate, oltre alla decorazione/iconografia – quando presente – o alla mera tipologia, funzione e datazione? Cos’altro possono comunicare?

Nello specifico, il metodo che è stato adottato per consentire alle opere di comunicare qualcosa che andasse oltre il loro essere oggetto d’arte antica, è stato proprio la contestualizzazione letteraria: molto bella la frase utilizzata in mostra nel pannello che illustra proprio la scelta di affidare alle citazioni letterarie la narrazione delle opere: “Nell’apparente diversità che intercorre tra un’anfora attica a figure nere e un verso di Archiloco c’è sempre un uomo che si racconta“. Uomo, Coraggio, Amore, Dio: questi sono i 4 temi in cui sono state divise le citazioni letterarie e dunque gli oggetti, e visitando la mostra si noterà che a seconda del tema, il colore della didascalia del singolo oggetto sarà differente.
A margine della mostra, in un ambiente della biblioteca del Liceo è stata allestita la sala multimediale: mentre va in loop l’animazione di un vaso attico, sul pavimento scorrono frasi estratte da autori latini e greci, mentre in filodiffusione va l’enunciazione, da parte delle studentesse e degli studenti del Liceo, di versi di poeti greci e latini in lingua originale e soprattutto in metrica. E, lo giuro, pur nella semplicità dell’insieme, io mi sono commossa, sia nel riconoscere versi recitati – e quello, vabbè – ma nel sorprendermi a sentire nuovamente quella metrica, a sentirla cadenzare bene, senza imprecisioni, senza esitazioni. Per un attimo sono tornata alla mia V Ginnasio, seduta al secondo banco, con la mia prof che guardava arcigna, ma in realtà, poi forse così cattiva non era, mentre leggevo qualche trimetro giambico di Archiloco.
In conclusione: perché visitare la mostra “Il ritmo della vita degli uomini”
Come avrete capito, questa non è una mostra che aggiunge qualcosa alla nostra comprensione del mondo antico. Il motivo per cui va visitata e supportata sta in due/tre temi sostanziali: innanzitutto il luogo di esposizione, che non è il solito museo, la solita sala mostre di un complesso monumentale o altro. Qui la scuola si fa custode del Patrimonio. Qui si è creato un dialogo tra ministero della cultura e ministero dell’Istruzione, e si è trovato il modo di esporre in sicurezza le opere.
Il secondo tema è il coinvolgimento di studenti e studentesse fin dall’inizio, fin dal primo incontro con i funzionari della Direzione Generale Musei (anzi le funzionarie: Elisabetta Scungio, Lara Anniboletti) che hanno detto “vogliamo fare una mostra con voi“. I ragazzi e le ragazze sono stati coinvolti in tutto il processo progettuale e creativo, nonché allestitivo. Hanno toccato con mano, hanno visto le difficoltà, hanno imparato a conoscere quelle opere, hanno selezionato i testi antichi da abbinare a ciascuna di esse, hanno sostenuto le motivazioni di quelle scelte. I ragazzi, e non gli oggetti, sono i protagonisti della mostra. Per questo mi sento serena nel poter parlare di un’azione di Archeologia Pubblica.
Infine il terzo tema è quello che scorre sottotraccia: opere sottratte al mercato clandestino dell’Arte Rubata (per citare Fabio Isman) che devono essere messe in condizione di parlare al pubblico. L’incontro tra i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e i/le liceali è stato fondamentale per sensibilizzare sulla necessità di proteggere il nostro patrimonio e sull’importanza di preservarlo sempre.
Parlando con una docente che ha preso parte attiva all’iniziativa, è emerso che proprio il dialogo con i Carabinieri ha acceso negli studenti un senso civico nei confronti del Patrimonio come mai lo avevano avuto, e anche un rispetto verso un’istituzione, quella dell’Arma dei Carabinieri, della quale non conoscevano quest’aspetto di salvatori dell’arte.
Questa mostra è un’autentica operazione di archeologia pubblica, dunque ha già valore nel momento in cui ha coinvolto/formato i ragazzi e le ragazze che hanno preso parte all’allestimento e ora alla sua fruizione. Io l’ho visitata con l’intento di capire come si fosse sviluppato il progetto, come sia stato reso possibile e se sia effettivamente replicabile.
La risposta, per me, è sì, al netto di alcune piccole considerazioni, non ultima la sicurezza delle opere. Perché si possa replicare un progetto del genere occorre che l’istituto sia in grado di assicurare la sicurezza delle opere da eventuali furti e/o danneggiamenti. Ma vi dico che questo è il problema più difficile concretamente da affrontare, stante la situazione di tante scuole italiane. Tolto il problema sicurezza – che però, ribadisco, mi pare sostanziale – un progetto del genere è facilmente replicabile in tutta Italia e anche – senti che te dico – non necessariamente in un Liceo Classico.







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