Imperia è un ponte tra passato presente e futuro: la mostra all’Archivio di Stato di Imperia

Nel centenario della creazione della città di Imperia, nata dall’unificazione di Oneglia, Porto Maurizio e altri 9 comuni dell’entroterra, l’Archivio di Stato di Imperia ha deciso di dedicare una mostra al processo di costruzione di una città unica. Processo che non è stato semplice, non è stato veloce, ma affonda le sue radici molto indietro nel tempo, quando c’erano due realtà a governare rispettivamente Oneglia e Porto Maurizio: I Savoia, che avevano acquistato un feudo imperiale, e la Repubblica di Genova. Come vedremo, queste due realtà, da un lato e dall’altro del torrente Impero, hanno giocato un ruolo sostanziale nel processo di unione dei due centri.

La mostra è un interessante caso di studio sotto molteplici aspetti. Il primo è il seguente: un archivio di stato che realizza una mostra per attrarre un pubblico che potenzialmente sia interessato al tema. Gli archivi di stato solitamente sono percepiti come luoghi atri e polverosi per studiosi e pensionati storici locali. Gli archivi invece sono luoghi vivi, tenuti a riflettere sul proprio patrimonio e a renderlo noto. A valorizzarlo. Quindi ben venga una mostra di questo tipo in un’occasione del genere. Spero anzi che questa sia la prima di una lunga serie di mostre che l’Archivio di Stato dedicherà al suo immenso patrimonio. Invito che estendo a tutti gli archivi di stato di tutte le province italiane (Firenze, per dire lo fa da anni: a suo tempo, nel 2014, realizzò la mostra sui ponti di Firenze distrutti durante la II Guerra Mondiale. Fu un successo di pubblico e di critica, e a me piacque molto, perché non è così scontato poter vedere documenti di quel livello dal vivo).

Storia di un nome: il torrente Impero

Fin da quando ero piccola, mi affascinava il nome di Imperia e quello del torrente che la attraversa separando Oneglia da Porto Maurizio: Impero. Quando poi ho scoperto che Imperia è stata unificata nel 1923 dal governo fascista di Mussolini, allora ho cominciato a chiedermi se fosse nato prima l’uovo o la gallina: cioè se Imperia fosse il nome fascistissimo attribuito dal Duce e il torrente Impero avesse preso il nome da lì, oppure l’opposto, tanto che avendo siffatto nome, così altisonante, il torrente, il nome della città ben si prestava alla propaganda fascista. Tanto più che a monte, risalendo la valle Impero, a un certo punto questo stesso torrente si chiamava anticamente Maro (dando origine ai toponimi dei borghi di Borgomaro e Maro Castello, per esempio…)

Finalmente in mostra ho potuto dirimere la questione e chiarirmi le idee una volta per tutte: il nome Imperia viene dal torrente Impero e non viceversa. Soprattutto, l’idea di Imperia come città unita nasce nel 1908, ben prima di Mussolini. Ma ci arriveremo. Ora tratteniamoci sugli argini del fiume.

Nel corso dei decenni, anzi dei secoli, numerose ipotesi sono state fatte sull’origine del nome e sulla sua etimologia. C’è chi ha tirato in ballo l’impero romano (Imperialis flumen), chi ha pensato a una corruzione di imber, pieno di pioggia, che ne giustificherebbe il carattere torrentizio per cui per molti mesi l’anno è secco, ma quando piove si ingrossa. Le paretimologie legate al nome del torrente Impero non mancano di fantasia e di una certa volopindaricità del ragionamento (se non esiste, candido volopindiracità a neologismo presso l’Accademia della Crusca). In realtà l’origine del nome sarebbe molto più prosaica. Visto che a un certo punto della Storia Porto Maurizio è sotto la Repubblica di Genova, mentre Oneglia è parte del regno dei Savoia, che ha acquistato un feudo Imperiale dai Doria (sempre genovesi, ma tant’è), allora per indicare il passaggio di confine i portorini dicevano “si va nell’Impero“. Ed ecco che quest’espressione ha dato il nome al torrente che separava – separa – i due centri urbani di Oneglia e Porto Maurizio.

La storia è molto più complessa di come ve la sto facendo, e vi consiglio di visitare la mostra per meglio comprenderne le dinamiche. In ogni caso il torrente Impero da sempre è un confine più che un legante. Anche se alla metà dell’Ottocento, prima dell’Unità d’Italia, ma già sotto il Regno di Sardegna, si decide di costruire un ponte monumentale che colleghi le due sponte.

Il primo ponte sul torrente Impero

Incredibilmente, fino al XIX secolo non era mai stato realizzato un ponte che collegasse Oneglia con l’altra sponda. Dico così perché in realtà Porto Maurizio sorge sul suo colle del Parasio ben lontano dalla foce dell’Impero. Ma tutta quella terra di nessuno, impiegata prima a coltivo, poi a industrie, era appannaggio di alcuni proprietari onegliesi. Tornando al ponte, solo alla metà del XIX secolo si rese necessario costruire questo ponte, un ponte che unisse le due sponde e che consentisse a chi doveva quotidianamente recarsi da un argine all’altro, di muoversi in barca o di sfruttare le secche che ciclicamente si formavano all’estuario.

Il progetto del ponte risale al 1838, sotto gli auspici di re Carlo Alberto di Savoia. Innanzitutto furono per la prima volta regolarizzati gli argini, dopodiché dal 1840 si avviò la costruzione di un ponte di legno sospeso, tenuto da tiranti di ferro che culminavano in due grandi fornici in marmi posti uno sulla riva, l’altro sull’altra. Una citazione degli archi trionfali romani, forse un po’ troppo magniloquente per i due centri che venivano collegati, ma certo degna dell’Imperialis Flumen (come allora si credeva che fosse l’origine del nome). Il ponte Vittorio (in onore di Vittorio Emanuele II) è inaugurato nel 1842, ma l’entusiasmo per il collegamento scema dopo pochi mesi perché viene messo un pedaggio che si va ad aggiungere ai dazi per il trasporto delle merci. Non mi è chiaro perché ci fossero dazi tra due comuni limitrofi del Regno di Sardegna, tuttavia oltrepassare il ponte diventava un’impresa economica non sostenibile per molti. Il pedaggio fu cancellato soltanto nel 1878, quando il Regno d’Italia si era insediato da quasi 20 anni.

Nel 1887 un drammatico terremoto colpì la regione. La maggior parte dei danni si registrò a Diano Marina e soprattutto a Bussana (oggi Bussana Vecchia), dove le scosse distrussero ogni cosa costringendo la popolazione superstite all’abbandono (oggi Bussana Vecchia è un borgo con vocazione turistica alle porte di Sanremo: negli anni ’60 nelle case diroccate si è installata una comunità di artisti che ha fatto rivivere il borgo tanto da farlo diventare tra i più noti dell’estremo Ponente Ligure). Anche a Oneglia-Porto Maurizio si riscontrarono danni, anche al ponte. Ecco che nel 1888 il Ponte Vittorio cambiò aspetto, diventando di ferro e calcestruzzo al posto della passerella in legno. Rimangono i due archi trionfali, ma ancora per pochi anni: sono infatti fonte di continui pericoli per il traffico meccanizzato che sul nascere del nuovo secolo si sta pian piano sviluppando. Nel 1905 vengono abbattuti. Solo nel 1939 – a Imperia ormai unificata da anni – il ponte sull’Impero raggiungerà il suo aspetto definitivo, in cemento armato.

Un fiume che separa, un ponte che unisce, sì, ma con che fatica. Una storia di confini e di comunità divise. Anche e soprattutto quando il neonato Regno d’Italia deve stabilire quale tra Porto Maurizio e Oneglia sarà capoluogo di Provincia. Vince Oneglia, nello scoramento dei portorini.

Cacelotti e Ciantafurche

A questo punto la mostra non può non prendere in considerazione un aspetto del folklore locale, ovvero come vicendevolmente portorini e onegliesi si chiamano vicendevolmente: Ciantafurche e Cacelotti.

E’ una storia veramente molto locale e molto sentita dagli imperiesi ancora oggi, che comunque si sentono sempre divisi tra nati a Oneglia e nati a Porto Maurizio. I Ciantafurche sono gli Onegliesi. Pare che il nome derivi dal fatto che piantavano le forche sul molo dove tempo dopo sarebbe sorta la fabbrica di pasta Agnesi, ma forse il nome si deve alla coltivazione della vite, che all’epoca si faceva nelle colline dell’immediato entroterra di Imperia. Ora, che mi risulti, quella coltivazione non è più, sostituita da ulivi, mentre è rimasta nella vicina vallata di Diano Castello; in ogni caso le forche piantate (Ciantafurche significa pianta forche, non c’è bisogno di specificarlo) sarebbero state, se quest’interpretazione fosse vera, un riferimento al lavoro di preparazione dei vitigni, per cui si piantavano le forche sulle quali si avvoltolavano le viti.

Per i Cacelotti la questione è più complessa. Potrebbe derivare dalla parola francese che significa gabbia, prigione e in questo senso andrebbe d’accordo con la prima interpretazione dei Ciantafurche. Cioè, se a Oneglia ci sta il boia, a Porto Maurizio ci stanno i delinquenti. In realtà la storia del nomignolo non è per nulla chiara agli stessi storici. Figurarsi agli imperiesi che se la tramandano come storia intorno al fuoco. Appello agli Imperiesi: visitate questa mostra, che scoprirete qualcosa di più su questi appellativi.

Qui mi permetto di fare una chiosa: vi ho raccontato una storia che interessa soltanto i 42mila (forse più) abitanti di Imperia, che quegli stessi abitanti hanno sentito raccontare dai genitori e dai nonni (una volta c’era una pizzeria che si chiamava “Cacelotti e Ciantafurche“, non lo so se c’è ancora…). Per me ha un valore pazzesco che in questa mostra si sia posto l’accento su un tema così accomunante, ma al tempo stesso divisivo, che è alla base dell’esistenza di Imperia. E passiamo così alla terza sezione della mostra: Oneglia e Porto e loro sviluppi urbanistici dalla fine dell’Ottocento al 1923.

Esposizione doppia

Giunti a questo punto la mostra si duplica: da una parte si segue lo sviluppo urbanistico di Porto Maurizio, dall’altra lo sviluppo urbanistico di Oneglia, seguendo analoghi temi, come i giardini pubblici, l’industrializzazione, i commerci. Per un imperiese è divertente dover trovarsi a scegliere quale delle due gallerie vedere per prima, con i documenti esposti, spesso planimetrie, ma anche disegni e articoli di giornale, fotografie storiche, ed è ancora più divertente per il curatore della mostra, dover constatare che qualche portorino veramente indomito, o qualche onegliese ugualmente ultras, guarda solo la propria sezione di mostra ignorando l’altra. Ma tanto, ci dispiace, la conclusione è una e una sola: alla fine Porto Maurizio e Oneglia saranno unificate.

Il lungo processo dell’unificazione

Risale al 1908 il primo tentativo di unificazione di Oneglia e Porto Maurizio. Si arriva a un passo dalla conclusione, ma Oneglia si oppone per paura di perdere i privilegi che derivano dall’essere capoluogo di provincia. In molti ci avevano creduto, per molti la delusione è cocente. Tutto sbagliato, tutto da rifare. E passano gli anni.

Poi arriva lui. Prima che fosse lui. Quando era solo un maestro peraltro già considerato una testa calda, cosa che in effetti era. Resterà a Oneglia per breve tempo (durante il quale lo allontanano persino dalla scuola in cui insegna), sufficiente però per respirare negli ambienti socialisti che all’epoca frequentava, quella volontà di unificare i due comuni in una città.

E così una volta giunto al potere, Benito Mussolini non fa altro che approvare l’ennesimo tentativo di unificazione di Oneglia e Porto Maurizio, promosso dalla parte socialista. E non solo, nell’unificazione coinvolge altri 9 comuni dell’entroterra. A loro insaputa e che, francamente, ne avrebbero fatto a meno.

Imperia è” recita la prima pagina del giornale locale. Resta il dubbio, a distanza di cent’anni su quanto Imperia effettivamente sia: sono stati unificati 11 comuni ciascuno con il proprio santo patrono, la propria tradizione e le proprie peculiarità produttive. Sorge il dubbio se l’unificazione politica non abbia comportato un’uniformità e quindi un’appiattamento delle differenze, quindi delle varietà, presenti tra comunità e comunità.

Non sta a me dare una risposta, né alla mostra, che però solleva un tema non di poco conto. Per questo sarebbe importante che questa mostra fosse ampiamente visitata dagli abitanti di Imperia, giovani e anziani. Questa è la mostra che, se promossa bene, potrebbe davvero innescare cose buone e un dibattito sull’inclusione e sulla partecipazione della cittadinanza attiva. Nonché superare l’idea che gli archivi sono luoghi polverosi e noiosi che non servono a niente.

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