Nuova luce da Pompei a Roma. Una mostra “illuminante”

Il rischio, quando si concepiscono mostre tematiche che hanno per focus oggetti di pregio, è che la “bellezza”, passatemi il termine, o l’eccezionalità dell’oggetto prevalga sul progetto scientifico. Era un po’ il mio dubbio, ma anche la mia curiosità, quando mi sono affacciata a Palazzo Caffarelli, dove è esposta fino all’8 ottobre 2023, la mostra “Nuova luce da Pompei a Roma”.

Ebbene, mi sono ricreduta fin dal primo pannello, che detta le motivazioni che hanno spinto alla mostra: non una mera carrellata di oggetti magnifici (lucerne, lampadofori, candelabri, tutto rigorosamente in bronzo), ma il racconto del rapporto tra i Romani (i Pompeiani nello specifico, solo nell’ultima sala è rappresentata Roma) e il buio, e quindi la necessità di illuminare le case, e non solo, di notte.

Lucerna a forma di nano itifallico. E guarda un po’ da dove ardeva la fiammella?

Il tema della mostra è l’illuminazione artificiale, tema che viene affrontato da una molteplicità di punti di vista diversi: gli oggetti (lucerne, candelabri), i soggetti con cui erano decorati (figure umane, animali, mitologiche ecc.); l’organizzazione spaziale della casa, che prevedeva ben poche finestre a captare luce, il che presupponeva una necessaria illuminazione artificiale; il momento dell’eruzione, con cui è inevitabile fare i conti; la fortuna dopo la riscoperta nel Settecento e Ottocento. Una molteplicità di chiavi di lettura, dunque, all’interno delle quali trovano spazio nuove scoperte, nuove ri-scoperte d’archivio e nei depositi, nuove interpretazioni e deduzioni.

Il tema di fondo, raccontato nelle sue diverse sfaccettature e declinazioni, è dunque quello del rapporto tra l’uomo e la luce, nel suo bisogno di vivere anche al buio e nelle ore notturne, nel suo bisogno di illuminare non soltanto in casa, non soltanto le strade, non soltanto nelle celebrazioni religiose (e in tanti riti la luce o l’assenza di essa gioca un ruolo importante – si pensi ad esempio al mitraismo che a Pompei però non è contemplato), ma anche nei momenti privati, più intimi. L’uomo ha bisogno della luce, ha bisogno di vedere per sapersi orientare sempre nello spazio e in mezzo alle altre persone. La luce è fondamentale per la condivisione, sia nella sfera pubblica che in quella religiosa che in quella privata. Poter dominare la luce, ricreandola artificialmente, giocando anche con le ombre che essa crea, affidando agli oggetti anche valori simbolici è ciò che gli uomini hanno fatto per millenni, fino all’invenzione della luce elettrica.

lucerna trilicne (a tre beccucci e tre fuochi) con danzatore

Il percorso di visita

La mostra è l’esito di un progetto di ricerca interdisciplinare e infatti sono diverse le chiavi di lettura che emergono durante la visita. Ciò che è sicuramente un punto a favore – e in questo sono d’accordo con la recensione che di questa mostra ha fatto Valeria Di Cola, è che è molto efficace l’apparato comunicativo, in grado di tenere sempre alta l’attenzione, di incuriosire con didascalie ben riuscite, per nulla seriose e anzi spesso argute. Anche lo sfondo giallo della mostra è davvero azzeccatissimo: ma io sono di parte, amo il giallo in tutte le sue sfumature. Tuttavia posso oggettivamente dire che l’effetto, il contrasto col bronzo e la correlazione semantica tra giallo e luce sono ben riuscite.

Silenziose e complici, le lucerne partecipano alle vicende umane, quasi fossero vive, esseri viventi e senzienti, ai quali rivolgersi: e non è un caso se la mostra apre con una citazione dalle Ecclesiazuse di Aristofane, in cui il poeta invoca la lucerna, complice negli incontri amorosi, nei banchetti, complice e discreta, perché non rivelerà il nostro segreto ad altri.

La mostra affronta dapprima gli aspetti tecnici e pratici, che ci fanno quindi andare oltre il semplice oggetto nella vetrina per restituirgli la funzione e la vita: olio e stoppino per bruciare, la fuliggine che sporcava oltre che il becco della lucerna stessa anche le pareti delle case, per non parlare dell’odore, che non riusciamo forse a immaginare, ma di cui sappiamo grazie a Giovenale che fosse piuttosto cattivo.

Un discorso interessante che viene fatto in mostra è l’illustrazione della variazione di una giornata tra estate e inverno. Per noi le giornate sono tutte uguali, regolate dalla scansione in 24 ore perfettamente misurate in minuti e secondi e sia in estate che in inverno le 12 sono le 12 e le 22 sono le 22. Ecco, a Roma non era così e un interessante prospetto esposto in mostra racconta a chi non si è mai posto il problema che in realtà a seconda della stagione le ore variavano di durata: così se in estate (dal 21 giugno) la I ora iniziava alle 5:32 e la giornata si concludeva alle 20:36, in inverno (dal 21 dicembre) la I ora era alle 7:23, la giornata si concludeva alle 16:37 e le 12 ore del giorno duravano in media molto meno rispetto alle corrispettive estive. Certa di fare cosa gradita, pubblico il prospetto così come proposto in mostra per maggiore chiarezza:

“Nuova luce da Pompei a Roma”: pannello esplicativo che mostra la differenza nel calcolo delle ore del giorno tra estate e inverno in età romana

Un’importante sezione riguarda l’illuminazione nelle abitazioni. Ci viene fatto notare, grazie anche all’ausilio di un plastico di una casa pompeiana, che le domus difficilmente avevano finestre aperte sull’esterno, mentre l’illuminazione naturale era assicurata dall’atrio aperto nel quale filtrava la luce del giorno e sul quale si affacciavano poi le principali sale della casa. In ogni caso, però, vi erano ambienti, come i cubicula, le piccole camere da letto o gli studioli, nei quali la luce naturale non filtrava mai e qui era necessario illuminare sempre con le lucerne. Sono stati fatti studi di archeologia sperimentale che hanno calcolato quante lucerne ci volessero per illuminare le stanze, a seconda della loro dimensione ed è stata trovata una correlazione tra la luce calda prodotta dalla lucerna o dal candelabro e le pareti affrescate degli ambienti. In mostra c’è la possibilità di entrare, grazie alla realtà immersiva mediante oculus, nel tricliunio EE della Casa di Giulio Polibio e di accendere tutte le lucerne e i candelabri posti nei vari punti dell’ambiente per illuminarla, potendo godere delle pitture alle pareti, visibili solo a luce accesa.

Le lucerne potevano essere in terracotta o in bronzo. Per la mostra la scelta è caduta sui soli materiali in bronzo, esemplificativi di un certo gusto, ma anche – proprio per la ricchezza del materiale – oggetti senza dubbio di pregio, in qualche caso in grado di raggiungere vette artistiche. A Pompei la percentuale di lucerne in bronzo sul totale delle lucerne rinvenute è del 7-10% e in mostra è esposta una mappa dei rinvenimenti: molto interessante perché consente di collocare, e quindi anche di contestualizzare i ritrovamenti in un dato settore o edificio della città.

Diversi sono i reperti notevoli in mostra, tra questi un candelabro ellenistico, che trova confronti in esemplari rinvenuti su una nave naufragata tra il 100 e l’80 a.C. a Mahdia, Tunisia: un elemento d’arredo vintage, dunque, nel 79 d.C., finemente lavorato, con numerose ageminature realizzate con materiali preziosi. E poi c’è il Kouros lampadoforo, forse Apollo, che proviene dal triclinio EE della Casa di Giulio Polibio. In bronzo, in stile arcaico, anch’esso un oggetto d’arredo vintage, la sua interpretazione come Apollo in realtà stupisce (e infatti è lasciata come molto dubitativa) perché pare strano che si possa relegare l’immagine di un dio al mero ruolo di portalampada, quando è risaputo che, poiché esistevano schiavi in carne e ossa incaricati dell’illuminazione, statue di queste fattezze potevamo piuttosto richiamare quegli schiavi.

Il lampadoforo, forse Apollo, della Casa di Giulio Polibio

Quello sul triclinio EE della Casa di Giulio Polibio è un focus interessante, in quanto mostra gli oggetti connessi non direttamente alla luce, ma direttamente alla vita e alle attività che si svolgevano nel triclinio: oggetti in bronzo, talvolta con inserti in argento e stagno, non solo lucerne, ma anche brocche. Nella sola casa di Giulio Polibio sono state rinvenute in totale 69 lucerne, tra terracotta e bronzo.

Sempre all’ambito domestico, ma alla sfera del sacro, rimanda invece il larario della Casa della Fortuna: nella piccola nicchia erano sistemate due statuine degli dei Lari, la dea Fortuna in trono e una piccola lucerna bronzea a forma di piede, probabilmente tenuta sospesa. Questa lucerna è finemente lavorata, con dettagli policromi, come le unghie in argento: veniva accesa per i riti sacrificali delle prime ore del mattino.

Gli oggetti in bronzo della Casa della Fortuna di Pompei

Alcuni oggetti fanno porre dei dubbi sul loro significato per chi utilizzava. Abbiamo già incontrato il candelabro e il lampadoforo “vintage”, l’uno, prodotto all’inizio del I secolo a.C., l’altro volutamente in stile arcaico, impiegati in casa per la loro insita bellezza. Ma poi ci sono oggetti come una lucerna trilicne importata dalla Grecia, anch’essa risalente al 100 a.C., sfarzosa indubbiamente, ma rinvenuta in una taverna lungo la via Stabiana: aveva anch’essa un sapore vintage o semplicemente era un vecchio oggetto che emanava ancora luce e che finché funzionava sarebbe stato utilizzato? La vita è complessa, tutto ciò che noi facciamo o subiamo (e che acquistiamo e utilizziamo) ha mille sfaccettature. Sicuramente oggetti come questo ci insegnano che quando interpretiamo il dato antico non possiamo dare per scontata nessuna possibilità. Un aspetto positivo di questa mostra è che pone tanti problemi, non solo semplici soluzioni, e laddove ci sono degli dubbi interpretativi li propone, e in qualche modo lascia a noi se non la possibilità di dire la nostra e di scegliere la nostra interpretazione, quanto meno di capire che la realtà storica è più complessa di quanto la immaginiamo.

Lucerna trilicne del 100 a.C. da una taverna di Pompei (79 d.C.)

Ri-scoperte e scavi nei depositi; la fortuna presso i moderni e i pastiches

C’è un’attività di scavo archeologico che in pochi conoscono ed è non già lo scavo stratigrafico, per saggi o in estensione, ma è lo scavo nei depositi, la riscoperta di oggetti scavati o acquisiti dal museo in questione chissà quando, chissà perché, spesso non muniti di un’adeguata informazione a supporto. L’archeologia non è una scienza esatta (non è manco una scienza), e spesso ha subito la poca cura nella trasmissione delle sue acquisizioni. Il caso di questo bambino lampadoforo è abbastanza emblematica. Se n’era persa completamente traccia, ma è stato riscoperto per caso nel 2016 nel deposito del Museo Nazionale di Napoli. Solo dopo lunghe ricerche che si sono concluse nel 2022 si è potuto ricostruire il tutto: il bronzetto era stato rinvenuto nel 1818 nella casa di Aulo Pomponio Magoniano, a Pompei, una piccola casa che ospitava al pianoterra una clinica con annessa farmacia. Tra gli strumenti rinvenuti all’epoca saltò agli occhi uno speculum uteri: il nostro medico, o chi per lui, era anche ginecologo. E la statuetta lampadofora? Rinvenuta nella clinica, a forma di bambino paffutello, forse voleva essere beneaugurante nei confronti delle pazienti (una visita ginecologica non è piacevole oggi, chissà cosa doveva essere all’epoca).

Il bambino lampadoforo riscoperto nei depositi del MANN

Come tutti noi sappiamo, da quando, da metà del XVIII secolo Pompei ha cominciato a emergere e a far parlare di sé si è creato un vero e proprio mito, di cui Pompei, diciamolo, gode ancora oggi nel bene e nel male. L’eccezionalità della scoperta della città si ripercuoteva ogni volta nell’eccezionalità della scoperta di ogni singolo oggetto e Pompei fu presto inclusa tra le tappe del Grand Tour. Lo stesso Goethe la visitò nel 1787. Lui tra l’altro, che aveva interessi di geologia davvero fuori dal comune, dovette essere molto incuriosito non tanto dalla vista delle rovine, quanto dal capire il processo che aveva portato un’intera città nel giro di una notte ad essere totalmente sepolta dai piroclasti. Ebbene, spirito osservatore qual era, Goethe non può far a meno di risalire dagli oggetti ai luoghi, e di conseguenza alle persone, dimostrando così una sensibilità molto spiccata.

E poi c’è Winkelmann. Il quale nella sua vita ha fatto due errori (forse anche tre o quattro). Il primo, il più eclatante, è l’aver teorizzato la superiorità dell’arte greca su quella romana senza essersi reso conto che aveva studiato su copie di età romana di originali greci (i quali molto spesso erano stati in bronzo) di conseguenza falsando la storia dell’arte antica successiva a lui per almeno un secolo e mezzo; la seconda è il cd Pasticcio Winkelmann, che ha a che fare direttamente con questa mostra, perché egli parlò in una sua lettera di un complesso di figure, che aveva visionato a Pompei, costituito da una colonna su base con in cima una lucerna a forma di testa, e a parte un satiro giovane e una lucerna a sospensione. Lui considerò il tutto come uno straordinario capolavoro pompeiano, ma in realtà non sapeva che la lucerna a forma di testa era di produzione rinascimentale ed era stata saldata alla colonna nella Real Fonderia. La statua del satiro paffutello è senz’altro antica, ma non ha niente a che vedere con la composizione. Insomma che anche a Pompei Winkelmann prese un granchio.

Il Pasticcio Winkelmann

Prima di passare alla rapidissima sezione su Roma, e quindi sulle lucerne in bronzo dai depositi dei Musei Capitolini, la mostra si sofferma sull’eruzione, mostrando i danni del caldo e dei piroclasti sugli oggetti in bronzo. Molto importante la gigantografia che colloca Pompei territorialmente rispetto al Vesuvio. In mostra si fa cenno alle due teorie che vogliono datare l’eruzione rispettivamente al 24 agosto oppure al 24 ottobre. La menzione del 24 agosto viene da un passo di Plinio il Giovane ed è sostenuta anche in bibliografia recente, ma la narrazione prevalente tende invece a datare l’eruzione a ottobre. Onore al merito già solo perché sono state citate entrambe le proposte. Tuttavia viene presa per buona (senza spiegare perché) la data autunnale, di conseguenza tutta la cronistoria, che di fatto si basa sul racconto di Plinio, viene traslata al 24-25 ottobre. Non entro nel merito della questione, perché non ne so assolutamente niente, però ecco, forse avrei tenuto anche qui quel tono dubitativo che ho tanto apprezzato altrove in mostra, segnalando sulla mappa/cronistoria giorno 1 – giorno 2, invece che 24 ottobre – 25 ottobre. Ma ripeto, non entro nel merito di un dibattito che è molto più acceso di quanto non si voglia far credere.

In conclusione

Voto: alto, molto alto. La mostra mi ha interessato, non ho mai avuto cali di attenzione, quanto piuttosto ho avuto guizzi del tipo “Ma dai?“, segno che sia a livello di percorso di visita che a livello di interesse degli argomenti è stata strutturata bene. Secondo me è una buona mostra adatta a diversi tipi di pubblico. Sì, certo, manca un apparato didattico per bambini, ma sono davvero poche le mostre di archeologia che si pongono questo problema, il che non è una giustificazione, quanto un invito a concepire mostre adatte a tutti i livelli intellettivi possibili. Detto questo, “Nuova luce da Pompei a Roma” è una mostra assolutamente da visitare, se piace il tema. L’ingresso è comunque dai Musei Capitolini su Piazza del Campidoglio, per i residenti a Roma la MIC card vale tutto. Se però non l’avete, o la dovete rinnovare, andate in un altro museo di Roma Capitale: ai Capitolini ho aspettato mezz’ora per il rinnovo e alla fine mi hanno staccato il gratuito sulla fiducia perché non riuscivano a far pari con le richieste davanti a me.

Chi ha curato la mostra

Questa mostra è parte di un progetto scientifico di 7 anni di lavoro presso la LMU München ed è stata concepita e ideata dalla prof.ssa Ruth Bielfeldt e un team universitario a Monaco di Baviera, il co-curatore è Johannes Eber. La mostra di Roma segue una prima tappa, svoltasi a Monaco di Baviera (“Neues Licht aus Pompeji”).

2 risposte a “Nuova luce da Pompei a Roma. Una mostra “illuminante””

  1. […] più spazio per poter essere osservate da vicino. Insomma, rispetto a una mostra come “Nuova luce da Pompei a Roma“, in cui sia gli oggetti esposti – di dimensioni ben più misurate delle statue – […]

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  2. […] di Palazzo Caffarelli e dunque articolate, criticabili (come quella su Fidia) o eccellenti (come quella sulle lucerne di Pompei o quella sui Marmi Torlonia). La promozione apparsa sui miei canali mi ha indotto effettivamente in […]

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