Fino al 26 gennaio 2025 il Museo dell’Acropoli di Atene ospita la mostra “The ancient civilizations of Basilicata. Treasures emerging to light” promossa e realizzata dal Ministero della cultura italiano – Museo archeologico nazionale di Matera, in collaborazione con il ministero della cultura greco. Un’occasione di collaborazione molto interessante e importante, nonché l’opportunità di esporre materiali e contesti davvero strepitosi custoditi nei depositi dei musei lucani. I materiali sono stati prestati dal Museo nazionale della Siritide, dal Museo archeologico nazionale di Metaponto e dai Musei nazionali di Matera, molti di essi tra l’altro precedentemente conservati nei depositi e quindi non esposti al pubblico.
L’esposizione si colloca all’interno dell’iniziativa “Il racconto della bellezza”, frutto dalla collaborazione tra la DG Musei del Ministero della Cultura e la Direzione generale per la Diplomazia pubblica e culturale del Ministero degli Affari Esteri Italiano. Ed è l’ultima di una serie di tappe: Amburgo, Varsavia e Budapest sono state le città che hanno preceduto Atene.
La mostra, dice il testo del pannello introduttivo, che è la dichiarazione d’intenti di tutto il progetto espositivo, attraversa e racconta la storia della Basilicata antica prima dell’arrivo dei Greci e Lucani attraverso i cospicui materiali archeologici, risultato di scoperte e ricerche da circa un secolo. Questo viaggio inizia alla fine dell’età del Ferro, con gli Enotri, che vivono nel territorio tra il IX e il V secolo a.C. Gli Enotri sono una popolazione che occupa la fascia tirrenica, fino agli Appennini e al Mar Ionio, compresa tra la Campania e la Calabria. Li ho già incontrati, nel corso delle mie peregrinazioni: su Loquis puoi ascoltare, per esempio, il podcast dedicato al Museo dei Bretti e degli Enotri di Cosenza.
I materiali esposti provengono per la maggior parte da contesti funerari e danno conto della cultura materiale, fatta di materiali ceramici, ma anche e soprattutto di gioielli e oggetti di prestigio in bronzo. Si tratta infatti di sepolture di persone, uomini e donne, di alto rango. Le grandi fibule a quattro spirali provenienti da una tomba femminile della necropoli dell’Incoronata di Pisticci, di VIII secolo a.C. sono straordinarie.

Un’altra sepoltura femminile da Guardia Perticara, in provincia di Potenza, è della prima metà dell’VIII secolo a.C.: in mostra è riproposta l’intera sepoltura, comprensiva dell’inumazione e dei gioielli in bronzo, ferro e pasta di vetro. La donna indossava una cuffia di bronzo. Vedremo nel prosieguo della mostra oggetti strepitosi in tal senso.

Ma i materiali in bronzo caratterizzano ovviamente anche le tombe maschili, con panoplie complete che dimostrano contatti già con la colonia magnogreca di Sibari: l’esempio più alto è la sepoltura aristocratica da Chiaromonte, dell’inizio del VI secolo a.C. che non solo ha restituito tutte le armi, tra scudi, umboni, spade, elmo, incensiere, fiaschetta, finimenti per cavallo.
Una sepoltura femminile da Guardia Perticara ha restituito fibule ad arco giganti, cuffie per capelli di spirali e borchiette di bronzo, pettorali in spirali di bronzo, un cinturone: un corredo decisamente ricco, che risale alla prima metà del VII secolo a.C.

Dopo esserci lustrati gli occhi col bronzo, diamo spazio alle ceramiche. Anche in questo caso abbiamo oggetti notevoli da contesti funerari poco noti, ma proprio per questo estremamente interessanti. Curiosa è, a esempio, una pisside su ruote in terracotta, proveniente da Alianello, dalla necropoli di Cazzaiola, dove costituiva parte del corredo di una sepoltura femminile della fine del VII-metà del VI secolo a.C.

Particolarmente interessanti i “portagioie” a forma di piccolo tempio, su quattro piedini, decorati con motivi geometrici, che ci parlano dei primi contatti con i coloni Greci giunti sulle coste ioniche e tirreniche. Un esemplare proviene dalla Necropoli di San Vito, Guardia Perticara, dell’inizio del VI secolo a.C.

Proprio ai contatti con i coloni Greci si devono certe influenze nelle produzioni ceramiche: oltre che nelle forme, nei motivi decorativi: incontriamo l’episodio mitico di Bellerofonte con la Chimera, dipinto su un lebete proveniente dall’insediamento di Incoronata, a Pisticci e che risale alla seconda metà del VII secolo a.C.: questo vaso è realizzato, da un artista greco migrato dalla madrepatria, che è stata individuata nell’isola di Paros. La colonizzazione greca della Basilicata non sostituisce le popolazioni indigene, ma si affianca ad esse in una forma di coabitazione che è influenza e scambio.

La mostra ha l’indubbio merito di fornire una overview su un periodo, quello pregreco, e su un territorio, quello della Basilicata, sicuramente poco noto, non solo al pubblico greco, ma anche a quello italiano. Un contesto molto specifico, molto ben definito, ma con un ma: sembra non tener conto proprio del fatto che la mostra si rivolge a un pubblico greco, o di Italiani in Grecia (molte iniziative sono state fatte in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura, per esempio), che poca dimestichezza ha con le regioni italiane, e con la Basilicata in particolare. In mostra sono pochissime le cartografie, le piante che possano collocare nello spazio geografico la Basilicata. Una sola mappa all’inizio del percorso espositivo, nella quale sono inseriti i siti che incontreremo nel percorso espositivo. Ma poi, a meno che non ce la siamo fotografata, l’unico modo che avremo per capire dove si collocano nel territorio i siti sarà fare avanti e indietro con la mappa della prima sala, oppure affidarci a Google Maps. Ma non è comodissimo, eh.

Molto elegante e sobrio, invece, l’allestimento. Luce calda e sufficiente a leggere le didascalie e i pannelli (se avete letto a suo tempo la mia recensione della mostra su Marco Polo a Venezia, sapete come il tema mi sia molto a cuore!); le pareti, tutte in nero, sono animate da motivi che riprendono ora le spirali in bronzo, ora altri motivi decorativi, sui toni del rosso. Molto elegante e lineare, per nulla chiassoso, pulito, con un’identità visiva che è riproposta sul sito web del Museo dell’Acropoli, nella pagina dedicata.
Concludendo, mostra molto interessante, sicuramente perfettibile. Contesti strepitosi, materiali davvero interessanti; apparato didattico essenziale, al visitatore viene chiesto di fare uno sforzo di comprensione e di immaginazione. Non è sicuramente una mostra che possa interessare tutti i visitatori del Museo dell’Acropoli. Il biglietto della mostra, staccato a parte rispetto al biglietto del museo, è gratuito. Tuttavia non so quanti dei visitatori internazionali (non solo italiani, non solo greci) che visitano/attraversano la mostra attratti dal gratuito escano con più contezza dell’archeologia della Basilicata. Ammesso e non concesso che sappiano dove stia effettivamente la Basilicata.







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